A urne chiuse va in aula per l’approvazione di un decreto che istituisce nuovi reati che vanno dal “terrorismo della parola” al delitto contro l’incolumità pubblica, per l’occupazione abusiva di edifici inutilizzati. La denuncia dell’Unione Sindacale di Base

“Il disegno di legge n. 1660 a firma dei ministri Piantedosi, Nordio e Crosetto (e più noto come nuovo D.L. Sicurezza) inizierà tra pochi giorni il suo iter parlamentare (non casualmente a urne chiuse)”, denuncia l’Unione Sindacale di Base. “Il provvedimento nasce con l’intento, dichiarato dal Governo Meloni, di colmare un vuoto normativo nella efficace prevenzione di atti, sabotaggi e forme di conflitto percepite come eversive. Parole importanti vengono spese per indicare fattispecie di reato che vanno dal neologismo del “terrorismo della parola” al delitto contro l’incolumità pubblica (rappresentato dall’occupazione di edifici vuoti e inutilizzati). Praticamente il dispositivo che a breve inizierà il vaglio dell’aula parlamentare con una pena che va da due a sei anni chiunque detenga, o faccia circolare, in forma sia scritta che orale, testi ritenuti capaci di sobillare il compimento di atti o resistenze che coinvolgano uffici, istituzioni, servizi pubblici o di pubblica necessità. Il tutto basato su dinamiche preventive di un eventuale reato che potrebbe essere compiuto.

Continuando a scorrere la bozza del disegno di legge governativo, dopo l’articolo 6 (che ha la funzione di riscrivere le regole sul mercato di articoli pirotecnici, ascrivendoli tra gli strumenti di possibile utilizzo con finalità eversive), troviamo l’articolo 7. Quest’ultimo dispone nuove norme sulla revoca della cittadinanza, aprendo la strada all’articolo 8 che, con riferimento alla sicurezza urbana, dispone modifiche sostanziali al codice penale nel contrasto dell’occupazione “arbitraria” di immobili. Viene introdotta una nuova fattispecie di reato volta a punire con la reclusione dai due ai sette anni quei soggetti che occupano o detengono senza titolo un immobile impedendo il rientro in possesso del legittimo proprietario, e con loro tutte le persone che si intromettono o cooperano nell’atto stesso. Vale la pena evidenziare che tale nuovo reato, sulla base del testo, potrebbe dunque essere applicato in maniera estensiva anche alle persone sfrattate che si oppongano al rilascio immediato dell’alloggio in cui vivono e ai picchetti di solidarietà che le supportano. Per converso, l’occupante che collabora all’accertamento dei fatti, invece, non è punibile. Inoltre, viene data legittimità a modalità di ordine pubblico sempre più aggressive, laddove le forze dell’ordine possono procedere all’arresto in flagranza (sia immediata che differita) nei confronti di chi resiste o si rifiuta di lasciare l’immobile pur di garantire quello che viene individuato come interesse primario da tutelare, ossia il rientro in possesso della proprietà privata da parte di chi la detiene.

Gli articoli successivi si concentrano poi su come impedire l’opposizione a grandi opere e infrastrutture ritenute “strategiche” (ovviamente a insindacabile giudizio di chi governa). L’articolo 10 sanziona con la reclusione da sei mesi a un anno coloro che non ottemperano al divieto di avvicinamento o accesso alle pertinenze del trasporto ferroviario, mentre l’impedimento della circolazione su strada viene inquadrato con un’aggravante speciale che prevede la reclusione da sei mesi a due anni se più persone bloccano in maniera coordinata la circolazione su qualsiasi arteria stradale.

Gli articoli 12 e 13 che seguono realizzano una vera e propria razzializzazione selettiva di certe fattispecie di reato. Ad esempio, l’articolo 12 entra interviene sull’obbligatorietà del rinvio della pena per donne incinte e madri di prole rendendolo facoltativo, e in sequenza con l’articolo 13 affronta l’accattonaggio inasprendo le pene sia per l’induzione al reato che per l’impiego dei minori.

I migranti, d’altro canto, sono pesantemente attenzionati da questo disegno di legge. All’articolo 19 si definisce il rafforzamento della sicurezza delle strutture di trattenimento e accoglienza, senza nessuna distinzione tra le due categorie. La novità giudiziaria consiste nell’inasprimento della pena per chi partecipa a proteste all’interno dei centri arrivando a proporre una pena da uno a 4 anni e fino a 8 anni se si riscontro un uso di armi (sia proprie che improprie) e fino venti anni se durante l’ipotetica rivolta ci siano lesioni personali o mortali dei coinvolti. Questi articoli individuano chiaramente il target da colpire senza celare un punto di vista prevenuto e razzista né intaccare minimamente le condizioni materiali che determinano il fenomeno, che si tratti di accattonaggio o rivolte contro le disumane (e disumanizzanti) condizioni di detenzione nelle carceri e nei CIE.

Quando si arriva al capo 3 del dispositivo e si affronta la tutela del personale di polizia e delle forze armate, nonché dei vigili del fuoco, si dispone un aumento di pena di un terzo da quello finora in vigore in caso di violenza, o minaccia, nei confronti di un pubblico ufficiale. Questa nuova visione repressiva non prevede il meccanismo di bilanciamento delle circostanze previsto dall’articolo 69 del codice penale. L’aggravante vale anche in riferimento alle accuse di resistenza. Così all’articolo 15 anche lesioni lievi o lievissime, magari uno sguardo troppo minaccioso, compiute ai danni di un cosiddetto “operatore della sicurezza” vengono sanzionate allo stesso modo delle lesioni gravi e gravissime.

Nelle parti finali del provvedimento non poteva certo mancare il consueto panico morale sui reati di deturpamento e imbrattamento contro beni immobili e mezzi di trasporto (sia pubblici che privati), la cui sanzione è più grave se è colpita una sede istituzionale, per cui si configura la lesione dell’onore del prestigio della sede stessa. Come nel caso degli articoli profilati razzialmente, anche qui la controparte governativa è individuabile in modo pressoché cristallino; in questo caso, nelle organizzazioni ambientaliste che sanzionano con vernice e altri materiali i palazzi della politica inerte sulla crisi climatica. Non a caso, infatti, viene inasprita la pena in caso di recidiva, con aumento delle pene fino a tre anni e multa fino a dodicimila euro. Infine, nell’articolo 23 si presta particolare attenzione al potenziamento degli strumenti di controllo sociale giustificato dalla necessità di prevenire il rischio di eversione dell’ordine democratico. Questione decisamente all’ordine del giorno nel nostro Paese.

Di fronte a un provvedimento securitario che cerca di soffocare in maniera definitiva qualsivoglia forma di opposizione sociale attraverso prevenzione e manette scegliamo di mobilitarci sotto i palazzi in cui l’iter parlamentare sta prendendo forma. Non basta qualche emendamento per mitigare un disegno di legge così irricevibile e autoritario, il D.L. sicurezza deve essere fermato con ogni mezzo necessario!”

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