“Il digital service act trasferisce la responsabilità dei contenuti alle piattaforme” …anche i giornalisti sono in pericolo. La denuncia di Marcello Foa

“Il digital service act trasferisce la responsabilità dei contenuti alle piattaforme YouTube, Facebook, Google, eccetera, eccetera e di fatto sancisce come principio la lotta alla disinformazione e alle fake news ed è esattamente questo il grimaldello che preoccupa tutti, preoccupa i giornalisti che vogliono fare questo mistero in maniera responsabile perché chi determina cos’è disinformazione?”, si chiede Marcello Foa già Presidente RAI e giornalista.

“Chi determina cos’è una fake news? Quel che abbiamo saputo sul fronte americano, che però si è riverberato anche da noi, perché anche noi siamo stati oggetti delle censure decise, magari un po’ meno dirette e immediate, però il meccanismo è lo stesso, di fatto ti permette di… io voglio censurare opinioni di provvita e famiglia, contrarie al genere, dicendo che quelle sono omofobe, e per cui tu sparisci.

Questo è il rischio.

Oppure qualunque altro argomento, voglio criticare Israele o Gaza o l’Ucraina o i russi, qualunque argomento, quella disinformazione, tu stai facendo passare un’idea che in realtà è stata veicolata da un tweet legato al Cremlino piuttosto che Adamas, per cui la tua critica non è legittima e disinformazione.

Questo è il rischio principale che è piuttosto concreto.

Allora, da qui una certa resistenza al digital service, da qui anche lo sconcerto di giornalisti che si prestano a fare i news guard, ci sono i guardiani dell’informazione, fondamentalmente, e qui possono determinare che cosa è vera e cosa è falso, che è l’antitesi di quel che sono stati i valori del giornalismo libero sancito dalle Costituzioni.

Per cui noi, con la pretesa di una giusta causa, lottiamo contro le fake news, tuteliamo di più l’individuo, rischiamo di vedere applicata un mondo online dove la censura diventa stringente e contro cui tu puoi fare poco. Ancora una volta però con una speranza. Tutti i meccanismi censori, quando non c’è un filo diretto tra chi vuole fare la censura e le piattaforme, hanno dei tempi di reazione che sono piuttosto lenti.

Per cui, diciamo così, in lingua inglese è molto più facile perché l’attenzione è in lingua inglese e la lingua franca e il pubblico del riferimento è ovviamente anglosassone prima battuta.

Le lingue tra virgolette minori, tipo l’italiano o lingue ancora di paesi più piccoli, sono meno attenzionate, per cui è probabile, è molto verosimile che da noi la censura arrivi con molto ritardo, che significa che qualche margine di libertà potremmo ancora al mio giudizio il Digital Service Act è nelle sue potenziali ma probabili ripercussioni uno strumento che dovrebbe preoccuparci”.

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