“Noi abbiamo vissuto la pandemia nella duplice veste di lavoratori e lavoratrici della Polizia Locale Italiana e nella veste di sindacalisti di questa categoria che necessitava di essere tutelata. Nel 2020, in contemporanea con la diffusione dei primi casi di Covid, ci siamo attivati immediatamente all’interno dei nostri enti, dei nostri comuni, per chiedere ai datori di lavoro e ai medici del lavoro di fornire dispositivi di protezione individuale ai lavoratori”, spiega la Dottoressa Miriam Palumbo, Segretario Nazionale del SULPL (Sindacato unitario lavoratori Polizia locale) alla Commissione Covid dello scorso 3 dicembre.
“La carenza primaria che abbiamo riscontrato, visto che ci viene richiesto dalla Commissione di rilevare punti di forza o eventuali criticità, la prima criticità è stata la mancanza per lungo periodo delle mascherine e dei vari dispositivi connessi. Siamo arrivati fino a fine marzo per poter avere le prime forniture e noi, come sindacato, nelle varie regioni ci siamo dovuti attivare per fornire gel, occhiali protettivi ai colleghi e alle colleghe.
Nei primi tempi la sensazione che abbiamo avuto, nelle prime settimane rispetto alla comparsa del Covid, è che gli amministratori, oltre ovviamente a non essere pronti, non avessero nemmeno la percezione dell’urgenza delle nostre richieste e della gravità della situazione, poiché addirittura qualcuno ci rispondeva che indossare, far indossare le mascherine poteva ingenerare insicurezza nella cittadinanza.
Eppure noi, come Polizia Locale, siamo stati quelli esposti primariamente al rischio, poiché dovevamo dare applicazione ai tanti DPCM, alle ordinanze regionali, sindacali, del Ministero della Salute e per cui ne avevamo proprio bisogno.
E quando, a fine marzo, la Protezione Civile finalmente ha fornito le mascherine, sono pervenute nei comandi delle mascherine che erano praticamente identiche a un famosissimo panno cattura-polvere dove delle caratteristiche tipiche della mascherina non avevano nulla. Si attaccavano alle orecchie con dei fori, non con degli elastici, per cui non potevano aderire al viso e non erano dotate di filtro, come sarebbe stato necessario per proteggere l’operatore da un rischio biologico sostanzialmente, e quelle mascherine andavano in barba a tutta la normativa in materia di sicurezza. Eppure hanno trovato il benestare nel Decreto Legge numero 18 del 17 marzo 2020, articolo 16, comma 2, dove leggiamo testualmente che gli individui presenti sull’intero territorio nazionale sono autorizzati all’utilizzo di mascherine filtranti prive di marchio CE e prodotte in deroga alle vigenti norme sull’immissione in commercio.
Noi siamo rimasti poi basiti quando, l’indomani rispetto a questo decreto, è stata fatta un’integrazione da parte del Ministero della Salute con una circolare integrativa nella quale si precisava che il rischio di contagio per gli operatori di Polizia Locale può essere assimilato a quello della popolazione in generale, per cui banalmente prescriveva anche per noi operatori di Polizia l’obbligo di mantenere la distanza di un metro e, se necessario, l’uso di una semplice mascherina chirurgica.
Ma noi, per tutta la pandemia, abbiamo continuato a fare quello che è il nostro lavoro quotidiano. Anche, ad esempio, faccio un esempio: l‘esecuzione dei trattamenti sanitari obbligatori che comportavano l’ingresso all’interno degli ospedali. Gli ospedali, ai tempi, erano suddivisi in un’area pulita e un’area sporca e noi, con la nostra divisa, quindi senza una tuta, che invece era giustamente in possesso degli operatori sanitari, ma solo con una mascherina di fortuna e gli occhiali, dovevamo accedere a quest’area sporca per accompagnare chi doveva avere il trattamento sanitario.
Quindi, noi ci chiediamo tutto questo: perché? Per incompetenza o per distogliere l’attenzione dall’importanza dell’uso della mascherina, che evidentemente chi doveva non era stato in grado di fornire agli operatori di polizia. Anche perché è assurdo pensare che, in un periodo come quello che abbiamo vissuto, la pubblica amministrazione dovesse sottostare alle gare d’appalto della Consip. Lì bisognava, insomma, essere tempestivi.
Abbiamo scritto ovviamente ripetutamente anche ai presidenti di Regione per sollecitare di sottoporre a tampone gli operatori di polizia, ma anche questi sono arrivati con ritardo, per cui eravamo maggiormente esposti a rischio.
Paradossalmente, noi, che dovevamo contenere la diffusione del virus, inconsapevolmente potevamo anche essere portatori di quel virus e diffonderlo. Quindi, di sicuro, in questa prima fase è mancata una prevenzione seria, una tutela di polizia.
Successivamente, sul campo, proprio la polizia locale, che ha effettuato la maggior parte dei controlli contro la pandemia e per il suo contenimento, ci hanno lasciato 39 colleghi. E anche qui lo Stato ci ha riservato l’ennesimo schiaffo.
Perché il 17 febbraio 2022 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto del Ministro dell’Interno Lamorgese, che escludeva i familiari degli operatori di polizia locale dai contributi economici riconosciuti agli appartenenti alle forze dell’ordine deceduti per aver contratto il virus durante l’adempimento del proprio dovere.
Noi, ovviamente, abbiamo scritto ripetutamente al Ministero delle Finanze e al Ministero dell’Interno senza sortire l’effetto sperato. Agli operatori di polizia, ad ordinamento statale, alle forze di polizia sono stati corrisposti 25.000 euro per il decesso del proprio familiare, mentre noi siamo stati esclusi. Quindi è stata fatta anche una discriminazione tra operatori della sicurezza, in violazione dell’articolo 3 della Costituzione.
E io mi chiedo: come si possa spiegare a un figlio minore di un appartenente alla polizia locale che il padre o la madre, servitori dello Stato, valgano nulla rispetto alla vita di un operatore di polizia appartenente alla Polizia di Stato, ai Carabinieri o ad altri corpi? Eppure è stato così.
E infine voglio analizzare brevemente un altro aspetto che riguarda la pandemia e il nostro operare. Ed è quello del rapporto tra cittadini e operatori di polizia, poiché inizialmente, come i sanitari, proprio noi eravamo visti come angeli custodi, coloro che garantivano sicurezza e contenimento del contagio. Eravamo ben accetti. Nel tempo, però, con i tanti DPCM che sono diventati anche di difficile applicazione, sempre più cervellotici, quasi inapplicabili in alcuni casi, i cittadini, abbiamo notato, ci hanno visto quasi come nemici. Quindi, da angeli, anche noi siamo stati trasformati in demoni.
In realtà, noi eravamo semplicemente in prima linea. Non eravamo chiamati a interpretare le varie normative vigenti per arginare la pandemia, ma ad applicare e far rispettare la legge. Eppure abbiamo ricevuto insulti. Io ricordo in particolare due episodi: uno, quello della polizia locale di Rimini. Penso che ricorderete tutti la foto di quel cittadino sdraiato sull’arenile e la polizia locale che interveniva. Da lì è stata una valanga di insulti per quei colleghi. Un’altra occasione in cui io stessa sono stata colpita da insulti, insieme ad altri due colleghi, è legata a un video realizzato da un giornalista che è diventato virale sui social. Siamo stati destinatari di insulti di morte, sessisti e di violenza di ogni genere. Cito alcune frasi per rendere l’idea di quanto accaduto e della percezione che i cittadini avevano ormai delle forze di polizia. Dicevano: “Pestateli a sangue” oppure “Sparategli in testa a quelle pseudodonne, ricordategli che sono dipendenti comunali, neanche statali, e che il popolo è sovrano”.
Mi ha stupito anche l’ignoranza di chi, riferendosi agli agenti, incitava a “sparargli in faccia. Non dico di sparargli, ma gli andrebbe fatto un bel pestaggio, schiacciargli la testa nella macchina. A ‘ste merde corrotte… le divise sono meritevoli di piombo”. Questo era il tenore generale.
Noi riteniamo importante comunicare ai cittadini che siamo sempre stati dalla loro parte. Siamo noi stessi cittadini, svolgendo però il duplice ruolo di tutori dell’ordine e della loro sicurezza.
Tante volte, durante le numerose manifestazioni, alcuni di noi avrebbero voluto schierarsi chiaramente dalla parte dei cittadini. Tuttavia, non siamo colpevoli: abbiamo sempre operato nell’interesse della loro sicurezza e per il rispetto delle ordinanze sindacali, dei DPCM e di tutte le norme emanate in quel periodo. Siamo obbligati a far rispettare la legge, ed è questo il nostro compito.
Chiediamo anche scusa alle comunità per le numerose sanzioni elevate. Considerate che ogni giorno dovevamo portare nei comandi il resoconto dei controlli effettuati, inclusi i verbali e il monitoraggio delle persone controllate, che venivano puntualmente trasferiti alle locali questure. Molte di queste sanzioni sono state successivamente annullate o giudicate illegittime. Rimaniamo comunque disponibili, se necessario, per essere auditi anche nella seconda fase relativa all’obbligo vaccinale. Vi ringrazio per l’ascolto”.
“Esprimo gratitudine anche a nome della Commissione per il lavoro svolto dalle forze di polizia locale su tutto il territorio”, fatto il presidente Lisei.
Il senatore Borghi esprime la sua £assoluta solidarietà di fronte a intollerabili minacce. Mi auguro che siano state tutte segnalate alle autorità giudiziarie. Tuttavia, è preoccupante che non ci sia stato alcun seguito. Spero che qualche procura si attivi, anche se con ritardo, perché non è accettabile che simili minacce, gravi e rivolte a persone che stavano semplicemente svolgendo il proprio dovere, restino impunite.
Una domanda: lei ha citato la questione delle sanzioni. Quali input vi venivano dati? Si richiedeva inflessibilità o un approccio più ragionevole? In molti casi era difficile interpretare certe scene, come quelle delle corse sulla spiaggia. Qual era la catena di comando? Variava da comune a comune o c’erano istruzioni di livello nazionale?
“La ringrazio per la solidarietà e per la domanda”, risponde Saudita. “Come sindacato nazionale, abbiamo sempre invitato i colleghi alla prudenza. Non c’è mai stato accanimento, anche perché gli animi dei cittadini, nella prima fase, erano abbattuti e impauriti, non rabbiosi. Ritengo che, a livello individuale, i singoli operatori abbiano sempre adottato il buon senso, evitando accanimenti o inflessibilità verso i cittadini. Poi bisognerebbe chiedere ai singoli comandi quali fossero le direttive ai tempi, ma non credo che ci siano state delle direttive imperative per vessare i cittadini. o chiunque indossa una divisa sicuramente usa sempre il buon senso”.
Qui trovate il video della Commissione Covid del 3 dicembre 2024
Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore.
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