“Per chi non mi conoscesse, sono l’Avvocato Erich Grimaldi, fondatore e Presidente del Comitato Terapia Domiciliare Covid-19 e poi dell’attuale Fondazione TDC19 e TS. Intendo ripercorrere in ordine cronologico le principali tappe che hanno segnato la gestione della pandemia, evidenziando le problematiche emerse e ponendo una serie di domande che ad oggi non hanno ancora trovato risposta, neanche da parte della Procura della Repubblica, alla quale ci siamo più volte rivolti”, inizia così la relazione dell’Avvocato Erich Grimaldi, Presidente della Fondazione Terapie Domiciliari in commissione Covid il 19 novembre 2024.
“Il mio obiettivo non è giudicare, ma contribuire a fare luce su decisioni che hanno avuto un impatto profondo sulla vita dei cittadini italiani. Già nelle prime settimane dell’anno 2020 erano emerse informazioni sul virus e sulla sua diffusione dalla Cina. Perché il piano pandemico nazionale non è stato aggiornato né attivato tempestivamente, nonostante il rischio conclamato di una crisi sanitaria globale? Durante le prime fasi dell’epidemia i dispositivi di protezione individuale erano assenti o insufficienti.
Perché gli operatori sanitari sono stati esposti a rischio senza protezioni adeguate, nonostante fosse prevedibile la necessità di approvvigionamenti straordinari?
Perché la circolare del Ministero della Salute del febbraio 2020 sconsigliava le autopsie stabilendo che, per l’intero periodo emergenziale, non si sarebbe dovuto procedere all’esecuzione di autopsie o riscontri diagnostici nei casi conclamati di Covid, sia se deceduti in corso di ricovero presso reparto ospedaliero, sia se deceduti presso il proprio domicilio?
Perché si è rinunciato a questa fonte di conoscenza, ritardando la comprensione del ruolo dei fenomeni tromboembolici nella mortalità da Covid-19, come accertato poi in data 23 marzo 2020 dai medici Gianatti e Sonzogni dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo che decidevano, in ogni caso, di effettuarle? Con l’HIV in passato venivano regolarmente effettuate le autopsie.
Perché il professor Andrea Savarino dell’Istituto Superiore della Sanità, che aveva gestito con successo il protocollo della SARS-CoV-1 nel 2003, non veniva coinvolto nel CTS e mandato all’estero per poi essere, a quanto pare, comunque consultato per dare indicazioni sulla nota AIFA del 17 marzo 2020 che prevedeva l’uso off-label di clorochina e idrossiclorochina?
Perché professionisti con esperienze in epidemie simili non venivano coinvolti attivamente nelle decisioni del CTS?
E perché si pensava unicamente ad ospedalizzare i pazienti senza valutare una possibilità terapeutica a domicilio?
Perché veniva di fatto introdotto l’approccio della vigile attesa con paracetamolo senza adeguati basi scientifiche?
Perché dare indicazioni ai medici di famiglia di consigliare la vigile attesa, suggerendo l’utilizzo del paracetamolo in caso di febbre, e di rivolgersi al 118 in caso di respirazione limitata o se scendeva la saturazione, che poteva ovviamente misurare solo chi aveva il saturimetro, anziché curare precocemente i primi sintomi della malattia con normali farmaci da banco, come gli antinfiammatori?
Perché nel marzo 2020 veniva sconsigliato l’utilizzo precoce di gli stessi antinfiammatori preferendo il paracetamolo?
Il gruppo terapia domiciliare precoce, invece, riusciva con il banale social Facebook a intercettare molti di questi medici in diverse regioni, favorendo già dal marzo 2020, a mezzo live, un confronto sugli approcci terapeutici in fase precoce. Era così difficile?
Il gruppo terapia domiciliare precoce, che dal 2020 ha raccolto oltre un milione di iscritti, diventava un punto di riferimento per molti cittadini italiani, inclusi rappresentanti politici anche parlamentari. Dall’analisi di migliaia di post emergeva che circa il 97-98% delle persone contagiate che si erano rivolte al gruppo avevano ricevuto indicazioni basate sulla vigile attesa e sull’uso del paracetamolo, anche in presenza di sintomi rilevanti.
Spesso i pazienti in piena emergenza ci intercettavano, purtroppo, quando già avevano una saturazione compromessa e non nelle prime fasi della malattia, non avendo ricevuto adeguata assistenza, purtroppo, dal medico di famiglia o dalle USCA.
I medici del gruppo, discostandosi da quelle che oggi vengono definite raccomandazioni ufficiali, hanno scelto di assumersi la responsabilità di utilizzare farmaci ed, in particolare, dalla seconda ondata, antinfiammatori, spermidina, quercetina e vitamina D, preferendo un intervento precoce anziché attendere il peggioramento del quadro clinico per poi utilizzare all’occorrenza antibiotici, eparina o anche cortisone.
Nella storia della medicina non si è mai visto trattare i sintomi con l’attesa, un approccio che si è rivelato un errore già rimarcato e che è stato reiterato anche nelle successive ondate.
Ciò è avvenuto nonostante l’assenza di studi randomizzati che validassero l’efficacia della vigile attesa con paracetamolo, una circostanza a mio avviso inaccettabile, considerando tutti gli studi contrari che successivamente venivano pubblicati, come quello randomizzato indiano in cui si metteva a confronto la somministrazione di indometacina e paracetamolo ai primi sintomi.
Perché la Presidenza del Consiglio e il Ministero della Salute non riscontravano la PEC del 30 aprile del 2020, inviata anche ad AIFA, in cui veniva richiesto, tramite il gruppo terapia domiciliare, di stilare un protocollo univoco nazionale per la terapia domiciliare precoce COVID, con libertà prescrittiva dei medici di medicina generale, senza attendere l’esito spesso tardivo del tampone ed evitando discriminazioni territoriali e temporali in danno dei cittadini italiani dovute all’autonomia delle singole regioni?
Siamo tutti cittadini italiani, quindi in quel momento di emergenza tutti avremmo dovuto ricevere la stessa determinata cura precoce, a prescindere dall’autonomia sanitaria delle regioni.
Perché siamo stati costretti a rivolgerci al TAR Lazio per ottenere la sospensione, con pronuncia numero 3627 del 7 maggio 2020, di un provvedimento che limitava la libertà prescrittiva, guardate bene, libertà prescrittiva subordinata all’esito positivo del tampone, che spesso in quel periodo perveniva dopo 10, 15, 20 giorni, allorquando la malattia era già in stato avanzato?
Perché nel corso delle ondate successive nessuno ha pensato di coinvolgere i medici del Centro-Sud, meno impegnati con il COVID, per assicurare a migliaia di pazienti contagiati del Centro-Nord almeno un’assistenza telefonica o in telemedicina, come hanno fatto in modo gratuito i medici del gruppo di terapia domiciliare che mi onoro di rappresentare, evitando l’ospedalizzazione di migliaia di pazienti dal mese di agosto 2020 per il tramite di un banale social network e poi di una web app?
Perché i medici di medicina generale non sono stati coinvolti con corsi di aggiornamento, evitando di suggerire vigile attesa e paracetamolo, che, come si sapeva già durante le ondate successive, diminuiva le scorte di glutatione?
Perché circa 40.000 medici di base non sono stati incentivati economicamente per rispondere ai propri pazienti anche il sabato e la domenica, in una malattia che andava aggredita nei primi tre giorni, lasciando chi si contagiava il venerdì alla guardia medica di turno?
Perché le USCA, in numero ridotto su tutti i territori, nonostante diversi miliardi di euro stanziati, diventavano l’alter ego dei medici di famiglia, che si limitavano a prenotare i tamponi e demandare a loro la gestione dei pazienti di cui non conoscevano la storia clinica, lasciando molti senza assistenza? Perché interrompere il rapporto medico-paziente?
È lecito chiedersi se la congestione degli ospedali e il blocco delle cure per altre patologie, nonché per i malati oncologici, potevano essere evitati con una gestione più incisiva delle cure domiciliari, evitando ulteriori morti per altre malattie, spesso classificate Covid, allorquando ricoverati.
A riguardo, peraltro, depositiamo un esposto alla Corte dei Conti di cui non conosciamo l’esito.
Perché ostacolare le cure domiciliari precoci, che potevano essere già nel 2020 una delle armi principali per uscire dall’emergenza, anziché limitarsi a un lockdown dell’intero Paese coinvolgendo in prima ondata anche regioni non colpite dal Covid in contrasto con quanto aveva stabilito il CTS?
Perché le riaperture dopo il lockdown di maggio 2020 di contro non furono graduali, permettendo lo spostamento da nord a sud di migliaia di italiani durante le vacanze estive e contribuendo all’inizio della seconda ondata anche al centro-sud.
Perché AIFA escludeva l’utilizzo dell’idrossiclorochina dopo lo studio pubblicato su The Lancet e non la riabilitava quando veniva ritrattato dagli stessi autori, nonostante la nostra diffida da adempiere, costringendoci a ricorrere al Tar I e poi al Consiglio di Stato?
E perché il Ministero della Salute si difendeva senza mezzi termini per non consentirne l’utilizzo fino alla decisione del Presidente Frattini a noi favorevole dell’11 dicembre 2020, che ne riabilitava l’utilizzo in fase precoce?
Perché lo studio randomizzato dall’AIFA il 28 aprile 2020 e iniziato il 14 maggio 2020, non veniva ottimato per mancanza di pazienti arruolabili e interrotto il 30 settembre 2020, nonostante migliaia di contagi della seconda ondata?
Perché i rappresentanti di AIFA e il Ministero della Salute rifiutavano a novembre 2020 10.000 dosi di anticorpi monoclonali gratuite offerte dalla società di Pomezia?
Perché dopo la sentenza da noi ottenuta a luglio del 2021 dal Tar del Lazio, i verbali e le registrazioni di quella riunione non sono mai stati consegnati per poter individuare i tecnici o politici che avevano rifiutato le 10.000 dosi, che potenzialmente potevano salvare anche una sola persona in un momento in cui decidevano migliaia di cittadini italiani?
Anche in questo caso la Corte dei Conti avviò un’indagine sulla vicenda, per presunto danno erariale, e venne informata anche la Procura. Allo Stato non abbiamo notizia di decisioni al riguardo.
Perché, anziché approfittare della pausa del virus da maggio a luglio 2020, le prime linee guida di cura domiciliare venivano pubblicate solo in data 30 novembre 2020, in piena seconda ondata dal Ministero della Salute, associazioni sui territori, non crede ai medici del Comitato terapeutico-micidale precoce, anche in telemedicina in tutta Italia, che stavano utilizzando FANS già ai primi sintomi. Perché questo ritardo, nonostante le evidenze cliniche raccolte nei mesi precedenti?
Perché non veniva inviato un kit salvavita ai cittadini italiani, come avvenuto in altri Paesi anche del Sud America, che contenesse almeno saturimetro, antinfiammatori e antibiotici, come avevo suggerito già nel 2020, considerando la difficoltà a reperire subito i farmaci allorquando li contagiavi.
Perché non consentire mai un dialogo con i medici che avevano agito sul campo, che in mio tramite, quale Presidente del Comitato Cura Domiciliare Precoce, avevano inviato a mezzo PEC all’AIFA del Ministero della Salute lo schema terapeutico del 13 gennaio 2021?
Per il trattamento dei sintomi in fase precoce, c’è uno studio, tradotto in ben cinque lingue ed utilizzato anche in altri Paesi, anche del Centro-Sud America, i cui medici del territorio ci chiedevano aiuto. Anziché ostacolarli, deriderli, attraverso i media nazionali e i fact-checker scelti dallo stesso Ministero.
Perché non ascoltare il professor Palù, che all’inizio del 2021 dichiarava in diverse interviste, anche televisive, che il paracetamolo era dannoso per il Covid, confermando la bontà del nostro approccio?
Possono gli enti istituzionali, Ministero della Salute, Agenas, AIFA, aver gestito in questo modo un’emergenza pandemica di tale portata, sarebbe stato troppo difficile realizzare un tavolo tecnico convocando le parti per una linea comune.
L’8 aprile del 2021 il Senato della Repubblica aveva votato praticamente all’unanimità una mozione con la quale aveva chiesto al Governo di impegnarsi all’apertura di un tavolo di lavoro per la cura domiciliare precoce, coinvolgendo i medici che avevano agito sul campo, ovvero tenendo conto delle evidenze cliniche raccolte da migliaia di professionisti. Quel voto è stato totalmente ignorato. Perché?
Perché Sileri, che ci incontrava in data 10 marzo del 2021, ci coinvolgeva con Agenas, dopo l’ordinanza cautelare ottenuta da me dal Tar Lazio in data 4 marzo 2021 circa la dannosa vigile attesa? Speranza appellava detta decisione al Consiglio di Stato pubblicando le nuove linee guida il 26 aprile 2021, esattamente il giorno dopo la riforma ottenuta dal CTS, ricordatevi questa circostanza.
Il diritto-dovere per i medici, avente giuridica rilevanza sia in sede civile che penale, di prescrivere i farmaci che essi ritengono più opportuni secondo scienza e coscienza, e che non può essere compresso nell’ottica di un’attesa potenzialmente pregiudizievole sia per il giorno 23 aprile 2021, il giorno prima. Era tutta una farsa, quindi. Diversamente, cosa ha inciso su tale cambio di rotta?
Il giorno 25 aprile 2021 il sottosegretario Sileri, da me raggiunto al telefono, dichiarava che non era responsabile di quanto stava accadendo, in quanto aveva da poco ricevuto la bozza delle nuove linee guida datata 30 marzo 2021, prima della decisione del Senato dell’8 aprile, e mai comunicata dal Ministro al sottosegretario, per una mancanza chiara di dialogo tra Ministro e sottosegretario, stilate dal Dipartimento di Prevenzione di cui aveva la delega Speranza, senza aver coinvolto Sileri e gli stessi territori.
Perché non pubblicarle subito e attendere la decisione del CTS? Il 26 aprile 2021, dopo ben 27 giorni dalle bozze, il Dipartimento di Prevenzione licenziava le nuove linee guida che, al di là di alcune piccole variazioni, non avevano minimamente tenuto conto delle indicazioni del Senato. Le uniche modifiche introdotte erano di fatto già presenti nel protocollo proposto e utilizzato dal Comitato da oltre un anno. Tali modifiche consistevano nell’aggiungere FANS al paracetamolo, che, nonostante le evidenze scientifiche contrarie, continuava a non essere eliminato dalle linee guida.
Tale circostanza, insieme alla persistenza delle indicazioni della vigile attesa, costrinse il Comitato a rivolgersi nuovamente al Tar.
Perché nelle more Speranza non riceveva i medici del Comitato in data 27 luglio 2021 alla presenza dell’attuale Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che fu l’unico politico che si presentò con noi davanti al ministero, facendoci incontrare funzionari senza senso alcuno. È accettabile in un Paese democratico ignorare dei professionisti e dei medici, che senza nessun contributo economico offrivano il loro aiuto alle istituzioni per riuscire a superare l’emergenza? E’ accettabile, mi chiedo?
Nel contempo il Comitato dei medici stessi diventava il punto di riferimento per supportare i minori contagiati all’estero in viaggio di studio durante il mese di luglio del 2021, cioè il Governo non aveva previsto dei protocolli sanitari di intesa con gli altri Paesi coinvolti e noi siamo stati il punto di riferimento per i cittadini che avevano i figli negli altri Paesi in viaggio studio. A me non sembra normale questa circostanza.
Perché costringere i medici ad impugnare anche le nuove linee guida del 26 aprile 2021, anziché coinvolgerli?
Il Tar del Lazio, con sentenza 419 del 15 gennaio 2022, stabiliva: “la prescrizione dell’AIFA, come mutuata dal Ministero della Salute, contrasta pertanto con la richiesta di professionalità del medico e con la sua deontologia professionale, imponendo, anzi impedendo l’utilizzo di terapie ritenute da questi ultimi idoneee al contrasto del Covid 19, come avviene per ogni attività terapeutica. Impedendo ai medici eventuali scelte terapeutiche si pone in contrasto con l’attività professionale così come demandata al medico nei termini indicati dalla scienza e dalla deontologia professionale” .
Perché nessuno interveniva sulle azioni del Ministero della Salute, chi invece pensava solo subito a ricorrere al Consiglio di Stato?
Il Consiglio di Stato, con sentenza 946 del 9 febbraio 2022, ha riformato la decisione del TAR, sostenendo che si trattassero di semplici raccomandazioni che tali non erano, come nel caso dell’eparina, che per le linee guida doveva essere somministrata solo ai pazienti allettati, e nel Covid non era così.
Questa decisione è stata ritenuta discutibile, secondo un’inchiesta del Fatto Quotidiano riportata in un articolo del 12 febbraio 2022, in quanto adottata da un collegio di cinque giudici, di cui tre ricoprivano incarichi fuori ruolo in vari ministeri. L’inchiesta del Fatto Quotidiano ha sollevato dubbi circa un potenziale conflitto di interessi, in cui gli interessi personali dei giudici potrebbero aver influenzato la decisione, compromettendo la loro imparzialità, di prescrivere farmaci che ritengano più appropriati alla specificità del caso, il rapporto a singolo paziente sulla base delle evidenze scientifiche acquisite, che non c’erano nel periodo emergenziale, come ben sapete. Perché proprio il 10 febbraio 2022, 9 febbraio la decisione del Consiglio di Stato, 10 febbraio 2022, all’epoca era 23, aprile 2021 Consiglio di Stato, 26 aprile 2022, ancora una volta il giorno successivo alla decisione del CTS, pubblicando un’ulteriore linea guida di cura domiciliare e il Ministero della Salute correggeva il tiro, sostituendo le imposizioni contestate con delle raccomandazioni proprio tenendo conto dell’indicazione oggetto del ricorso al TAR.
Perché oggi si vuole far credere che le linee guida fossero semplici raccomandazioni per i medici che potevano agire in scienza e coscienza, ma assumendosi però personalmente i rischi di una terapia precoce in contrasto con le stesse linee guida?
Un medico di famiglia, in un momento in cui vedeva migliaia di persone in un mese, nella maggior parte dei casi era condizionato dalle linee guida, che tendeva a rispettare spesso e in modo rigoroso proprio per evitare di incorrere in responsabilità personali.
Se si considera che solo una minima percentuale si discostava dalle linee guida, un cittadino italiano contagiato doveva essere fortunato ad incontrare il medico di famiglia che si assumesse la responsabilità, viceversa, era destinata ad una probabile ospedalizzazione.
Non sarebbe stato più opportuno, a questo punto, non fornire delle raccomandazioni così stringenti, lasciando i medici liberi di agire, senza vincoli, anziché poi convocarli in diversi ordini professionali per non aver rispettato le linee guida pur di aiutare i cittadini e il Paese?
Perché il professor Suter, al terreno di professor Remuzzi, in un’inchiesta di Report a telecamere nascoste, affermava che, se non si fosse utilizzata la tachipirina, si sarebbero salvate migliaia di vite, e nessuno ha preso in considerazione tali affermazioni del febbraio 2022?
Nessuno ha mai preso in considerazione queste affermazioni del professor Suter.
Perché la vigile attesa e il paracetamolo venivano indicati nelle linee guida in assenza di studi randomizzati al riguardo e sono tuttora presenti a distanza di quasi 5 anni?
Perché sono rimasti inascoltati gli inviti a mezzo PEC più volte inviati dal Comitato di terapia domiciliare ad effettuare gli studi randomizzati sull’utilizzo precoce degli antinfiammatori?
E perché, dopo le nostre pubblicazioni retrospettive con il contributo del professor Serafino Fazio, coordinatore del nostro comitato scientifico, e quelle del professor Remuzzi, non sono stati subito autorizzati ad effettuare gli studi randomizzati sull’uso precoce degli antinfiammatori?
Quanto ha influito la politica in tutte queste decisioni di carattere sanitario? E quanti italiani si sarebbero potuti salvare? Ripercorrendo questi eventi emerge un quadro di scelte tardive, inappropriate, contraddittorie e talvolta incomprensibili.
Credo sia necessario fare chiarezza non solo per individuare eventuali responsabilità, ma soprattutto per imparare da questi errori e garantire che il nostro Paese sia meglio preparato per affrontare delle future emergenze.
La gestione dell’emergenza di tale portata avrebbe richiesto un approccio basato sulla scienza e sulle evidenze, ma anche sull’esperienza clinica di chi operava sul campo.
Tuttavia, numerose decisioni, come quelle relative alle cure domiciliari, alle linee guida e alla libertà prescrittiva dei medici, hanno sollevato interrogativi che meritano risposte chiare.
Non possiamo dimenticare il costo umano ed economico di queste decisioni, anche in termini di limitazione delle libertà fondamentali.
Resto a disposizione della Commissioneper ogni ulteriore chiarimento e per fornire ulteriori atti rispetto a quelli che oggi deposito, nonché per essere ascoltati innanzi alla competente procura onde contribuire a garantire giustizia e verità, ripeto: giustizia e verità ai cittadini italiani e soprattutto ai parenti delle vittime del Covid.
Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore.
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