Giornalismo e riservatezza delle fonti: la Francia cerca di scardinarla con l’eccezione della sicurezza nazionale

“È in corso in Europa il negoziato sull’European Media Freedom Act. L’intento per le istituzioni brussellesi è punire le più eclatanti violazioni dello stato di diritto che si verificano in Paesi come la Polonia e l’Ungheria”, denuncia Elena Basile, scrittrice e diplomatica italiana. Dal 2013 al 2021 è stata ambasciatrice in Svezia e Belgio. È stata insignita dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana.

“Non esiste tuttavia in Ue consapevolezza dell’effettiva diminuzione della libertà di stampa e di espressione che si sta verificando nelle democrazie occidentali. Non a caso, nel dibattito a porte chiuse del Consiglio europeo, la Francia ha proposto un’eccezione alla regola in base a cui i governi non possono esercitare mezzi coercitivi nei confronti dei giornalisti al fine di avere rivelate le loro fonti. L’eccezione sarebbe costituita dalla sicurezza nazionale. Concetto molto ampio e vago che potrà dare adito, soprattutto ora che una guerra è in corso sul suolo europeo, ai peggiori arbitrii e soprusi. I giornalisti potranno quindi essere spiati dai governi che interferiranno sul loro lavoro.

Mentirei se dicessi che sono rimasta scandalizzata dalla notizia. Abbiamo tutti osservato nel corso degli anni e in modo accelerato dallo scoppio della guerra un imbarbarimento del dibattito pubblico in occidente e un controllo da parte del potere esecutivo sulla stampa. Nessun politico del centrodestra e del centrosinistra in Europa si è espresso chiaramente sul caso di Julian Assange, che ha rivelato i crimini di guerra in Iraq, perseguitato dai governi statunitense, svedese e britannico secondo il rapporto del Commissario sulla tortura delle Nazioni unite, Nils Melzer. Assange sta marcendo nel carcere di massima sicurezza destinato ai più pericolosi criminali a Bellmarsh. Gli stessi politici tormentati (giustamente) dalle sorti di Navanly in Russia non dicono una sola parola a sostegno di Assange, la cui estradizione verso gli Stati Uniti, Paese che pratica la pena di morte, diviene giorno dopo giorno più vicina. Tutte le motivazioni dell’appello presentato dagli avvocati all’Alta corte di giustizia a Londra sono state respinte. Resta la possibilità di una seconda pronuncia della Corte da parte di due nuovi giudici. L’ultima opportunità sarà costituita dalla Corte di giustizia europea. Melzer ha documentato le violazioni del diritto, la manomissione delle prove, la tortura fisica e psicologica a cui è stato sottoposto Assange in anni di prigionia senza processo, eppure nessun politico del mainstream che si riempie la bocca di diritti umani ha sentito la sua coscienza ribellarsi e il dovere civico, politico e cristiano di levare la voce a favore di Assange.

Sono contenta invece che un gruppo di diplomatici in pensione italiani abbia preso posizione con una dichiarazione, pubblicata a maggio su questo e altri giornali come il manifesto, contro una politica che nasconde ai propri cittadini i crimini di guerra e punisce chi li rivela. Una posizione coraggiosa che stabilisce chiare linee rosse alla segretezza della diplomazia che pure è inevitabile. Un progetto che potrebbe avere un’importante valenza politica è quello di unire le minoranze della diplomazia europea e farle comunicare tra di loro al fine di far ascoltare pubblicamente la loro voce contro la graduale e crescente diminuzione della libertà di stampa e di pensiero in occidente, contro l’infame propaganda bellicista a cui ogni giorno assistiamo.

Bisognerebbe chiarire che sostenere la liberazione di Assange non ha nulla a che vedere con lo schierarsi a favore del movimento Wikileaks. Si può a ragione o torto credere che il progetto di Assange peccasse di romantico idealismo e che la trasparenza sia un obiettivo irraggiungibile. La politica e la diplomazia non rinunceranno ai segreti e alla ragion di Stato. In alcuni casi a fin di bene, basti pensare all’accordo di Kennedy e Chrušcëv che comprendeva una parte segreta ma che ha permesso di evitare una guerra nucleare.

Il problema tuttavia non è iscriversi al movimento Wikileaks, ma salvare dalla tortura e dalla prigionia a vita un giornalista occidentale che ha esercitato la sua professione con idealismo, senza mettere un soldo in tasca e ponendo a repentaglio la propria sicurezza personale. Magari le nostre classi dirigenti avessero un decimo del coraggio morale di Assange! Lui e tutti i whistleblower sono gli eroi del nostro tempo. Antigone è ancora viva.

Di fronte alle atroci violazioni del diritto costituite dal caso Assange, di fronte alla censura esplicita difesa dall’Europa con la scusa della disinformazione, di fronte alla criminalizzazione del dissenso sulla guerra in Ucraina, la notizia della codificazione della sorveglianza sui giornalisti non mi ha purtroppo stupito.

Questo nuovo attentato alla libertà di stampa ci ha tuttavia indignato. Contro l’odierno clima oscurantista è ora di mobilitarci, tutti, diplomatici, professionisti, classi dirigenti e popolari. Altrimenti ci sveglieremo un giorno col bavaglio alla bocca e sarà troppo tardi”.

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