Commisione Covid: “pazienti morti indicati come sacco numero…, divieto di visite ai parenti, terapie negate, medici giovani dotati solo di saturimero”, Comitato Nazionale Familiari delle Vittime Covid

Pubblichiamo la trascrizione dell’audizione della Commissione Covid del presidente del Comitato Nazionale Familiari delle Vittime Covid

“Sono Sabrina Gualini, presidente del Comitato Nazionale Familiari delle Vittime Covid, che è un comitato iniziato su Facebook, come gruppo Facebook, dall’incontro di vari familiari. Ci incontravamo in questo gruppo e ci siamo ritrovati a condividere il lutto Covid, che è un lutto traumatico. Ci siamo ritrovati a raccontare quello che era accaduto ai nostri cari e ci siamo resi conto che le nostre storie, seppur dissimili tra loro, avevano diverse similitudini sotto molti aspetti. Da lì, abbiamo pensato di costituire il comitato, che è registrato formalmente da agosto duemilaventidue.

Perseguiamo la ricerca della verità e della giustizia per i nostri cari, per ridare a loro quella dignità che, a nostro avviso, è stata rubata e che reputiamo sia stata lesa anche da morti, nell’era dello sviluppo scientifico avanzato e del metaverso.

Cosa c’è di umano nel vietare di vedere il proprio parente quando ormai è morto? Noi non sappiamo neppure chi c’è dentro la bara che ci è stata riconsegnata sigillata. Molti di noi non hanno potuto onorare il proprio caro neppure con la celebrazione di un funerale in Chiesa. Pensavano forse che il virus uscisse dal morto e, attraverso i sigilli della bara disinfettata, contagiasse i presenti?

I giornalisti potevano entrare nelle aree covid e mandavano in onda immagini che, insieme ai martellanti bollettini del numero dei contagiati, ricoverati, morti ogni ora, ogni giorno, alimentavano la paura e la solitudine in chi già era sconfortato.

A noi familiari era vietato fare visita ai nostri parenti perché si diceva che il virus lo portavamo dall’esterno. Eppure noi stessi del Comitato piangiamo un parente che era tampone negativo all’ingresso degli ospedali o delle RSA, per poi ritrovarsi positivo al tampone SARS-CoV-2 dopo diverso tempo dalla degenza o dall’ospitalità nella RSA.

È il caso, ad esempio, di una RSA in Piemonte che ospitava 119 persone, delle quali ne sono morte 53 nel giro di una quarantina di giorni. Era novembre 2020. La terapia era paracetamolo e vigile attesa, che si è conclusa purtroppo con la morte delle 53 persone. Tra queste vi è la madre di un nostro associato, fatta uscire dalla struttura stessa, la quale ha dimesso questa ospite quando era già con polmonite avanzata. Portata in ospedale, la signora è morta nel giro di sei giorni. Nel comitato ci sono altri casi di contagio in RSA o in ospedale, sia nel 2020 ma anche nel 2021, dove ci si era recati per altri motivi, ad esempio in Basilicata, dove una parente del ricoverato, vaccinata, non ha potuto far visita alla madre.

Per non parlare delle infezioni nosocomiali, riscontrate a seguito della valutazione specialistica delle cartelle cliniche di diversi dei nostri defunti.

La morte, sembra quasi che l’Italia sia ancora, durante il Covid, il fanalino di coda dell’Europa per quanto riguarda le infezioni nosocomiali. Anche in questi casi, la morte è stata classificata come morte da Covid, così come per coloro che sono stati trattati con ossigeno somministrato per un tempo prolungato, che ha causato danni anziché migliorare la situazione dei pazienti. Il 19 gennaio 2021, il Comitato di Bioetica Nazionale ha fatto una mozione in cui esprimeva le sue considerazioni sul problema della solitudine dei pazienti, sia affetti da Covid che non, ricoverati negli ospedali soggetti alle misure di sicurezza sanitaria imposte da chi si è trovato a gestire la pandemia. Il comitato auspicava che fossero fatti tutti gli sforzi possibili al fine di assicurare le visite dei familiari ai pazienti ricoverati, sottolineando che il morire in solitudine, quando non sia conseguenza di una richiesta esplicita, è sinonimo di sofferenza sia per chi muore sia per chi resta.

Si invitava quindi a prendere provvedimenti e soluzioni innovative per valorizzare la sfera affettiva e relazionale. Si consigliava, ad esempio, di favorire la presenza del volontariato e di garantire la possibilità di contattare i propri cari, almeno con dispositivi tecnologici.

Diversi erano anziani; ad esempio, mio padre di 79 anni rispondeva soltanto al cellulare a casa, mentre in ospedale, invece, sembra che questo cellulare fosse lontano da lui, e lui, immobilizzato a letto, non poteva raggiungerlo. Oggi sono qui a riferire a questa commissione che il nostro comitato può raccontare una realtà vissuta che è lontana anni luce da quanto consigliato dal Comitato Nazionale di Bioetica, che addirittura raccomandava di dare rilievo all’umanizzazione e alla personalizzazione delle cure.

Mi preme anche sottolineare che non si intende fare di tutta un’erba un fascio, riporto ciò che è di mia conoscenza. Abbiamo conversazioni intercorse tra parenti ricoverati e familiari a casa che sono prove reali, che siamo in grado di fornire, se richiesto dalla Commissione.

Parlo di casi accaduti in Campania, ad esempio, un uomo poco più che cinquantenne, a ottobre-novembre 2020, dopo l’estate alleggerita anche dal bonus vacanze, che faceva pensare che tutto fosse ormai passato. Le notizie dell’epoca dicevano che saremmo stati pronti per una seconda ondata, ma gli associati di Campania, Basilicata, Puglia e Sicilia ci riportano che per loro la seconda ondata è stata in effetti la prima. E parlo anche di casi in Puglia, ad esempio, un uomo di 45 anni, padre di tre figli piccoli, che ha vissuto la precarietà assistenziale in una struttura ospedaliera che lo ha ricevuto dopo il rifiuto di una prima, per mancanza di posti letto. Scriveva alla giovane moglie: “Non lasciarmi morire in questo pronto soccorso”, lamentando di non avere nemmeno un campanello per chiamare aiuto; era marzo 2021. Quest’uomo scriveva di non riuscire a respirare con la maschera che gli avevano messo e che, nonostante alzasse le braccia per attirare l’attenzione, nessuno si avvicinava.

Ci chiediamo quindi a cosa sia servito l’incremento tariffario, oltre 3000 euro al giorno per la degenza in area medica Covid o oltre 9000 euro al giorno per la terapia intensiva, se i diritti del malato e della persona non sono stati rispettati. Quando parlo di diritti del malato, mi riferisco anche al consenso informato, che sembra essere scomparso in presenza del Covid, così come la cosiddetta “second opinion,” che ogni malato ha diritto di avere. Anche questo è stato negato. Le USCA dovevano servire a ridurre il carico sul pronto soccorso e supportare il medico di famiglia, il quale, tuttavia, pare avesse cessato di essere realmente il medico della famiglia, seguendo il consiglio di non fare visite a domicilio. Quindi, ci si ritrovava a fare riferimento alle USCA, che forse, numericamente inadeguate, una su 50 mila abitanti, spesso ritardavano nei soccorsi, tanto che in alcuni casi si è dovuto ricorrere ai carabinieri.

Riferiscono inoltre che i medici erano spesso neolaureati e inesperti, dotati soltanto di un saturimetro. Nei casi che conosco, nel 2020 c’era solo questo dispositivo, senza ecografi polmonari o apparecchi per emogasanalisi. Il paracetamolo e la vigile attesa erano definiti come raccomandazioni, ma poi ci siamo trovati davanti a medici che li consideravano come l’unica terapia, la vigile attesa, fino a quando il paziente non si aggravava e finiva in ospedale in condizioni disperate.

Anche per quando riguarda i tamponi molecolari: bisognava aspettarli anche lì ci sono stati dei delle disorganizzazioni incredibili anche pazienti che non potevano ricevere la cosiddetta terapia paracetamolo e vigile attesa se prima non avevano il o comunque un antibiotico se prima non avevano il tampone molecolare che oggi fa il tampone molecolare fra un due giorni hai la risposta e quindi già questo non gli abbracciano, dove si andava per il tampone erano anche sempre sovraffollati.

Ci chiediamo come sia stato possibile ostracizzare la terapia al plasma iperimmune, che già a Mantova e Pavia a fine marzo 2020, con i dottori De Donno, Perotti e Franchini, aveva dimostrato di essere efficace se somministrata precocemente. Diversi di noi si sono visti negare l’accesso a questa terapia, derisa o perché considerata inefficace, o perché le ASL non l’avevano disponibile.

È notizia di agosto 2024 che un uso esteso del plasma iperimmune avrebbe evitato circa 200.000 ospedalizzazioni e migliaia di decessi.

Concludo dicendo che, per tutto ciò che si poteva fare e forse non è stato fatto, chiedo personalmente di audire il professor Massimo Franchini, direttore del servizio di immunoematologia e medicina trasfusionale dell’ospedale Carlo Poma di Mantova, che potrà ben documentare a questa commissione l’importanza del plasma iperimmune nelle emergenze pandemiche. Posso fornire studi in merito. Purtroppo, ci è stato precluso l’uso del plasma iperimmune, privandoci anche dell’autodeterminazione rispetto a questa terapia, così come rispetto agli anticorpi monoclonali anti-spike. Siamo in attesa di sapere l’esito dell’inchiesta della Corte dei Conti sulle dosi gratuite del 2020 e sugli anticorpi somministrati solo a pazienti vaccinati, mentre sappiamo che migliaia di dosi sono scadute inutilizzate. Un noto virologo ha detto che, se fossero state utilizzate tempestivamente, avrebbero salvato migliaia di persone.

Dico infine che i farmaci di largo uso nelle cartelle cliniche sono Midazolam, Dexdor, Morfina, somministrati anche a pazienti non intubati, talvolta definiti “scassamarroni”.

Alcune delle dolorose storie dei familiari delle vittime Covid le abbiamo raccolte nel libro “Volevo solo tornare a casa,” pubblicato a maggio di quest’anno, con la prefazione del vescovo emerito Giovanni Dercole, che si era opposto ai DPCM che vietavano le messe e i funerali. Il libro contiene anche la legge istitutiva di questa Commissione e la proposta di legge per il riconoscimento dello stato di vittime, redatta dall’avvocato Leonor Ragoletti, vice-presidente del nostro Comitato.

Sono tutte storie così, è stato vietato proprio di vedere i parenti morti, anche indossando doppia, tripla, tuta, il nostro caro ormai esanime. Quindi anche la cosiddetta vestizione non c’è stata. Noi abbiamo poi letto, e c’è stato anche comunque riferito, che venivano messi nei sacchi. Sacchi che poi sono stati anche visti da alcuni familiari. I pazienti morti venivano indicati questi pazienti proprio come il sacco numero, il sacco… Ecco, quindi…

Il mio papà è morto il 27 luglio del 2021.  Bisognava dare la dignità della morte noi non abbiamo avuto questo…”
L’audizione della Commissione Covid è stata trasmessa in diretta sulla sulla Tv della Camera dei Deputati (qui il link alla diretta)

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore.

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