Se non acconsenti al cambio di sesso tuo figlio/a rischia di suicidarsi, questo il metodo per estorcere il consenso ai genitori sulla transazione di genere

Luka Hein ha raccontato la sua storia di transizione e come è avvenuta al convegno: “Ingannata”.

“Ero una giovane teenager e stavo vivendo il periodo più duro della mia vita perché in quel momento i miei genitori si erano appena separati, la mia vita stava andando a rotoli, per non parlare del fatto che ero stata vittima di adescamenti online, che erano stati gestiti male dagli adulti intorno a me. Inoltre, mi sentivo separata dal mio corpo, tanto che, se guardo indietro, penso che mi guardassi in terza persona, come se il mio corpo fosse una cosa esterna a me. Avevo 14 anni e mi sentivo disconnessa da tutto ciò che avevo intorno.

Online, tutti questi sentimenti che provavo, legati al trauma che avevo vissuto, tutte le emozioni tipiche dell’adolescenza, venivano stravolte. Mi veniva detto che il motivo per cui non mi piacevo o non accettavo il mio corpo non era perché ero insicura o perché stavo attraversando un periodo difficile, ma perché in realtà ero un ragazzo nato nel corpo sbagliato. Quindi la soluzione era la transizione: la sofferenza, l’ansia e la depressione che stavo vivendo erano dovute al fatto di essere intrappolata in un corpo sbagliato.

Ho cercato aiuto prima online, ma poi mi sono rivolta a professionisti: dottori, psicologi, medici. Tenete presente che stavo già seguendo una terapia per la mia salute mentale. E quindi, in quanto adolescente in crisi, ho seguito il percorso che farebbe chiunque cercando aiuto dagli esperti.

Il problema è stato che, nel momento in cui è entrato in gioco il tema del gender, tutti i problemi che avevo sono stati messi da parte, nessuno li ha considerati. Invece di vedermi come una ragazza con dei problemi che dovevano essere risolti alla radice, mi è stato detto che ero una ragazza trans e che tutto quello che stavo vivendo – la situazione a casa, i conflitti con i miei genitori – era causato dal fatto che fossi trans.

Quando i miei genitori hanno cercato di opporsi, essendo io in un programma di terapia intensiva, non è stata data loro alcuna scelta se non quella di assecondare il percorso indicato. Ogni tipo di obiezione veniva respinta con la paura di un rischio di suicidio, anche se io non avevo mai avuto pensieri suicidi. Ai miei genitori è stato detto: “Questo è quello che bisogna fare, altrimenti potrebbe esserci un rischio di suicidio”, costringendoli ad accettare di seguire il percorso che portava alla transizione.

A scuola sono stati subito pronti ad assecondarmi: insegnanti e compagni hanno iniziato a usare i pronomi che volevo, pensando che fosse una cosa progressista e positiva. In Italia, molte scuole stanno adottando il regolamento della carriera alias, che prevede che, quando uno studente sente di essere nato nel corpo sbagliato, professori e studenti debbano riconoscere il genere con cui si identifica in quel momento. Questo viene presentato come un atto neutro e gentile. Molti genitori e insegnanti mi dicono: “Ma che male c’è a chiamare una persona con il nome che vuole?”. Lo vedono come un gesto di cortesia.

La mia prima procedura medica è stata una mastectomia a 16 anni, e poi, qualche mese dopo, ho iniziato la terapia con testosterone, che ho seguito per 4 anni. Ancora oggi, però, ho complicazioni di salute: dolori articolari, atrofia di alcune parti del corpo, e altri problemi di cui non so se potrò mai liberarmi completamente. Tutto questo mi era stato venduto come la soluzione per salvare la mia adolescenza.

Quando ho varcato la soglia della clinica, tutte le altre questioni che avevo sono state ignorate. Ci si è focalizzati esclusivamente sul tema del gender, tanto che mi è stata proposta come unica via quella di entrare in una clinica specializzata per il cambio di genere.”

Fonte

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