I sindacati dei tassisti chiedono di sapere “da chi è stato ricevuto il capo di Uber a palazzo Chigi”

Uber ha fatto lobbing per i suoi interessi sui governi. Le in mano al guardina hanno svelato un sistema di lobbying e pubbliche relazioni attuate dalla società per provare a ottenere l’appoggio di politici di spicco e scombussolare il settore dei taxi in Europa.

I sindacati dei tassisti chiedono di sapere “da chi è stato ricevuto il capo di Uber a palazzo Chigi e di cosa si è parlato, in un momento così delicato nel quale, senza alcun apparente motivo, i tassisti sono stati inseriti nel Ddl Concorrenza nonostante la liberalizzazione del servizio non sia prevista dalla Direttiva Comunitaria Bolkestein e tale obiettivo, non è tra quelli necessari da raggiungere per ottenere i fondi europei del PNRR.

Il dossier è gigantesco: oltre 120.000 intercettazioni, 83.000 e-mail e altri file su operazioni condotte dalla società Uber tra 2013 e 2017: “Uber ha segretamente effettuato per anni campagne di pressione e persuasione presso le cancellerie di mezza Europa e negli Usa, mentre sosteneva con pratiche ai limiti della legalità, se non al di fuori, la sua aggressiva manovra di espansione globale”. Il nome più clamoroso che emerge da questa indagine è quello dell’attuale presidente francese, Emmanuel Macron, che secondo il Guardian avrebbe “aiutato segretamente Uber nella sua attività di lobby in Francia”.

L’operatore della piattaforma per auto a nolo avrebbe approcciato anche l’attuale presidente Usa, Joe Biden, l’attuale cancelliere tedesco Olaf Scholz e l’ex ministro delle Finanze britannico, George Osborne. Nell’indagine finisce anche l’ex commissaria europea Neelie Kroes. L’inchiesta si focalizza sulle attività che il cofondatore di Uber, Travis Kalanick, ha effettuato per cercare di inserire il servizio nelle maggiori città del mondo, “usando la forza bruta – dice ancora il quotidiano – anche se significava violare le leggi e le normative che regolamentano i servizi di taxi”, scrive il Guardian

è successo in Italia lo rivela l’Espresso. ‘Italy – operation Renzi – rivela l’Espresso – è il nome in codice di una campagna di pressione organizzata dalla multinazionale, dal 2014 e il 2016, con l’obiettivo di agganciare e condizionare l’allora presidente del consiglio e alcuni ministri e parlamentari del Pd. Nelle mail dei manager Usa, Matteo Renzi viene definito “un entusiastico sostenitore di Uber”. Per avvicinare l’allora capo del governo italiano – spiega ancora il settimanale – la multinazionale ha utilizzato, oltre ai propri lobbisti, personalità istituzionali come John Phillips, in quegli anni ambasciatore degli Stati Uniti a Roma. Il leader di Italia Viva ha risposto di non aver “mai seguito personalmente” le questioni dei taxi e dei trasporti, che venivano gestite “a livello ministeriale, non dal primo ministro”. Renzi conferma di aver incontrato più volte l’ambasciatore Phillips, ma non ricorda di aver mai parlato di Uber con lui o con altri lobbisti americani. E comunque il governo Renzi – precisa l’Espresso – non ha approvato alcun provvedimento a favore del colosso californiano.

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