Tagli continui alla sanità pubblica. La denuncia della fondazione Gimbe

La Fondazione GIMBE audita presso la XII Commissione Affari sociali alla Camera dei Deputati nell’ambito dell’esame delle proposte di legge recanti disposizioni per il sostegno finanziario del Servizio Sanitario Nazionale (SSN).

«Negli ultimi 15 anni – esordisce Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – è bene ribadire che tutti i Governi, di ogni colore, hanno tagliato risorse o non finanziato adeguatamente il SSN, portando il nostro Paese ad essere in Europa “primo tra i paesi poveri” in termini di spesa sanitaria pubblica sia in percentuale del PIL, sia soprattutto pro-capite». Infatti, nel 2022 siamo davanti solo ai paesi dell’Europa meridionale (Spagna, Portogallo, Grecia) e a quelli dell’Europa dell’Est, eccetto la Repubblica Ceca» (figura 1). Il gap rispetto alla media dei paesi europei dal 2010 è progressivamente aumentato, arrivando nel 2022 a $ 867, pari a quasi € 810 (figura 2), che, parametrato ad una popolazione residente ISTAT al 1° gennaio 2023, per l’anno 2022 corrisponde ad una voragine di € 47,7 miliardi. Nell’intero periodo 2010-2022 il gap cumulativo arriva alla cifra monstre di $ 363 miliardi, pari a circa € 336 miliardi (figura 3). «Una progressiva sottrazione di risorse pubbliche – continua Cartabellotta – che determinato l’inesorabile indebolimento del SSN nelle sue componenti strutturale, tecnologica, organizzativa e, soprattutto, professionale, con drammatiche conseguenze che oggi ricadono su 60 milioni di persone».

«I princìpi fondanti del SSN, universalità, uguaglianza, equità – continua il Presidente – sono stati ampiamente traditi e la vita quotidiana delle persone, in particolare delle fasce socio-economiche più deboli, è sempre più condizionata da esperienze che documentano la mancata esigibilità del diritto alla tutela della salute: interminabili tempi di attesa, pronto soccorso affollatissimi, impossibilità di trovare un medico o un pediatra di famiglia vicino casa, necessità di ricorrere alla spesa privata sino all’impoverimento delle famiglie e alla rinuncia alle cure, enormi diseguaglianze regionali e locali sino alla migrazione sanitaria».

«Conseguenze del fatto che a partire dal 2010 – commenta Cartabellotta – indipendentemente dalle cifre assolute, la sanità pubblica è continuamente definanziata, come documentato dall’inesorabile aumento del gap della spesa sanitaria pro-capite rispetto alla media dei paesi europei».

FABBISOGNO SANITARIO NAZIONALE (FSN) PASSATO E PRESENTE:

  • Periodo 2010-2019: il FSN è aumentato di € 8,2 miliardi con una percentuale di crescita complessiva dello 0,9% rispetto all’1,2 % dell’inflazione. «Per 10 anni – chiosa il Presidente – Regioni, Aziende sanitarie e professionisti hanno lavorato in un contesto iso-risorse che ha progressivamente eroso la resilienza del SSN, poi travolto dalla pandemia quando già gravemente indebolito». (figura 4).
  • Periodo 2020-2023: l’incremento del FSN è pari a € 15,1 miliardi che, spiega Cartabellotta «non hanno consentito alcun rinforzo strutturale del SSN, né hanno permesso alle Regioni – anche quelle più virtuose – di mantenere i conti in ordine senza tagliare i servizi o aumentare le imposte regionali». Sia perché le risorse sono state utilizzate in larga misura per fronteggiare l’emergenza pandemica, sia perché l’incremento del 2,9% nel 2022 e del 2,8% nel 2023 è stato pesantemente eroso dall’inflazione (8,1% nel 2022 e 5,7% nel 2023) (figura 5).
  • Legge di Bilancio 2024. Il FSN viene incrementato di € 3 miliardi per il 2024, € 4 miliardi per il 2025 e € 4,2 miliardi per il 2026, salendo a € 134 miliardi per il 2024, € 135,4 miliardi per il 2025 e € 135,6 miliardi per il 2026. «Se in termini assoluti è ben evidente il netto incremento del FSN nel 2024 – spiega Cartabellotta – è bene rilevare da un lato che oltre l’80% è destinato al doveroso rinnovo dei contratti del personale dipendente e convenzionato, dall’altro che l’ultima Manovra non lascia intravedere alcun rilancio del finanziamento pubblico. Infatti, gli incrementi previsti nel 2025 (+1%) e nel 2026 (+0,15%) sono talmente esigui che non riusciranno a compensare l’inflazione, né l’aumento dei prezzi di beni e servizi».

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