Che differenza c’è tra l’Euro Digitale e i BitCoin?

“L’euro digitale non ha nulla a che fare con le cripto-attività quale il bitcoin” –  ha spiegato Fabio Panetta, Membro del Comitato esecutivo della BCE, nella sua lectio magistralis, nel convegno “Presente e futuro della moneta nell’era digitale. Le opportunità per il risparmio e lo sviluppo”, che si è tenuti recentemente a Roma.

“Essendo emesso dalla banca centrale, l’euro digitale avrebbe un valore garantito dallo Stato. Al contrario, le cripto-attività non sono emesse da alcun operatore: sono strumenti fittizi senza valore intrinseco, che non generano flussi di reddito – cedole, dividendi – e non offrono alcun servizio d’uso al possessore. Sono create attraverso procedure informatiche, e non vi è alcun soggetto, nessuna garanzia che ne assicuri il valore. Le cripto-attività sono scambiate tra operatori che hanno l’unico obiettivo di rivenderle a un prezzo maggiore. Di fatto, rappresentano una scommessa, un contratto speculativo ad alto rischio privo di fondamentali. Per questi motivi il loro valore registra fortissime oscillazioni. Com’è evidente, le cripto-attività sono inadatte a svolgere le tre funzioni della moneta: mezzo di pagamento, riserva di valore e unità di conto. 

Il valore delle cripto-attività è in rapida crescita e attualmente supera i duemilacinquecento miliardi di dollari. Si tratta di un ammontare cospicuo, in grado di generare rischi per la stabilità finanziaria da non sottovalutare. Esso supera ad esempio il valore dei mutui subprime cartolarizzati che nel 2007-2008 scatenarono la crisi finanziaria globale. 

Nonostante la ragguardevole dimensione del fenomeno, non vi sono indicazioni che le cripto-attività abbiano svolto o stiano svolgendo funzioni di utilità economica o sociale: esse non sono comunemente utilizzate per pagamenti al dettaglio o all’ingrosso, non finanziano consumi o investimenti, non contribuiscono alla lotta ai cambiamenti climatici. 

Vi sono anzi chiare evidenze in senso opposto: alcune cripto-attività rappresentano una fonte di enorme inquinamento e di danno ambientale3, e sono ampiamente utilizzate per attività criminali e terroristiche e per occultare redditi agli occhi del fisco4. Per di più, esse non forniscono agli investitori in buona fede alcuna protezione di natura informativa o contro i rischi cibernetici5. Nel complesso, è difficile vedere motivi che giustifichino l’esistenza delle cripto-attività nel panorama finanziario. 

L’euro digitale differisce anche dalle cosiddette stablecoin. Queste sono strumenti digitali il cui valore è legato a quello di un portafoglio di attività a basso rischio (le cosiddette “attività di riserva”), quali valute o titoli. In mancanza di una adeguata, incisiva regolamentazione, anche le stablecoin risultano inadatte a svolgere le funzioni della moneta: poiché il loro rischio può essere basso ma non nullo, esse sono particolarmente vulnerabili a possibili “corse ai riscatti”6 nel caso in cui venisse a mancare la fiducia dei detentori. 

La loro diffusione potrebbe condizionare l’attuazione della politica monetaria e minare l’efficienza del mercato dei titoli7. Ad esempio, una delle stablecoin più diffuse promette “stabilità” investendo in attività di per sé poco rischiose come la carta commerciale, e detiene una quota elevata dello stock di questi strumenti in circolazione. In presenza di tensioni, vendite massicce di attività volte a far fronte a un aumento repentino dei riscatti potrebbero generare instabilità sull’intero mercato della carta commerciale. Il fenomeno potrebbe estendersi e contagiare altre stablecoin e comparti contigui del sistema finanziario, fino a raggiungere le banche che custodiscono la liquidità delle stablecoin. 

I rischi potrebbero essere amplificati da opacità circa la composizione delle attività di riserva, dalla mancanza di controlli sui conflitti di interesse tra emittenti e detentori di stablecoin, da casi di frode9 o cattiva amministrazione10 e dal legame che esiste tra stablecoin e cripto-attività11. 

Nel complesso, le stablecoin non sono poi così “stabili”, e per questa ragione, in una precedente occasione le ho definite unstablecoin12. Nei fatti, un terzo delle iniziative avviate sul mercato negli ultimi anni non è sopravvissuto13. 

I rischi delle stablecoin sarebbero ridotti se le attività di riserva potessero essere detenute interamente sotto forma di depositi presso la banca centrale14. Ciò limiterebbe però la sovranità monetaria, in quanto uno dei compiti fondamentali della banca centrale – la creazione di moneta – verrebbe di fatto delegato a un soggetto privato che lo eserciterebbe per finalità di natura commerciale e non di pubblico interesse quali il controllo dell’inflazione e la stabilizzazione ciclica dell’economia. Inoltre l’uso della moneta diverrebbe esplicitamente o implicitamente oneroso. Ciò condizionerebbe l’accesso a un servizio di importanza fondamentale che da secoli le banche centrali offrono ai cittadini per conto dello Stato, gratuitamente e nell’interesse generale. 

Se ricondotti all’interno di regole e controlli efficaci, alcuni strumenti di finanza digitale emessi da privati possono conferire efficienza ai pagamenti, soprattutto quelli internazionali. L’Europa è all’avanguardia sia in campo normativo sia nella vigilanza e nella sorveglianza sulla finanza digitale15; in altri paesi si stanno intensificando i richiami per rafforzare i controlli16. 

Ma la crescita in larga misura ancora incontrollata della finanza digitale – in particolare della finanza decentralizzata17 – e il suo sviluppo transfrontaliero rendono auspicabili ulteriori interventi coordinati a livello globale. 

Nel contesto appena descritto, l’euro digitale conferirebbe stabilità al mondo della finanza digitale”. 

 

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