Patologie infiammatorie, dolore cronico, malattie neurodegenerative: sono alcuni fra i principali ostacoli a un invecchiamento in salute, nonché patologie sempre più diffuse e responsabili della riduzione della qualità della vita di chi ne soffre. La buona notizia è che la ricerca scientifica sta facendo scoperte sempre più importanti sui meccanismi alla base dell’infiammazione, scoperte che stanno aprendo la strada a trattamenti innovativi: primi fra tutti quelli che si basano sugli SPM (mediatori specializzati nella risoluzione, o proresolvine). Delle ultime novità in materia si è parlato all’EU Summit on Inflammation Resolution, il convegno internazionale organizzato da Metagenics Academy dove sono intervenuti i maggiori esperti del settore, fra cui il Prof. Charles Serhan della Harvard Medical School.
Un evento digitale che ha fatto il punto sugli studi più recenti e aperto le porte alla speranza: «Grazie ai progressi della ricerca è ipotizzabile che presto avremo a disposizione una “farmacologia della risoluzione” che ci consentirà di contrastare i processi infiammatori tipici dell’invecchiamento (non a caso si parla di “inflammaging”) e incidere sull’andamento delle patologie neurodegenerative» spiega Maurizio Salamone, direttore scientifico di Metagenics Academy.
Tra gli interventi dei relatori al convegno si segnalano gli importanti contributi di due studiosi italiani.
Ad approfondire le recenti scoperte su come le cellule immunitarie entrano nel cervello per contrastare i processi neurodegenerativi (responsabili di malattie come Parkinson, Alzheimer e SLA) è stato Valerio Chiurchiù, direttore del Laboratory of Resolution of Neuroinflammation presso l’European Center for Brain Research della Fondazione Santa Lucia a Roma. I suoi studi hanno contribuito alla scoperta del ruolo fisiologico delle proresolvine e la loro compromissione nelle malattie neurodegenerative con componente infiammatoria. «Solo negli ultimi anni abbiamo compreso meglio l’ultimo step dei processi infiammatori, la risoluzione dell’infiammazione applicata anche a patologie del cervello – spiega Chiurchiù –. I farmaci del futuro avranno come target non più l’infiammazione stessa, ma le molecole coinvolte nei processi di risoluzione dell’infiammazione, chiamate SPM (mediatori specializzati nella pro-risoluzione). Siamo di fronte a una nuova branca della farmacologia, che potremmo chiamare appunto “farmacologia della risoluzione”».
A confermare quanto sia promettente la prospettiva offerta dalle proresolvine nel trattamento delle patologie neurodegenerative è stato anche Nicola Biagio Mercuri, direttore della Scuola di Neurologia dell’Università Tor Vergata di Roma. Mercuri, dopo aver sottolineato l’importanza del fattore tempo e dell’invecchiamento nei cambiamenti immunitari che alterano alcuni processi infiammatori, e dopo aver illustrato le più recenti ricerche sul ruolo delle cellule della microglia, ha concluso che, attraverso i trattamenti con le resolvine, «Noi speriamo veramente di poter incidere sulle malattie neurodegenerative. Le applicazioni cliniche delle proresolvine potrebbero dare una risposta efficace a ciò che stiamo cercando da tempo: la possibilità di intervenire non solamente sui sintomi, ma sull’andamento delle malattie neurodegenerative».
Attualmente non si trovano in commercio preparati farmaceutici a base di SPM, ma è possibile introdurre queste sostanze nell’organismo tramite una supplementazione appropriata. A spiegarlo è Maurizio Salamone, direttore scientifico di Metagenics Academy: «Oggi è possibile, grazie al progresso delle tecniche farmacologiche di estrazione, derivare gli SPM o proresolvine dagli acidi grassi essenziali omega-3, ottenendo così integratori naturali che offrono un approccio innovativo, integrativo alla terapia farmacologica, nel trattamento delle patologie infiammatorie, nonché straordinarie prospettive di intervento nelle malattie cardiovascolari e reumatologiche».