Olimpiadi: atleti trasgender nel pugilato commettono il reato di violenza contro le donne? “La foglia di fico dietro cui queste federazioni si nascondono è il livello di testosterone, ma la forza e la struttura muscolare restano quelle di un uomo”, dott. Roy De Vita

La presenza di atleti transgender nel pugilato sta suscitando molte giuste rimostranze. Si tratta di persone geneticamente uomini, il dna non cambia, con la forza di un uomo che prendono a pugni una donna. A Parigi la trans algerina Imane Khelif  che si batterà sul ring con l’atleta italiana, Angela Carina.

“Avete capito bene: nella categoria femminile sono stati ammessi a partecipare atleti di sesso biologicamente maschile che si percepiscono donne”, denuncia il dott. Roy De Vita.

“Cerchiamo di capire come sia possibile. Ai Giochi Olimpici, solo 6 discipline hanno un regolamento che esclude atleti transgender dalle categorie femminili: atletica leggera, ciclismo, rugby, vela (incluso il windsurf), nuoto (inclusa la pallanuoto) e sollevamento pesi. Ci sono poi 2 discipline dove il genere non influenza il risultato: equitazione e tiro a segno, anche se nel tiro sono comunque previste 2 categorie. Le altre 24 discipline, invece, non sono regolamentate; tra queste, la boxe.

La foglia di fico dietro cui queste federazioni si nascondono è il livello di testosterone, peraltro diverso da disciplina a disciplina, a dimostrazione del suo scarso significato.

È bene precisare ancora una volta che esiste evidenza scientifica, senza possibilità di interpretazioni, che ci dice che anche se si abbassa il livello di testosterone nei soggetti nati biologicamente maschi, rimangono forti e significativi vantaggi per le donne transgender rispetto a quelle biologicamente femminili. Questo perché la struttura ossea e muscolare, che si è evidentemente sviluppata prima dell’abbassamento del livello di testosterone, è molto più forte e rimane inalterata anche con l’abbassamento del testosterone, e non è paragonabile a quella di una donna biologicamente nata tale.

La competizione sportiva, quindi, tra le due categorie di persone è assolutamente iniqua. Nel pugilato, alla vergogna per questo atteggiamento pilatesco di tante federazioni, come si può leggere nel regolamento del World Boxing Council, si aggiungono due aspetti. Uno è il pericolo a cui vengono esposte le atlete che vanno sul ring, rischiando la vita (e non sto esagerando: in un incontro di MMA negli Stati Uniti, un’atleta transgender ha rotto il cranio della sua avversaria). L’altro aspetto è, ancora una volta, il silenzio assordante di tutti: di chi gestisce lo sport, che dovrebbe conoscerlo, amarlo e soprattutto rispettarlo e difenderlo, e che invece chiude gli occhi sull’altare di una mastodontica sciocchezza totalmente antiscientifica.

Il secondo, grave quanto il primo, è il silenzio di tutte le donne che per cause a volte di importanza ridicola si ergono a paladine del loro genere, ma che di fronte a questioni così gravi girano la testa per non guardare. Perché hanno paura, paura di essere tacciate di transfobia e di fascismo, andando contro il pensiero dominante. Di uomini che picchiano le donne e ne abusano fisicamente, forti della loro superiorità fisica, ma qui fate finta che sia diverso.

Vergognatevi.

E rimane un ultimo interrogativo: ma queste varie Leah Thomas si percepiscono realmente donne o lo dichiarano soltanto per diventare atlete vincenti?”

Gli fa eco Martina Pastorelli (qui): “basta che un atleta, un pugile, si definisca donna e va a gareggiare nelle categorie femminili, stravincendo, massacrando, Dio non voglia anche facendo del male, basta che un aggressore, perché succede anche questo, si definisca donna per entrare negli spogliatoi di donne adolescenti, basta che un partner violento, visto che si parla tanto di femminicidi, di violenza sulle donne anche in questo senso, un partner violento si dica donna per entrare dove si rifugia una donna in fuga dalla sua violenza, basta che un uomo condannato per stupro e femminicidio si proclami donna per essere recluso in un carcere femminile.

Queste non sono fantasie, è già la realtà. Ci vogliamo alzare in piedi e dire no, adesso basta? Questi rappresentanti politici, dove sono? Che parlano e straparlano un giorno sì o un’altro di diritti delle donne e di discriminazione e di parità di genere. Nessuna femminista dovrebbe difendere il diritto di un uomo di chiamarsi donna, di chiamarsi donna, perché poi non lo è, per spacciarsi come vittima di questo, di quell’altro, del sessismo, o per aderire ai gruppi per i diritti delle donne, perché fanno anche questo, o per finire a gareggiare nelle categorie femminili”

Per un colpo ricevuto troppo forte alla fine Angela Carina si è ritirata.

Fonte

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