Si parla di un caso giudiziario specifico, “promosso dal PM di Padova al locale Tribunale cui chiedeva la rettifica anagrafica dell’atto di nascita di una bambina di 5 anni cancellando l’indicazione della madre “intenzionale” e del suo cognome.
La vicenda vede protagonista una bambina concepita in Spagna con PMA eterologa, nata in Italia nel 2017 e iscritta all’Anagrafe di Padova come figlia di due mamme omosessuali, unite civilmente da un anno, una delle quali si era recata all’estero per sottoporsi ad una tecnica di procreazione che in Italia le sarebbe stata vietata dalla legge.
Infatti l’art. 5 Legge n. 40/2004 stabilisce che possono accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, mentre la Legge 76/ 2016 (quella che riconosce le unioni civili fra individui dello stesso sesso), esclude categoricamente l’applicabilità delle disposizioni in tema di filiazione ed adozione al di fuori dell’ambito espressamente previsto.
Quindi, nel rispetto della Legge nazionale, non vi è alcuna possibilità di riconoscere la filiazione biologica (tantomeno se medicalmente assistita) da parte di genitori dello stesso sesso.
Non si può fare.
Nessuno della coppia omosessuale di genere maschile può essere indicato come “madre”, e nessuna della coppia omosessuale di genere femminile può annotarsi come “padre”.
Ecco il motivo perché il PM di Padova definisce “illegittima l’indicazione nell’atto di nascita in questione del nominativo” della seconda mamma (non biologica) “quale secondo genitore”, richiamando l’orientamento della Cassazione con le sentenze 23320 -23321 del 2021 e 7668-8029 del 2020, secondo il quale il riconoscimento di un minore concepito mediante il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo da parte di una donna legata in unione civile con quella che lo ha partorito, si pone in contrasto con la L. n. 40 del 2004.
La questione senza dubbio è discutibile, ma solo da un punto di vista etico, morale, sociale ed ideologico, e non certo in base al diritto vivente ed alla normativa vigente che, invece, riconosce lo stato civile LGBTQ e definisce con chiarezza i limiti da non oltrepassare per evitare pregiudizi all’interesse dei minori.
L’annotazione del “genitore 2” con il cognome aggiunto alla bambina dopo quello del genitore naturale (cioè la madre biologica) è contraria alla nostra legge e, quindi, andrà, scrive il PM nel ricorso, rettificata prima possibile per evitare che ciò “possa avere ripercussioni sulla sua vita sociale”.
La bambina, quindi, dovrebbe portare il cognome della sola madre biologica e avere ovviamente una sola mamma, cioè quella che l’ha partorita, non essendo concepibile – in senso biologico – indicare nell’atto di nascita una persona biologicamente estranea al minore come “seconda mamma”.
Da tale vicenda il PM padovano si è accorto dell’esistenza di altri 33 atti della locale anagrafe trascritti dal 2017 a oggi dal Sindaco, recanti tutti lo stesso profilo di illegittimità e, perciò, li ha impugnati anche per evitare elusioni del divieto di maternità surrogata che, peraltro, è oggetto di discussione parlamentare per farla divenire fattispecie penalmente rilevante.
A prescindere da come la si pensi, ogni posizione sull’argomento non dovrebbe avere la prospettiva del diritto alla sessualità ed alla libertà di costumi rivendicata dalle comunità arcobaleno, perché la ratio della legge italiana è ispirata alla tutela del minore e della filiazione, della certezza e della stabilità delle figure genitoriali, nonché della coerenza biologica dei ruoli familiari”.
Angelo Di Lorenzo
Avvocati Liberi
Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore.
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