“La garanzia che la persona vaccinata non sia infetta, è pari a zero”, Tribunale di Padova

La sentenza di giovedì 28 aprile del Tribunale di Padova  a firma del Giudice Roberto Beghini, stabilisce quello che si dice da tempo: “La garanzia che la persona vaccinata non sia infetta, è pari a zero” e accoglie, di conseguenza, il ricorso di un’operatrice sanitaria dell’azienda Ulss n.6 Euganea, sospesa per non essersi sottoposta a vaccinazione covid. “Invece la persona che, pur non vaccinata, si sia sottoposta al tampone, può ragionevolmente considerarsi non infetta per un limitato periodo di tempo. In tal caso, la garanzia che ella non abbia contratto il virus, non è assoluta, ma è certamente superiore a zero. Nessun dubbio che il tampone accerti l’inesistenza della malattia solo alla data in cui viene effettuato; ma ciò costituisce un dato comune a tutti gli accertamenti diagnostici e tale è il motivo per cui esso deve essere ripetuto periodicamente. La garanzia fornita dal tampone, ripetesi, è senz’altro relativa; ma quella data dal vaccino è pari a zero“.

“La norma censurata pertanto, sembra violare l’art. 3 Cost., poiché, allo scopo di evitare la diffusione del virus, impone al lavoratore un obbligo inutile e gravemente pregiudizievole del suo diritto all’autodeterminazione terapeutica ex art. 32 Cost., nonché del suo diritto al lavoro ex artt. 4 e 35 Cost., prevedendo la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione in caso di inadempimento dell’obbligo vaccinale: obbligo che non si pone in necessaria correlazione con la finalità di evitare il contagio e di tutelare la salute dei terzi, vale a dire la salute pubblica. Sembra quindi doversi concludere che il bilanciamento tra i diritti costituzionali coinvolti, sia stato operato dal legislatore, che pure gode di ampia discrezionalità, in maniera manifestamente irragionevole rispetto alla finalità perseguita. (…) 

L’obbligo vaccinale, oltre ad apparire irragionevole e sproporzionato, sembra anche contrario all’art. 32 Cost., poiché, come visto, non previene il contagio e non tutela quindi la collettività (nella specie, i soggetti fragili), finendo quindi col violare il diritto all’autodeterminazione terapeutica sancito da tale precetto costituzionale; 

La normativa italiana che sospende drasticamente dal lavoro e dalla retribuzione il lavoratore che non intenda vaccinarsi, sembra violare anche il principio di proporzionalità sancito dall’art. 52, primo comma, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, secondo cui “eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla presente Carta (tra cui il diritto di lavorare di cui all’art. 15 della stessa Carta, ndr) devono essere previste dalla legge e rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e libertà. Nel rispetto del principio di proporzionalità, possono essere apportate limitazioni solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui” 

L’art. 32 Cost. racchiude una molteplicità di significati: il diritto all’integrità psico-fisica e a vivere in un ambiente salubre, ma anche il diritto alle prestazioni sanitarie, alle cure gratuite per gli indigenti e quello di non ricevere trattamenti sanitari, se non di carattere obbligatorio, volti a tutelare non già solo il destinatario, ma soprattutto la collettività, come avviene nel caso delle vaccinazioni o degli interventi effettuati per la salute mentale. Il diritto alla salute presenta, quindi, una connotazione sia oppositiva che pretensiva. Oppositiva, nella parte in cui attribuisce al titolare il potere di rifiutare i trattamenti sanitari non voluti, anche se vitali. Viene all’uopo affermato il principio secondo cui ciascuno deve poter disporre della propria di salute e dell’integrità personale e in tale ambito deve essere ricompreso il diritto di rifiutare le cure mediche, lasciando che la malattia segua il suo corso, anche fino alle estreme conseguenze. Il baricentro del diritto alla salute è spostato dall’originaria componente pubblicistica a quella più prettamente privatistica, attraverso la progressiva centralità della componente psicologica dell’individuo, che si atteggia sia in termini oppositivi, come diritto alla protezione della salute fisica e psichica, sia, soprattutto, nella dimensione pretensiva, come diritto di disporre di sé e, sostanzialmente, di autodeterminarsi (in presenza di tali principi costituzionali, le coscienziose preoccupazioni dell’odierna datrice di lavoro per la salute del ricorrente, fondate sul decreto legislativo 9.04.2008, n. 81, sembrano dissolversi, poiché deve trovare applicazione, in capo al ricorrente, il principio di autoresponsabilità, corollario delle sue scelte in materia di salute). In materia di vaccinazioni obbligatorie, esiste un indirizzo costante del giudice delle leggi, in base al quale l’art. 32 Cost. postula il necessario contemperamento del diritto alla salute della singola persona (anche nel suo contenuto di libertà di cura) con il coesistente e reciproco diritto delle altre persone e con l’interesse della collettività. In particolare, la Corte ha precisato che la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’art. 32 Cost. a varie condizioni, tra cui quella che il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri. In particolare, come affermato dalla sentenza 22 giugno 1990, n. 307, la costituzionalità degli interventi normativi che dispongano l’obbligatorietà di determinati trattamenti sanitari (nel caso di specie si trattava del vaccino antipolio) risulta subordinata al fatto che il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri, giacché è proprio tale ulteriore scopo, attinente alla salute come interesse della collettività, a giustificare la compressione di quella autodeterminazione dell’uomo che inerisce al diritto di ciascuno alla salute in quanto diritto fondamentale (nello stesso senso, v. Corte Cost. n. 132 e n. 210 del 1992, n. 258 del 1994 e n. 118 del 1996). Da ciò consegue che, l’imposizione al lavoratore dell’obbligo vaccinale, non essendo idonea a preservare la salute degli altri, non sembra conforme all’art. 32 Cost.. Alla luce di tutte tali considerazioni, non può essere condivisa l’affermazione di taluna giurisprudenza secondo cui “l’utilità della vaccinazione si apprezza non solo in termini di minore rischio di diffusione della pandemia, ma anche in termini di minore gravità della malattia e specialmente di minore rischio di ospedalizzazione; con conseguente maggiore tutela del personale sanitario, che non può sottrarsi al contatto con la persona malata, e minore aggravio dei ricoveri ospedalieri, in un contesto di risorse limitate”. Il vaccino, ripetesi, non impedisce il contagio e non tutela quindi la collettività (nella specie, persone fragili), ma solo la persona che accetta di sottoporsi. Quanto al dedotto “aggravio dei ricoveri ospedalieri (delle persone non vaccinate che contraggono il virus, ndr) in un contesto di risorse limitate”, tale rilievo relativo alla finanza pubblica, non sembra sufficiente a derogare ai citt. principi vigenti in materia di diritto all’autodeterminazione terapeutica, in relazione ai quali l’art. 32 Cost. sembra prevedere la possibilità di deroga solo a tutela della salute pubblica, ma non per esigenze della finanza pubblica connesse alle spese sanitarie; 

Le motivazioni si basano anche sui dati diffusi dal Ministero della Salute.

Come emerge dal “REPORT ESTESO ISS (Istituto Superiore di Sanità, ndr) COVID-19: SORVEGLIANZA, IMPATTO DELLE INFEZIONI ED EFFICACIA VACCINALE Aggiornamento nazionale 19 gennaio 2022 – ore 12:00 DATA PUBBLICAZIONE: 21 GENNAIO 2022. Versione 2 3 

del 23/01/2022” (v. https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/bollettino/Bollettino-sorveglianza-integrata-COVID-19_19-gennaio-2022.pdf), “La campagna vaccinale in Italia è iniziata il 27 dicembre 2020. Al 19 gennaio 2022, sono state somministrate 122.166.535 dosi (46.444.870 prime dosi, 47.217.348 seconde/uniche dosi e 28.504.317 terze dosi) delle 123.518.808 dosi di vaccino finora consegnate (https://github.com/italia/covid19-opendata-vaccini)… L’efficacia del vaccino (riduzione percentuale del rischio rispetto ai non vaccinati) nel: 

• prevenire la diagnosi di infezione da SARS-CoV-2: 

– pari al 66% entro 90 giorni dal completamento del ciclo vaccinale, 53% tra i 91 e 120 giorni, e 34,7% oltre 120 giorni dal completamento del ciclo vaccinale; 

– pari al 66,7% nei soggetti vaccinati con dose aggiuntiva/booster; 

• prevenire casi di malattia severa: 

– pari a 95% nei vaccinati con ciclo completo da meno di 90 giorni, 93% nei vaccinati con ciclo completo da 91 e 120 giorni, e 89% nei vaccinati che hanno completato il ciclo vaccinale da oltre 120 giorni; 

– pari al 97,5% nei soggetti vaccinati con dose aggiuntiva/booster”. 

Il successivo Report, “Aggiornamento nazionale 06/04/2022 – ore 12:00 DATA PUBBLICAZIONE: 08/04/2022” (https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/bollettino/Bollettino-sorveglianza-integrata-COVID-19_6-aprile-2022.pdf), riferisce che “La campagna vaccinale in Italia è iniziata il 27 dicembre 2020. Al 6 aprile 2022, sono state somministrate 136.040.688 dosi (47.294.685 prime dosi, 49.783.807 seconde/uniche dosi e 38.962.196 terze dosi… L’efficacia del vaccino (riduzione percentuale del rischio nei vaccinati rispetto ai non vaccinati) nel periodo di prevalenza Omicron (a partire dal 3 gennaio 2022) nel: 

• prevenire la diagnosi di infezione da SARS-CoV-2 è: 

– pari al 47% entro 90 giorni dal completamento del ciclo vaccinale, 39% tra i 91 e 120 giorni, e 47% oltre 120 giorni dal completamento del ciclo vaccinale; 

– pari al 66% nei soggetti vaccinati con dose aggiuntiva/booster; 

• prevenire casi di malattia severa è: 

– pari a 73% nei vaccinati con ciclo completo da meno di 90 giorni, 75% nei vaccinati con ciclo completo da 91 e 120 giorni, e 75% nei vaccinati che hanno completato il ciclo vaccinale da oltre 120 giorni; 

– pari al 91% nei soggetti vaccinati con dose aggiuntiva/booster”. 

Lo stesso Ministero della Salute, inoltre, dichiara tassativamente falsa (cd fake new) l’affermazione secondo cui “Se ho fatto il vaccino contro Sars-CoV-2 e anche il richiamo con la terza dose non posso ammalarmi di Covid-19 e non posso trasmettere l’infezione agli altri” (https://www.salute.gov.it/portale/nuovocoronavirus/archivioFakeNewsNuovoCoronavirus.jsp). E’ quindi assodato che il mero fatto che un lavoratore si sia sottoposto al vaccino, non garantisce che egli non contragga il virus e che quindi, recandosi sul luogo di lavoro, non infetti le persone con cui  ivi viene a contatto, nella specie gli ospiti della struttura sanitaria. Di qui, come detto, il dubbio sulla ragionevolezza dell’imposizione dell’obbligo vaccinale in questione: imposizione non idonea “al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza”. 

Sempre come dimostra la comune esperienza, il metodo attualmente più sicuro per impedire che un lavoratore contagi le altre persone presenti sul luogo di lavoro, è invece quello di avere la ragionevole certezza che egli non sia infetto: ragionevole certezza che, come visto, non può essere data dalla vaccinazione, bensì dalla sottoposizione periodica del lavoratore al “tampone” (indifferentemente, test molecolare, test antigenico da eseguire in laboratorio, test antigenico rapido di ultima generazione, v. https://www.salute.gov.it/portale/nuovocoronavirus/dettaglioFaqNuovoCoronavirus.jsp?lingua=italiano&id=244#7; data ultima verifica: 4 aprile 2022), che garantisce, sia pure solo temporaneamente, che egli, nei successivi 2-3 giorni in cui si reca al lavoro, non abbia contratto il virus. Non sembra allora condivisibile quella giurisprudenza secondo cui “il tampone non protegge dal virus ma al più lo rileva, ed anche la rilevazione è comunque dubbia, perché il contatto col virus potrebbe avvenire anche un minuto dopo l’effettuazione del tampone e la rilevazione del virus richiede comunque un tempo di latenza; senza considerare lo stress cui le strutture sanitarie sarebbero sottoposte se si richiedesse una sistematica verifica a mezzo tampone di tutti i lavoratori, sulla premessa della inefficacia della vaccinazione”. La tesi non persuade perché resta il fatto che la persona vaccinata, che non si sia sottoposta al tampone, può essere ugualmente infetta e può quindi ugualmente infettare gli altri: la garanzia che la persona vaccinata non sia infetta, è pari a zero. Invece la persona che, pur non vaccinata, si sia sottoposta al tampone, può ragionevolmente considerarsi non infetta per un limitato periodo di tempo. In tal caso, la garanzia che ella non abbia contratto il virus, non è assoluta, ma è certamente superiore a zero. Nessun dubbio che il tampone accerti l’inesistenza della malattia solo alla data in cui viene effettuato; ma ciò costituisce un dato comune a tutti gli accertamenti diagnostici e tale è il motivo per cui esso deve essere ripetuto periodicamente. La garanzia fornita dal tampone, ripetesi, è senz’altro relativa; ma quella data dal vaccino è pari a zero. Quanto allo “stress” delle strutture sanitarie, è notorio che il tampone viene effettuato anche dalle farmacie e che il costo è sostenuto dal privato. Ribadito quindi che il vaccino, come attestano i fatti, non impedisce la diffusione del virus nell’ambiente di lavoro ove sono ospitate persone fragili, mentre il contrario deve ragionevolmente ritenersi per il tampone, passando ora al sindacato costituzionale di ragionevolezza in rapporto alle conoscenze scientifiche ed alla realtà fattuale, può ricordarsi che, come si legge nella sentenza n. 114/1998 del giudice delle leggi, “Questa Corte non intende certo escludere che il sindacato sulla costituzionalità delle leggi, vuoi per manifesta irragionevolezza vuoi sulla base di altri parametri desumibili dalla Costituzione, possa e debba essere compiuto anche quando la scelta legislativa si palesi in contrasto con quelli che ne dovrebbero essere i sicuri riferimenti scientifici o la forte rispondenza alla realtà delle situazioni che il legislatore ha inteso definire”.

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