Il green pass era stato istituito dall’Europa per favorire la libera circolazione, ed, almeno in Italia, è diventato uno strumento che ha permesso l’apartheid sanitario: fuori dalla società civile chi non era vaccinato. Niente ristorante, caffè al bar, e persino niente lavoro. Adesso stanno dicendo che sempre per favorire la libera circolazione ci sarà l’identità digitale. Ci hanno detto e lo ripetono anche ora che il digitale è utilizzato come strumento per risolvere un problema transfrontaliero.
Si vuole realizzareuna cittadinanza digitale, integrata e riconosciuta in tutta l’UE, che potrebbe permettere in caso di pandemia di limitare la circolazione delle persone non vaccinate.
Da un lato viene dichiarato che il passaporto digitale serve per tutelare alcuni dei diritti fondamentali difesi dall’UE, tra cui la libertà di movimento, ma dall’altro ci dicono che serve anche per unire le forze per il contenimento della diffusione del virus Sars-COV-2, oo di altri futuri virus.
La scusa? Le drammatiche conseguenze della pandemia hanno costretto l’Europa ad accelerare il percorso di integrazione digitale, per arrivare a una metodologia di collaborazione trans-frontaliera inedita.
“Ogni volta che una app o un sito web ci chiede di creare una nuova identità digitale o di accedere facilmente tramite una grande piattaforma, non abbiamo idea di cosa ne sia veramente dei nostri dati. Per questo motivo, la Commissione proporrà presto un’identità digitale europea sicura. Qualcosa di affidabile, che ogni cittadino potrà usare ovunque in Europa per fare qualsiasi cosa, da pagare le tasse a prendere a noleggio una bicicletta. Una tecnologia che ci consenta di controllare in prima persona quali dati vengono utilizzati e come.”, Ursula von der Leyen durante il discorso sullo stato dell’Unione pronunciato il 16 settembre 2020.
A questo è servito il green pass. E’ stata una grande sperimentazione, una base da cui partire per l’identità digitale.
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