Morti da soli, esclusi dalla società, rinchiusi nelle strutture sanitarie, l’analisi su quello che è successo e succede della psicologa Luisa Benedetti

Luisa Benedetti è psicologa del Comitato Nazionale Psicologi per l’etica, la deontologia e le scienze umane e in una lunga intervista analizza quello che è successo negli ospedali, nelle Rsa, dove i nostri cari sono stati rinchiusi, allontanati dalla società non solo durante la pandemia, su quello che è successo e che è diventato poi un documentario: La Morte Negata. Da Nord a Sud non c’è stata differenza, oggi ci ritroviamo uniti dal dolore, per non dimenticare, per impedire che accada di nuovo, per chiedere giustizia.

Per quale ragione siano state escluse io non lo so.

Può essere stato per denaro perché c’erano degli extra che venivano assegnati agli ospedali per ogni paziente Covid, a seconda che fosse in reparto oppure che fosse in terapia intensiva.

Questo è stato per quello, forse, ma io credo che ci siano anche altri componenti perché penso che tutto quello che sia parte di un percorso evolutivo che l’umanità sta in questo momento affrontando.

L’indignazione per questi fatti mi pare chiaro che c’è, penso che qualsiasi essere umano non possa evitarla.

 Ma essere arrabbiati, individuare nei medici i colpevoli o cercare comunque un colpevole non aiuta, non aiuta a noi, non aiuta a chi se n’è andato, fornisce alimento alle stesse forze che hanno prodotto tutta questa situazione.

La determinazione sicuramente, e chi si è macchiato di questi crimini, deve essere inchiodato alle sue responsabilità, su questo penso che non abbiamo dubbi, ma va fatto con lucidità, senza farci prendere, assorbire dalle emozioni e soprattutto senza entrare in quella spirale di odio e di colpa che abbiamo conosciuto tutti quelli che sono stati in qualche modo discriminati.

Io penso che noi dobbiamo lavorare per trovare pace noi e per in qualche modo distribuirla intorno fin dove è possibile. Questo, ripeto, non toglie niente al fatto che la consapevolezza sia forse l’unico strumento efficace davvero che noi abbiamo perché non sapeva ripetere più. Quindi noi lavoriamo per questo”.

“Il titolo della Morte Negata nasce perché nasce un po’ insieme al comitato, poco dopo la nascita del comitato, che si è formato in seguito ai fatti di Trieste e nell’osservare come gli psicologi erano totalmente assenti, la voce degli psicologi era totalmente assente dallo scenario in cui stavamo vivendo e dove erano palesi moltissime manipolazioni, moltissime cose che come psicologi avremmo dovuto individuare molto bene e rispetto alle quali anche prendere posizione.

Allora nasce il comitato e cominciamo a lavorare su questo e ad ci poniamo la questione delle persone che sono danneggiate dal vaccino ma anche quelle che sono rinchiuse nelle strutture, quelle sanitarie, l’RSA e quant’altro, e che non possono ricevere la visita dei loro cari, dei loro parenti. Ci poniamo questo problema, entriamo in contatto con il comitato familiare con il desiderio, l’aspirazione, di parlare con loro, di sentire cosa stava succedendo, ma poi anche di offrire il nostro aiuto. E da lì è iniziata un po’ una collaborazione e abbiamo cominciato ad ascoltare queste storie che sembrano essere tutte uguali, nel senso che chiaramente ogni storia è a sé stante, ogni storia è diversa dall’altra, ma da nord a sud i tratti sono comuni, le condizioni sono sempre le stesse  …Non ho parole, non ho parole perché noi facciamo degli incontri di auto-aiuto con i gruppi di familiari e lo facciamo veramente, sono gratuiti per cui non è che abbiamo da guadagnarci nulla, ma ogni volta che ne usciamo da un lato arricchiti dall’umanità, dalla condivisione anche delle esperienze, dall’altro lato devastati perché queste esperienze sono terribili e tantissime sono le considerazioni che a quel punto abbiamo cominciato a fare, anche allargando un po’ più ampia in cui abbiamo cominciato a renderci conto che in quel momento la cosa stava diciamo esplodendo, però in realtà era in atto da molto tempo una negazione della morte, come pure una negazione della nascita, nel senso di medicalizzazione. Una volta le donne partorivano in casa, a meno che non ci fossero delle situazioni difficili e particolari, ma in genere partorivano in casa e partorivano in un’atmosfera ben diversa da quella dell’asettica, diciamo, dell’ospedale, della velocità, del pelucci al neon, eccetera. Allo stesso modo le persone morivano in casa. Nelle civiltà contadine noi eravamo abituati a convivere con la morte perché morivano i nostri vecchi, morivano gli animali. Cioè era una la morte faceva parte della vita, del ritmo naturale della vita. Da un certo momento in poi, sempre più, la morte è diventata qualcosa che è da allontanare, da temere, da condannare e da vivere non da soli, perché in fondo la morte un po’ da soli ce la viviamo sempre tutti, ma ma nascosta. Questa tendenza che fa parte di una mutazione culturale, vorrei dire, indotta, ha raggiunto livelli esasperati in questo periodo della pandemia, ma anche questo fa parte di una manipolazione terribile, perché sia la morte sia la nascita sono i due momenti di passaggio da uno stato all’altro dell’esistenza.

Ora, se noi guardiamo la tendenza degli ultimi decenni tutto quello che non è strettamente materiale, strettamente misurabile e definito scientifico, con una definizione che di scientifico non ha assolutamente nulla, perché la scienza non è questa roba qui, no? Questa è una specie di dogma a cui siamo obbligati a credere. Ecco, questa è l’origine della morte negata, del nome la morte negata e in questo nel prenderci cura di questo aspetto abbiamo pensato non solo ai parenti che non hanno avuto modo di salutare i propri cari, di accompagnarli, di celebrare la loro dipartita, che sono tutti passaggi questi che servono ad accettare, a introiettare, a rendere nostra questo distacco. Distacco di per sé produce sofferenza, ma diventa una sofferenza più accettabile se ci sono degli step, se ci sono delle fasi nelle quali anche noi possiamo essere attivi perché accudiamo il nostro caro che se ne sta andando.

Allora passare da questo a non avere nulla, ricordiamo che ci sono persone che sono state ricoverate perché si erano ustionate una mano con il forno, andate in pronto soccorso, gli hanno fatto il campone, il risultato positivo, ricoverato, e mai più usciti. Questo giusto per… no? Allora da un lato questi familiari che non hanno avuto la possibilità di accomiatarsi, di far qualcosa per i loro cari, di celebrare un rito funebre che anche quello serve per e portarlo, spostarlo dalla sfera fisica a dentro al nostro cuore e portarlo lì, e tenerselo lì.

Poi ci sono anche i defunti, perché i defunti sono morti male, cioè hanno avuto paura, sono stati soli, sono stati isolati, non sono stati trattati bene, quindi non è che solo i familiari non li hanno accompagnati, non sono stati accompagnati nemmeno dal personale delle strutture.

I nostri cari che se ne vanno sono tra questi e nel momento in cui muoiono in questo modo resta una sorta di legame, di connessione che però è fatta di dolore, di pesantezza, di non accettazione. Quindi per noi il nostro intervento, il nostro aiuto è senz’altro per i parenti, per ovvie ragioni, ma è anche per queste persone che se ne sono andate e alle quali noi abbiamo sempre desiderato… Ecco, il docufilm fa questo, restituisce voce a chi non ha avuto voce e riporta alla presenza persone che sono state escluse.

Nella pagina dedicata alla morte negata e con un’email che è indicata lì, quindi attraverso quello. Il sito è www.comitato nazionale psicology.it. Sulla tendita in alto c’è il mail, siamo contattati lui”

Qui trovate l’intervista: https://www.youtube.com/live/HZzFHeyPppU?app=desktop

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore.

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