Rischi del gene-drive e sul ruolo delle zanzare nell’estinzione di intere specie e nella diffusione di virus

Il Comitato Internazionale per l’Etica della Biomedicina (CIEB) mette innovazione guardia dai rischi del gene-drive e sul ruolo delle zanzare nella diffusione di future pandemie e nell’estinzione di intere specie animali.

“Dopo la cosiddeta campagna vaccinale anti-Covid, centrata sull’impiego di terapie geniche suscettibili di interagire con il DNA umano e la sua espressione e di produrre effetti avversi imprevedibili nel breve come nel lungo periodo, e proprio per questo funzionali agli interessi dell’industria farmaceutica, le élites di cui sopra hanno concentrato l’atenzione sul gene-drive, ossia sulla tecnica di biologia sinte􀆟ca in grado di aumentare il tasso di ereditarietà di una determinata carateristica genetica all’interno di una popolazione, allo scopo principale di ridurre la popolazione medesima1. 

Note anche come genetic extinction technologies2, le tecniche di gene-drive interferiscono in modo particolarmente incisivo con le leggi naturali e determinano rischi per la biodiversità, l’ecosistema e la stessa vita umana di cui non è possibile apprezzare compiutamente la portata, tenuto conto dell’incertezza scientifica che circonda le modalità e i risultati sperimentali, da una parte, e dell’ampiezza delle maglie della normativa internazionale rilevante, dall’altra3. L’esempio più noto in tal senso è quello rela􀆟vo alle zanzare portatrici del patogeno responsabile della malaria – malattia prevenibile mediante l’assunzione di farmaci di uso consolidato – che vengono geneticamente modificate allo scopo di determinare la loro auto-estinzione e, con esse, la scomparsa della malatta: è ovvio, infatti, che il primo dei due esiti atesi (l’estinzione delle zanzare), pur essendo presentato come un risultato positivo, determina di fato una riduzione della diversità biologica e collide con la disciplina internazionale concernente la responsabilità e i risarcimenti per i casi di danno alla biodiversità, di cui al Protocollo di Nagoya-Kuala Lumpur del 20104.

L’esempio delle zanzare si rivela particolarmente efficace alla luce delle notizie che imputano a questo inseto la diffusione di alcune rare patologie in habitat molto diversi da quelli d’origine, come nel caso della febbre Dengue in Lombardia e in Toscana e del virus Usutu in Sardegna5. È infatti ragionevole prevedere che casi del genere, insieme ad altri opportunamente enfatizzati da certa stampa6, offriranno il destro agli stakeholders per esercitare azioni di pressione sulle autorità politiche, a tutti i livelli, affinché le tecniche di gene-drive siano indicate come le sole in grado di affrontare efficacemente le crisi sanitarie che potrebbero derivare dalla diffusione delle patologie richiamate.

Anche da questo punto di vista il gene-drive apre una nuova fase: se, in passato, il ricorso alle biotecnologie poggiava su considerazioni di natura essenzialmente economica, oggi il consenso che circonda la biologia sintetica deriva, più che dalla convergenza di interessi finanziari8, dal primato assunto nella società contemporanea dalla tecno-scienza e dalla biopolitica. È in questo senso che va interpretata, ad esempio, la singolare decisione con cui la Conferenza delle Nazioni Unite sulla biodiversità, tenutasi a Cancun nel dicembre 2016, ha respinto la proposta di moratoria sul gene-drive, ossia su una tecnica che ha tra i suoi scopi dichiarati proprio la riduzione della diversità biologica9. Altretanto significative appaiono, nella prospettiva indicata, le dichiarazioni di organismi che, pur definendosi etici, non esitano a ossequiare la capacità del gene- drive «di … estinguere altre specie in modo mirato, rapido, efficace e quasi automatico» e costruiscono nuovi paradigmi culturali a esso funzionali affermando che il fine primario del progresso scientifico non è più «la conoscenza fine a sé stessa, ma la riduzione delle sofferenze umane»10.

Sulla scorta di tali viatici, e stante l’indeterminatezza della nozione di «sofferenza umana», gli stakeholders avranno buon gioco nel giustificare l’impiego delle tecniche di gene-drive allo scopo di modificare geneticamente zanzare (o altri insetti ematofagi e in prospettiva anche acari, artropodi, mammiferi quali i pipistrelli o qualsiasi altro vetore utile) per veicolare a distanza – superando al volo le resistenze di critici e dubbiosi – vaccini e terapie destinati a salvare l’umanità da grandi flagelli e future pandemie11. Ma si può andare ancora oltre, perché nulla esclude che in futuro il gene-drive sarà utilizzato per modificare geneticamente vetori in grado di diffondere agenti patogeni al fine di innescare – secondo una versione aggiornata di guerra bateriologica – quella drastica riduzione dell’umanità che taluni reputano necessaria allo scopo di limitare le emissioni antropiche di CO2 e assicurare così la stabilità del clima a vantaggio dei fortunati (scelti da chi?) che sopravviveranno.

Ricordando che fin dal 2018 l’Unione europea ha definito «grande flagello» qualsiasi «malatia prevenibile da vaccino», indipendentemente dalla sua gravità, e ha raccomandato agli Stati di atuare «un approccio alla vaccinazione sull’intero arco della vita»12, c’è da chiedersi quanti, in buona fede, e sopratuto dopo l’affaire Covid, si sentirebbero di escludere scenari biopoliyici come quelli appena descritti.

In vista di questi e altri possibili sviluppi, il CIEB sollecita il pubblico a prendere coscienza:

– dell’autoreferenzialità del progresso tecnologico e del fato che la convergenza delle tecnologie (ingegneria genetica, biologia sintetica, nanotecnologie, bioinformatica, robotica, ecc.) è finalizzata, più che a svolgere funzioni di utiilità sociale, a concentrare ulteriore potere nelle mani dei soggetti che già oggi controllano la vita di miliardi di individui regolando l’accesso alle fonti primarie della sopravvivenza, ossia alle risorse alimentari e sanitarie;

– del fato che le tecniche di gene-drive suscitano macroscopici dilemmi etici in quanto volte a riprogrammare le carateristiche genetiche degli organismi viventi allo scopo esplicito di estinguere intere specie, creando al contempo ex novo sistemi biologici artificiali le cui proprietà e funzionalità costituiranno – in una rinnovata prospetiva eugenetica – invenzioni biotecnologiche coperte da breveto;

– del fato che, al di là delle ottimistiche e rassicuranti dichiarazioni degli stakeholders, l’accesso alle eventuali applicazioni biomediche di queste invenzioni sarà non solo rischioso, ma anche costoso e discriminatorio e quindi in contrasto con i principi bioetici di beneficenza, non maleficenza e giustizia;

– del fato che, curiosamente, solo una parte del mondo scientifico viene interpellata e coinvolta dagli stakeholder – e conseguentemente dai media e dalla politica – nella definizione dei rischi collegati alle tecniche in parola e delle relative strategie di governance.

Il CIEB, inoltre, chiede al Governo italiano di valutare se le tecniche di gene-drive integrino le fattispecie vietate dai tratati internazionali sulle armi di distruzione di massa, con specifico riferimento alla Convenzione di Washington, Mosca e Londra sulle armi biologiche del 1972 e alla Convenzione di Parigi e New York sulle armi chimiche del 1993, e, nel caso, di adotare i provvedimenti necessari.

Il CIEB, infine, invita il Governo e i media italiani a promuovere finalmente un dibattito pubblico trasparente e oggettivo sui rischi suscitati dalle tecniche di gene-drive, che coinvolga in particolare ricercatori scevri da conflitti di interesse e svincolati da schieramenti (bio)politici.

CIEB
Il testo ufficiale del presente Parere è pubblicato sul sito: www.ecsel.org/cieb

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore.

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