Lettera aperta a Giorgia Meloni contro la cultura transgender nelle scuole, la così detta “carriera alias”

Il coordinamento internazionale tutela dei minori scrive al presidente del consiglio per salvaguardare i ragazzi dalle follie della cultura woke e trangender. “Ciò che appare assai più grave, tuttavia, è l’eliminazione di qualunque consenso, financo di conoscenza della iniziativa, in capo ai genitori, i quali potrebbero scoprire per puro caso che il proprio figlio o figlia (magari affetti da problemi di particolare delicatezza che solo la famiglia è in grado di sapere e di comprendere) ha intrapreso un percorso di simile portata a loro insaputa e con la complicità di figure di riferimento alternative, prive di una sufficiente conoscenza dell’interessato e che in ogni caso mai dovrebbero sostituirsi agli esercenti la responsabilità genitoriale”, scrivono a Giorgia Meloni.

Ecco la lettera

 

Spettabile Istituto

e p.c.

Onorevole Presidente del Consiglio

GIORGIA MELONI

Onorevole Ministro della Pubblica Istruzione

GIUSEPPE VALDITARA

Onorevole Presidente del Senato IGNAZIO LA RUSSA

Onorevole Presidente della Camera LORENZO FONTANA

Onorevoli Parlamentari

 

OGGETTO: REGOLAMENTO PER L’ATTIVAZIONE DELLA CARRIERA “ALIAS”.

 Spettabile Istituto,

sappiamo essere sempre più frequente l’invio alle Dirigenze Scolastiche di una proposta di regolamento per l’attivazione della c.d. “carriera alias” all’interno della scuola, affinché sia sottoposta alla approvazione del Consiglio di Istituto.

Il modello standard di siffatto “Regolamento”, all’art. 1, chiarisce che “L’Identità alias consiste nell’assegnazione alla persona richiedente di un’identità provvisoria, affinché durante la carriera scolastica la persona assegnataria sia identificata con un nome e/o con un genere elettivo differenti da quelli risultanti dai registri anagrafici”.

Al fine di attivare tale “identità alternativa” sarebbe sufficiente la richiesta inviata via mail dallo studente, “senza esibire alcun tipo di documentazione né medica, né psicologica” (testuale) e persino senza che i genitori debbano obbligatoriamente esserne informati. Solo in caso di minori infraquattordicenni, infatti, è previsto che l’attivazione dell’identità alias venga comunicata (a cose fatte) alla mail dei genitori.

Una volta attivata l’identità “alias”, il “Regolamento” prevede che l’intera comunità scolastica sia obbligata ad utilizzarla nei confronti dell’assegnatario, sia nella vita scolastica quotidiana sia in tutti i documenti scolastici e, in base all’art. 7 del “Regolamento”, “La persona assegnataria dell’Identità alias ha diritto di utilizzare i servizi igienici e gli spogliatoi corrispondenti al genere elettivo”.

La carriera alias può anche essere disattivata, ed una delle cause di disattivazione è il sopravvenire di una pronuncia di “sentenza di affermazione di genere ai sensi della legge 164/1982” (art. 9 comma II del “Regolamento”), ovvero di una sentenza di rettificazione di sesso. In questo caso infatti la persona assume in via definitiva la “nuova” identità di genere.

Preme evidenziare alcune circostanze che, alla sola lettura del testo del “Regolamento”, potrebbero sfuggire.

Va in primo luogo sottolineato che, nonostante il “Regolamento” di cui sopra appaia in tutto e per tutto come un testo di legge, esso non ha alcuna valenza normativa, poiché non è stato emanato né dal Parlamento, né da alcun altro ente con facoltà legislativa. Si tratta di un testo senza alcun valore legale redatto da una associazione di avvocati denominata “Lenford – avvocatura per i diritti LGBTI” (qui il sito: https://www.retelenford.it/).

Gli avvocati dell’associazione dichiarano di avere “comprovata esperienza o competenza in materie LGBTI+” e, tra gli scopi che si prefiggono, vi è quello di promuovere “azioni giudiziarie che possono provocare un cambiamento delle norme giuridiche in senso più avanzato e quindi una trasformazione sociale verso l’inclusione e la non discriminazione”.

Essi quindi, per loro esplicita dichiarazione, non operano secondo diritto nel quadro dell’ordinamento positivo vigente, ma esercitano attività di pressione per forzarne l’assetto.

Prova ne sia che sul sito della associazione è presente anche un questionario che ha la finalità di sondare le esigenze della popolazione “non binaria”, ovvero coloro i quali (testuale) “non si riconoscono nel binarismo di genere uomo-donna”, e offre una elencazione di generi alternativi. Essi sarebbero:

Androgyne (Androgino)

Uno stato in cui i comportamenti di genere, le presentazioni e i ruoli includono aspetti sia di mascolinità che di femminilità.

Intergender

Una persona intergender è considerata tra maschio e femmina, o può essere una combinazione dei due.

Agender

La traduzione è “senza genere”, può essere visto sia come identità di genere non binario o come una dichiarazione di non avere un’identità di genere.

Bigender

Può essere tradotto letteralmente come “due sessi” o “doppio genere”. Le persone Bigender sperimentano nel dettaglio entrambe le due identità di genere, sia contemporaneamente che separatamente.

Genderfluid

Un’identità di genere che si riferisce ad un genere che varia nel tempo. Una persona genderfluid può in qualsiasi momento identificarsi come maschio, femmina, neutra o qualsiasi altra identità non binaria.

Demigender

Una persona demigender si sente parzialmente e non completamente collegata ad una particolare identità di genere.

Amalgagender (intersex)

Sono intersessuali e si identificano come intersessuali.

Third Gender (terzo genere)

Un termine usato in sociologia per descrivere qualsiasi ruolo di genere legalmente riconosciuto al di fuori del binario di genere maschio/femmina. Molte persone non binarie si identificano come terzo genere, anche se la loro cultura o paese non riconosce il terzo genere.

 

Il questionario, pur essendo anonimo, non prevede limiti di età per l’esecuzione (è offerto anche alla fascia di popolazione 0-12) e si prefigge di raccogliere informazioni su quali rimedi l’interpellato “non binario” adotterebbe al fine di combattere la discriminazione sofferta, elencandone alcuni a scelta. Non a caso, fra le soluzioni figurano “Identità alias obbligatoria in tutte le scuole di ordine e grado senza certificazione medico-psicologica (con autorizzazione della famiglia fino ai 14 anni)” o addirittura “Autorizzazione interventi chirurgici senza obbligo percorso psicologico” (qui il link al questionario: https://retelenford.limesurvey.net/272615?lang=it).

Pur nel doveroso rispetto di ogni sensibilità sul tema, non si può non considerare che, se lo scopo della associazione è provocare cambiamenti sociali, le risposte che il questionario propone all’interlocutore fanno parte dei cambiamenti che la stessa associazione auspica o, quanto meno, ipotizza come attuabili e accessibili. In pratica si adombra, a ragazzini di (immaginiamo) 12 anni, la possibilità di intraprendere un percorso chirurgico, di asportazione dei genitali e transizione sessuale, senza nemmeno dover approfondire le motivazioni psicologiche sottese a una tale decisione.

Quegli stessi ragazzini potranno, già alle scuole medie, in base al sopra citato “Regolamento”, attivare la carriera alias senza il consenso dei genitori.

Il fatto che determinate soluzioni vengano suggerite a una popolazione tendenzialmente illimitata quanto a fascia di età, e pertanto anche facilmente influenzabile come bambini e adolescenti, non può e non deve lasciare indifferenti, anche considerato il fatto che le stesse basi normative citate nelle premesse del “Regolamento” come “avallo giuridico” del testo proposto confessano apertamente che le categorie di genere non hanno alcuna base scientifica.

Si legga infatti il testo della Risoluzione del Consiglio d’Europa del 23 giugno 2013, dal titolo “Orientamenti per la promozione e la tutela dell’esercizio di tutti i diritti umani da parte di lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuali (LGBTI)” (citato nelle premesse del Regolamento) dove a pag. 7 si specifica che “Le presenti definizioni non sono giuridicamente vincolanti e non sono state formalmente adottate da un organismo intergovernativo”.

Fatta questa doverosa premessa, è indispensabile che gli Istituti cui questo “Regolamento” viene proposto, e chi li rappresenta pro tempore (dirigenti), siano consapevoli, oltre che di quanto sopra riportato, anche di quanto segue.

Nelle premesse citate nel testo quali fonti normative ispiratrici si richiamano la Costituzione italiana (artt. 2 e 3), i quattro principi fondamentali della Convenzione di New York, la legge 59/1997 sulla autonomia scolastica e la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, nelle parti in cui combattono le discriminazioni e promuovono l’uguaglianza sociale.

Curioso tuttavia che gli estensori del proposto Regolamento, seppur dichiaratisi esperti del panorama normativo di riferimento, omettano di citare altri articoli contenuti nei medesimi testi normativi, quali, in primis:

−il combinato disposto degli articoli 2, 30, 31 e 19 della Costituzione italiana in virtù del quale è riconosciuto e tutelato il ruolo dei genitori, il loro diritto (dovere) di educare i figli in conformità alle loro convinzioni e ai loro valori e il diritto dei bambini e degli adolescenti di essere protetti principalmente e prioritariamente, nelle fasi più che delicate del loro sviluppo fisico ed emotivo, dai loro genitori;

−il combinato disposto dell’art. 9 della CEDU ovvero della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali (libertà di religione) con l’art. 2 del Protocollo 1 (diritto all’istruzione) tutelato dalla giurisprudenza della Corte EDU secondo cui il diritto fondamentale all’istruzione e alla formazione scolastica contiene in sé il diritto dei genitori al rispetto delle proprie visioni della vita, delle proprie credenze filosofiche e religiose;

−l’art. 5 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, che impone il rispetto verso la responsabilità genitoriale, sul presupposto che quella del genitore sia la figura primariamente capace di impartire al minore insegnamenti “in modo consono alle sue capacita evolutive”;

−l’art. 8 della stessa Convenzione, che impone agli Stati di rispettare il diritto del fanciullo “di conservare la propria identità”;

−l’art. 12 sempre della Convenzione, che impone agli Stati di assicurare al fanciullo “capace di formarsi una propria opinione, il diritto di esprimerla liberamente ed in qualsiasi materia, dando alle opinioni del fanciullo il giusto peso in relazione alla sua età ed al suo grado di maturità”;

−l’art. 29 della medesima Convenzione, che impone agli Stati di “inculcare al fanciullo il rispetto dei genitori e della sua identità”;

−o ancora gli articoli contenuti nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, opportunamente non citati nelle Premesse del “Regolamento”, che stabiliscono “il diritto di ogni individuo all’integrità fisica e psichica” e al “consenso libero ed informato nel campo della medicina e della biologia” (art. 3), o che impongono agli Stati la tutela del “diritto dei genitori di provvedere all’educazione e all’istruzione dei loro figli secondo le loro convinzioni religiose, filosofiche e pedagogiche” (art. 14).

Omissioni che confermano come, in linea con le intenzioni espresse della rete Lenford e dei gruppi di pressione cui appartiene, il Regolamento in questione, più che lo scopo di tutelare determinate sensibilità, persegua quello di promuoverle.

Senza volerci sostituire alla libera valutazione da parte del Consiglio di Istituto, non possiamo non esprimere la seguente, persino banale, constatazione: studenti e studentesse delle scuole medie e superiori potrebbero non aver raggiunto quella maturità e quel grado di consapevolezza indispensabili per identificare sé stessi in modo corretto, anche a fronte di definizioni ambigue e suggestive come quelle proposte dal “Regolamento”. Cosa dovrebbe sentire infatti un giovane per identificarsi come “intergender”? Basterà ad esempio, per una ragazza, apprezzare sport o attività prettamente maschili come la boxe? E quali servizi igienici utilizzerà colui che si sente “genderfluid”? A giorni alterni quelli maschili e quelli femminili? E a fronte di un confine così evanescente, su di un tema così delicato, che può condurre successivamente i giovani a scelte anche irreversibili (quali il blocco dello sviluppo per via farmacologica e la asportazione chirurgica di parti del corpo, e la consapevolezza di ciò in capo ai redattori del “Regolamento” è confermata dall’introduzione del “cambio di sesso” come motivo di disattivazione dell’identità “alias”), è legittimo per una Istituzione Scolastica accontentarsi di una semplice richiesta via mail, all’insaputa dei genitori, per sdoganare il primo passo verso l’adozione di una diversa identità di genere? O è forse dovere della scuola adoperarsi affinché passi di questa portata – sovente anticamera di altri più radicali – siano ponderati adeguatamente, nelle sedi giuste e nei tempi necessari? Non deve l’Istituzione Scolastica, di concerto con i genitori, prima di tutto adoperarsi affinché un giovane sia a proprio agio con la propria identità naturale, dovendosi considerare il cambio di sesso come extrema ratio di un percorso, proprio della pubertà e dell’adolescenza, finalizzato in primis alla auto-accettazione?

A parte le fondamentali osservazioni di ordine prudenziale, imprescindibili viste le fasce di età coinvolte, è necessario aggiungere come il tema investa altri aspetti giuridicamente rilevanti, peraltro suscettibili di generare contenziosi tra la scuola e le sue diverse componenti (famiglie, docenti). Anche di tali aspetti conviene che gli Istituti scolastici, e chi li rappresenta, abbiano adeguata contezza nel momento in cui prendano in esame la proposta di “Regolamento” poiché, avallandola, si espongono a precise responsabilità.

Innanzitutto, visto che tra le prime fonti citate a suffragio della carriera alias nelle premesse del “Regolamento” compare l’art. 3 della Costituzione (principio di uguaglianza, o di non discriminazione), non si può non notarne l’utilizzo improprio. Infatti, la promozione di un regime speciale per una particolare categoria di studenti (coloro che non si identificano con il sesso di appartenenza) costituisce, al contrario di ciò che si vorrebbe, una patente violazione del principio di uguaglianza. Essa infatti privilegia quella specifica categoria trascurando un numero indefinito di altre, in astratto parimenti titolate (per esempio: alunni portatori di altri tipi di disagio), ciascuna delle quali potrebbe, in teoria, richiedere un regolamento dedicato. Ma alla scuola non spetta, né per questo né per altri temi, assumere funzioni vicarie della famiglia o delle strutture socio-sanitarie di volta in volta competenti.

Ciò che appare assai più grave, tuttavia, è l’eliminazione di qualunque consenso, financo di conoscenza della iniziativa, in capo ai genitori, i quali potrebbero scoprire per puro caso che il proprio figlio o figlia (magari affetti da problemi di particolare delicatezza che solo la famiglia è in grado di sapere e di comprendere) ha intrapreso un percorso di simile portata a loro insaputa e con la complicità di figure di riferimento alternative, prive di una sufficiente conoscenza dell’interessato e che in ogni caso mai dovrebbero sostituirsi agli esercenti la responsabilità genitoriale. A questo proposito si deve ricordare e ribadire l’incomprimibile diritto dei genitori, (prevalente sulla volontà di qualsiasi maggioranza e non soggetto ad alcuna forma di rappresentanza), a essere puntualmente informati di eventuali disagi manifestati dai loro figli minori e di essere coinvolti nelle decisioni che li riguardano.

Non è per nulla scontato, inoltre, che l’attribuzione di uno status pseudo-“giuridico” alternativo, limitato ai locali scolastici e in contrasto con la superiore normativa anagrafica, possa rientrare nel perimetro della autonomia scolastica di cui al DPR 275/99, definita come “autonomia amministrativa, didattica e organizzativa”. Così come non è scontato che la relativa delibera rientri nella competenza per materia del Consiglio di Istituto, organo “di indirizzo e di gestione degli aspetti economici e organizzativi generali della scuola”, considerato anche come si pretenda che dalla delibera stessa scaturiscano diritti e doveri, con annesso regime sanzionatorio, in capo alla popolazione scolastica. Anche su questo punto non è difficile scorgere i profili di responsabilità che investono l’Istituto scolastico e i singoli dirigenti.

Altro ordine di problemi riguarda infine le informazioni sensibili, coperte da protezione speciale in base alla normativa europea sul trattamento dei dati personali. Ci si chiede infatti quale sia la base giuridica di legittimazione per il trattamento dei dati personali specialmente protetti ex art. 9 del GDPR (trai i quali, quelli “relativi alla salute o alla vita sessuale o all’orientamento sessuale della persona”) e, più in generale, se siano rispettati i principi sul trattamento dei dati personali di cui all’art. 5 del GDPR, nonché tutte le misure previste a tutela dei medesimi, con particolare riguardo ai soggetti minori di età.

Alla luce delle considerazioni sopra esposte, appare evidente che la prassi (o più esattamente, gli automatismi) con cui la carriera alias si sta facendo strada nelle scuole, rappresenta una forzatura, se non un vero e proprio abuso delle facoltà attribuite agli Istituti scolastici con ben altre finalità. E la circostanza che si contino ad oggi diversi precedenti non costituisce certo motivo di legittimazione. Semmai di particolare allarme. Preme dunque ribadire la responsabilità che si assumono gli Istituti scolastici (e personalmente chi li rappresenta) nel violare diritti fondamentali e nel forzare la legge vigente, specie in riferimento a soggetti minori d’età.

La presidente del C.I.A.T.D.M., Aurelia Passaseo

Per il Dipartimento Salute del C.I.A.T.D.M.  Avv. Alessandra Devetag

ADERISCONO AL CONTENUTO DELLA PRESENTE LE SEGUENTI ASSOCIAZIONI:

Avvocati Liberi

Confederazione Legale per i diritti dell’Uomo

NONCHE’ SINGOLARMENTE:

 avv. Silvia Pini, Foro di Milano

avv. Alessandra Barana, Foro di Verona avv. Mauro Franchi, Foro di Parma

avv. Rosarita Mannina, Foro di Piacenza avv. Samanta Forasassi, Foro di Bologna avv. Veronica Bartoletti, Foro di Pistoia avv. Fabia Novajolli, Foro di Trieste

avv. Gianfrancesco Vecchio, Foro di Roma avv. Alberto Falzoni, Foro di Treviso

avv. Maria Stefania Dal Pin, Foro di Udine avv. Giorgio Tudech, Foro di Trieste

avv. Mirta Samengo, Foro di Trieste avv. Riccardo Pizzi, Foro di Ancona avv. Valeria Panetta, Foro di Milano avv. Teresa Rosano, Foro di Lecco avv. Laura Migliorini, Foro di Venezia avv. Katy Popolla, Foro di Roma

avv. Michele Pappalardo, Foro di Catania avv. Mara Mazzara, Foro di Bergamo avv. Miriam Stival, Foro di Treviso

avv. Gaia Venturelli, Foro di Modena avv. Sandra Siracusa, Foro di Brescia avv. Pierfrancesco Zen, Foro di Padova avv. Boris Ventura, Foro di Vicenza avv. Emanuela Rocca, Foro di Lecco avv. Luca Benedetti, Foro di Modena avv. Barbara Pini, Foro di Modena avv. Silvia Felice, Foro di Piacenza

avv. Sabina Meneghini, Foro di Padova avv. Cristina Simoni, Foro di Verona

avv. Costantino Simeone, Foro di Venezia avv. Martino Brizzi, Foro di Roma

avv. Paolo Santifaller, Foro di Bergamo avv. Rossana Balice, Foro di Bari

avv. Barbara Sedioli, Foro di Ravenna avv. Giovanna Sarti, Foro di Modena avv. Giulia Graziano, Foro di Parma avv. Maristella Paiar, Foro di Trento

avv. Augusta Gullo Mazzarolli, Foro di Padova avv. Michele D’Amico, Foro di Milano

avv. Antonella Casale, Foro di Reggio Calabria avv. Simonetta Morgagni, Foro di Ravenna avv. Monica Scarsini, Foro di Trieste

avv. Paolo Panucci, Foro di Pavia avv. Serenella Zurlo, Foro di Velletri avv. Antonella Costa, Foro di Verona

avv. Ida Claudia Monteverdi, Foro di Milano avv. Matteo Alario, Foro di Palermo

avv. Silvia Mastronardi, Foro di Roma avv. Massimo Zanetti, Foro di Milano avv. Riccardo Baro, Foro di Padova avv. Monica Seri, Foro di Fermo

avv. Ivana Martelletto, Foro di Vicenza avv. Riccardo Luzi, Foro di Forlì Cesena avv. Giorgio Contratti, Foro di Forlì Cesena avv. Giovanni Ghini, Foro di Forlì Cesena avv. Chiara Trivellato, Foro di Padova

avv. Luisa Sisto, Foro di Roma

avv. Luca Azzano-Cantarutti, Foro di Venezia avv. Alessandra Amadesi, Foro di Bologna avv. Rocco Sardo, Foro di Cuneo

avv. Elisa Bastianello, Foro di Vicenza

avv. Elisabetta Bortoletto Frezza, già Foro di Padova avv. Ugo Bertaglia, Foro di Modena

avv. Manuel Tropea, Foro di Padova avv. Valentina Merlo, Foro di Bologna avv. Michela Melograni, Foro di Fermo avv. Barbara Lazzeroni, Foro di Siena avv. Alfredo Cascone, Foro di Napoli avv. Jenny Lopresti, Foro di Padova avv. Stefano de Paolis, Foro di Roma avv. Roberto Martina, Foro di Roma avv. Stefania Cappellari, Foro di Verona

avv. Nicolina Bellardita, Foro di Caltagirone

avv. Vincenzo Rosario Giovanni Nicoletti, Foro di Caltanissetta avv. Paolo Biagio Mortellaro, Foro di Marsala

avv. Massimiliano Zaniolo, Foro di Padova avv. Matilde Zaniolo, Foro di Padova

Sede Presidenza: Via Col Di Lana 3 – 33170 Pordenone – Italy Cell. 328/2220335

Pec : ciatdm@legalmail.it – mail Sezione Veneto : ciatdm.ve@gmail.com

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