E’ del 18% la commissione media che le aziende pagano alle piattaforme digitali

Fadda: “Esiste un rischio di dipendenza tecnologica, economica e finanziaria delle imprese dalle piattaforme, che richiama, anche se in misura ridotta, lo stesso rapporto sbilanciato che queste hanno coi lavoratori. A partire dai sistemi di rating commerciale, che comportano potenziali rischi reputazionali, al 32% delle aziende della ristorazione e al 19% nel settore del turismo è capitato almeno una volta di perdere clienti per disservizi causati dalle piattaforme con cui lavorano, fino ai ritardi nei tempi di incasso dei pagamenti mediati dalle piattaforme”.

 La commissione media che le imprese della ristorazione pagano alle piattaforme digitali per vendere i propri prodotti è del 18%, con valori superiori al 20% per un’impresa su tre. Nel turismo la commissione media è del 16%. Solo 1 impresa su 10 paga una commissione fissa.

Nella ristorazione il 68% dei contratti stipulati dalle aziende con le piattaforme (37% nel turismo) prevede clausole di dipendenza per l’incasso dei pagamenti e sette volte su dieci le condizioni contrattuali derivano dall’imposizione di clausole unilaterali. Così come unilaterali sono le richieste di modifica contrattuale da parte delle piattaforme (32% nel turismo e 20% nella ristorazione).

Inoltre, un’impresa su 4 nella ristorazione non ha accesso a informazioni sulla propria clientela, una su 8 nel turismo, con possibili ripercussioni per quanto riguarda le strategie di mercato.

È quanto emerge dal policy brief “L’Economia delle piattaforme digitali” presentato oggi dall’Inapp (Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche) nel corso di un seminario. Il lavoro trae spunto dall’indagine “Inapp Digital platform survey”, che per la prima volta ha analizzato nel corso del 2022 un campione di circa 40mila imprese, che comprende anche le aziende con meno di 3 addetti, rappresentativo delle 298.991 imprese operanti in Italia nei settori della ristorazione, del turismo e dei trasporti terrestri.

“Il quadro offerto da queste variabili assunte come indicatori di rischio di dipendenza commerciale delle imprese dalle piattaforme – ha dichiarato il professor Sebastiano Fadda, presidente dell’Inapp – si completa osservando i dati relativi alla rilevazione di sistemi di rating commerciale, i quali comportano potenziali rischi reputazionali derivanti dal rapporto commerciale instaurato con le piattaforme digitali. Al 32% delle aziende della ristorazione è capitato almeno una volta di perdere clienti per disservizi causati dalle piattaforme con cui lavora, al 19% nel settore del turismo”.

Ma non è tutto. Secondo l’indagine, nella ristorazione le clausole di dilazione dei trasferimenti degli incassi dalla piattaforma all’impresa sono presenti in circa tre quarti dei contratti (il 37% nel turismo). Il ritardo nei tempi di incasso rappresenta un costo e un fattore di rischio finanziario intrinseco nel caso di pagamenti tramite piattaforma. Le condizioni meno vantaggiose risultano applicate più frequentemente nel settore della ristorazione in cui nel 92% dei casi gli incassi mediati dalla piattaforma sono differiti nel tempo.

I dati sopra descritti assumono particolare rilevanza se si pensa alla diffusione del fenomeno: in Italia le imprese dei settori del turismo e ristorazione che utilizzano le piattaforme digitali per vendere propri prodotti e servizi sono oltre 57mila. Nel turismo si registra la maggiore diffusione con una percentuale del 42% (pari a 38.615 imprese), il 13% nella ristorazione (pari a 18.898 imprese). Nel biennio 2020-2021 il fatturato intermediato dalle piattaforme digitali rappresenta circa la metà del giro d’affari nel turismo e quasi un quinto dei ricavi nella ristorazione con commissioni medie rispettivamente del 16% e 18%.

Nell’ambito del turismo la distribuzione delle imprese che utilizzano le piattaforme è molto differenziata, con una prevalenza nelle attività alberghiere. In particolare, sono affittacamere o bed and breakfast e alberghi che ricorrono di più alle piattaforme, rispettivamente nel 77 e 75% dei casi.

Nella ristorazione la diffusione dell’utilizzo delle piattaforme è più omogenea. Sono oltre 13 mila gli esercenti (13%) che pur effettuando la somministrazione in loco prevedono l’asporto di cibo. Quote più elevate si rilevano tra le attività di ristorazioneche non prevedono la somministrazione in loco, con oltre 4.600 esercenti che utilizzano le piattaforme digitali per l’asporto (15%).

“Se è vero che una quota rilevante di imprese nel turismo faceva ricorso alle piattaforme già prima del 2020 – ha commentato Fadda – è altrettanto vero che per il 45% delle imprese della ristorazione che ha iniziato ad utilizzare le piattaforme digitali per l’asporto durante la pandemia si è aperto uno spazio di mercato altrimenti sconosciuto, che ha consentito anche lo svolgimento di una funzione sociale. Tuttavia, sarebbe opportuno riequilibrare i rapporti tra piattaforme e imprese al fine di non imporre oneri eccessivi a queste e ai consumatori”.

Tra le imprese che non si avvalgono delle piattaforme digitali, un terzo circa non vi fa ricorso perché non ne avverte la necessità, un altro 25% perché preferisce gestire internamente il rapporto con i clienti. Un 6% per i costi eccessivi del servizio.

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