Mancata vaccinazione: l’ordine non può sospendere ma solo annotare nell’albo l’atto di accertamento, giudice del lavoro di Bologna

 L‘Ordine professionale non può sospendere ma può solo annotare nell’albo un atto di accertamento, che deve provenire necessariamente da un altro soggetto giuridico, così ha decretato il giudice del lavoro di Bologna Alessandra Arceri. In assenza di questo atto di accertamento, la sospensione è (era) illegittima, e dunque l’Ordine dovrà risarcire tutti i danni.

Ecco la sentenza

 

N. R.G. 2022/10063

TRIBUNALE ORDINARIO di BOLOGNA

TERZA SEZIONE CIVILE

Nel procedimento cautelare iscritto al n. r.g. 10063/2022 promosso da:

XXX con il patrocinio dell.avv. CAVALLINA SUSANNA

RICORRENTE

contro

XXXX con il patrocinio dell.avv. SANTOLI ALBERTO RESISTENTE

Il Giudice dott. Alessandra Arceri, a scioglimento della riserva assunta all.udienza del 11 ottobre 2022, ha pronunciato la seguente ORDINANZA

  premesso che con ricorso ex art. 700 c.p.c., XXXX ha chiesto all.intestato Tribunale: .. in via cautelare ed urgente, inaudita altera parte,. ovvero, in subordine previo contraddittorio, disporre l.immediata sospensione dei provvedimenti di sospensione/proroga della sospensione dall.Albo della Dott.sa XXX comunicati dall.Ordine dei Medici di Bologna il 4 Marzo 2022 e il 14 Giugno 2022 e quindi dichiarare il pieno diritto dell’istante di esercitare la propria professione di medico sportivo con l’utilizzo dei presìdi normalmente richiesti alla generalità del personale sanitario, e Ordinare al convenuto l’immediata cancellazione del provvedimento di sospensione anche dall.Albo online nonché di provvedere alla relativa comunicazione all.Azienda Usl di Bologna.;

  in fatto, esponeva XXXX di svolgere la professione di medico sportivo e di aver ricevuto, in data 23 maggio 2021, un invito bonario alla vaccinazione prevista come obbligatoria dall.art. 4 del D.L. 44/2021 (norma in vigore dal 1 aprile 2021), invito che, non avendo ella intenzione di sottoporsi ad un trattamento medico sperimentale, anche a cagione delle proprie condizioni di salute, ignorava. Tuttavia, in data 11 ottobre 2021, il Dipartimento di Sanità Pubblica accertava nei suoi confronti, con apposito verbale, l’inosservanza dell.obbligo vaccinale, e l.Ordine dei Medici di Bologna le trasmetteva, in data 12 ottobre 2021, il predetto verbale, con contestuale sospensione dal diritto di esercitare la professione in presenza fino alla data del 31 dicembre 2021. Successivamente, in data 28 dicembre 2021 XXXX di Bologna, invitata la ricorrente a comunicare la propria situazione vaccinale entro 5 giorni, e preannunciava che, in mancanza di riscontro, avrebbe proceduto alla sospensione dall.albo, essendo divenuta la vaccinazione anti-Covid requisito essenziale per l.esercizio della professione anche non in presenza- residuando unicamente la possibilità di esercitarla in telemedicina. In risposta a detta comunicazione, la ricorrente, in data 1 gennaio 2022, trasmetteva all.Ordine la certificazione rilasciata da un collega attestante la presenza di patologie e una valutazione rischi-benefici tale da sconsigliare la vaccinazione e, avendo chiesto un colloquio con il Presidente dell.Ordine, dr, BAGNOLI, veniva ricevuta dallo stesso il 24 gennaio 2022. Quest.ultimo, appresa la notizia della guarigione della ricorrente dall.infezione Covid, malattia protrattasi dal 7 al 17 gennaio, la rassicurava sulla circostanza che ella . in ragione di ciò . avrebbe potuto tranquillamente svolgere la propria attività; parimenti, in data 23 gennaio 2022, la ricorrente aveva provveduto a trasmettere all.Ordine il proprio certificato di fine quarantena in pari data. Tuttavia, nel contempo, veniva divulgata la nota della Capo di Gabinetto del Ministro (doc. n. 9 allegato al ricorso), la quale affermava che .la guarigione non è, in base alla normativa vigente, circostanza idonea a legittimare la revoca della sospensione., che invece era ritenuta conseguente esclusivamente al completamento del ciclo vaccinale o della terza dose. Per tale ragione la ricorrente rimaneva sospesa dall.albo fino alla data del 15 giugno 2022 e riceveva, successivamente, una comunicazione di proroga della sospensione in essere fino alla data del 31 dicembre 2022. La richiesta di revoca del provvedimento suddetto in regime di autotutela proposta dalla ricorrente (docc. n. 13 e 13 bis allegati al ricorso) rimaneva senza esito, sicché la stessa, essendo la sua attività lavorativa unica fonte di sostentamento del nucleo familiare, composto da essa ricorrente e dal coniuge XXXX, fiscalmente a carico dell’attrice, agiva in via d.urgenza per la rimozione degli effetti illegittimi dei provvedimenti citati, sostenendo, in particolar modo:

  Punto A) del ricorso: l.illegittimità della dichiarazione dello stato di emergenza del 31 gennaio 2020 poiché, osservando che in tale periodo si era verificata la necessità di contemperare la tutela dei diritti fondamentali del singolo individuo con quella della salute pubblica, di cui all.art.32 Cost., risultava, a suo dire, importante sottolineare che l’intero impianto normativo posto in essere dal governo . costituito dalla deliberazione dello stato di emergenza e successive proroghe, dai decreti legge e dai DPCM . non rispettava i princìpi di legalità e riserva di legge, di temporaneità, ragionevolezza, bilanciamento e proporzionalità, così come sanciti dalla Carta Costituzionale; e che, ancora, pur a voler considerare il D. Lgs.1/2018 giuridicamente corretto, le ultime proroghe sarebbero da ritenersi comunque del tutto illegittime. Ciò per il fatto che il governo aveva deliberato lo stato di emergenza in base all.art.24, che stabiliva l.impossibilità di superare i 12 mesi di durata, con possibilità di proroga per non più di ulteriori 12 mesi (rispetto alla prima scadenza); dunque, appariva evidente che la scadenza massima della proroga dello stato di emergenza, prevista dalla norma in esame, di ulteriori 12 mesi, fosse già spirata il 31 luglio 2021, e pertanto, tutti i decreti legge e provvedimenti amministrativi emessi successivamente a tale data, avrebbero dovuto considerarsi .al di fuori del .circuito di legittimazione offerto dalla dichiarazione di emergenza. ed elusivi del disposto del su citato art. 24, comma 3, D.lgs. n.1/2018., come stabilito dal Tribunale di Pisa con la pronuncia n. 1842/2021 (doc. n. A 01 allegato al ricorso). Si richiamava inoltre la risoluzione del novembre 2020 del Parlamento europeo dal seguente tenore: .ricorda che, anche in uno stato di emergenza pubblica, i principi fondamentali dello Stato di diritto, del’emergenza, le deroghe e le limitazioni sono soggette a tre condizioni generali, ovvero la necessità, la proporzionalità in senso stretto e la temporaneità , condizioni che sono state regolarmente applicate e interpretate nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU), della Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) e di vari tribunali costituzionali (e di altro tipo) degli Stati membri (pag.13 punto 1);. e ancora .ribadisce il suo invito, rivolto agli Stati membri, a non abusare dei poteri di emergenza per approvare norme non legate agli obiettivi dell’emergenza sanitaria di COVID-19 al fine di scavalcare il controllo parlamentare; garantire che sia la dichiarazione che l’eventuale proroga dello stato di emergenza, da un lato, sia l’attivazione e l’applicazione dei poteri di emergenza, dall’altro, siano soggette a un efficace controllo parlamentare e giudiziario, tanto interno quanto esterno, e assicurare che i parlamenti abbiano il diritto di sospendere lo stato di emergenza. (doc. A 02 allegato al ricorso);

  Punto B) del ricorso: l.impossibilità dell.obbligo vaccinale di cui ai citati artt. 4 e 4 ter D.L. n. 44/2021, in assenza di studi sulla sicurezza dei vaccini, tuttora utilizzati in modo sperimentale., non consentito, e senza riscontri certi sull’efficacia in termini di prevenzione del contagio;

  Punti C)-D)-E)-F)-G)-J) del ricorso: l’avvenuta lesione, da parte della legislazione emergenziale applicata nel caso di specie, di propri insopprimibili diritti soggettivi, e la conseguente necessità . in osservanza dei precetti comunitari e costituzionali . di disapplicare le norme sopra citate, o di fornirne una interpretazione costituzionalmente orientata. L.impossibilità di imporre un trattamento sanitario al di là dei casi assentiti dalla Costituzione. In particolare, la normativa applicata, e nella specie, gli art. 4 e 4 ter del D. L. n. 44/2021, risulterebbero contrastanti con la Costituzione italiana e con le norme, sovraordinate, contenute nei Trattati internazionali e TUE, tanto da giustificarsi una loro immediata disapplicazione, o in subordine applicazione costituzionalmente e comunitariamente orientata. In particolare, parte ricorrente ha dedotto un contrasto della citata normativa: con la Risoluzione del Consiglio d.Europa, benché non cogente, del 27 gennaio 2021 n. 2361, la quale aveva disposto che: .L’Assemblea esorta quindi gli Stati membri e l’Unione europea a .. garantire sperimentazioni di alta qualità, valide e condotte in modo etico in conformità con le disposizioni pertinenti della Convenzione per la protezione dei diritti dell’uomo … garantire che i cittadini siano informati che la vaccinazione non è obbligatoria e che nessuno è sottoposto a pressioni politiche, sociali o di altro tipo per essere vaccinato se non lo desidera; garantire che nessuno venga discriminato per non essere stato vaccinato, per possibili rischi per la salute o per non volersi vaccinare.. e, soprattutto, con il Regolamento UE 953/2021 (doc. n. D03 allegato al ricorso), norma questa direttamente applicabile, il quale stabilisce .È necessario evitare la discriminazione diretta o indiretta di persone che non sono vaccinate, per esempio per motivi medici, .., o perché non hanno ancora avuto l’opportunità di essere vaccinate o hanno scelto di non essere vaccinate..

***

  Nel giudizio così radicato si è costituito l.Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (di seguito, per brevità, OMCeO) della Provincia di Bologna in persona del Presidente pro tempore del Consiglio Direttivo, rilevando l’inammissibilità, improponibilità ed infondatezza assoluta del ricorso.

  In particolare, OMCeO ha eccepito, in via preliminare, il difetto di giurisdizione del Giudice Ordinario, ritenendo che la situazione soggettiva valutata dal soggetto privato assumesse la consistenza di interesse legittimo e dunque, in quanto tale, da sottoporre alla giurisdizione del Giudice Amministrativo.

  Il resistente, inoltre, ha lamentato come la certificazione attestante la presenza di patologia e la valutazione tale da sconsigliare la vaccinazione, prodotta dalla ricorrente (doc. 7bis), non attestasse né specifiche condizioni cliniche documentate, né era stata rilasciata dal medico di medicina generale della ricorrente o dal medico vaccinatore, sicché non poteva considerarsi certificazione valida per accedere all.esenzione vaccinale ai sensi dell.art. 4, comma 2, D.L. 44/2021.

  Si è opposto, pertanto, all.accoglimento del ricorso, e ne ha chiesto la reiezione con condanna alle spese.

RITENUTO CHE

-In via preliminare, occorre evidenziare l.infondatezza dell’eccezione di difetto di giurisdizione del Giudice adito, sollevata da parte resistente. Invero, dal momento che la controversia in esame riguarda la compressione del diritto al lavoro, nonché il diritto alla salute e allo svolgimento di una esistenza libera e dignitosa, ovvero diritti fondamentali costituzionalmente garantiti, è pacifico che la giurisdizione spetti al Giudice Ordinario.

A mente della giurisprudenza del Consiglio di Stato, infatti, in tutte le ipotesi in cui vengano in considerazione atti amministrativi presupposti, qualora si agisca a tutela di posizioni di diritto soggettivo di matrice costituzionale, quali sono i diritti in materia di lavoro pubblico, o anche il diritto alla salute, deve ritenersi consentita unicamente l.instaurazione del giudizio davanti al giudice ordinario (Cons. di Stato sez. V, 14 aprile 2022, n. 2834); e ancora si è affermato: .sono devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie concernenti gli atti amministrativi adottati dalle Pubbliche Amministrazioni nell.esercizio del potere loro conferito dall.art. 2, d.lgs. n. 165 del 2001, aventi ad oggetto la fissazione delle linee e dei principi fondamentali della organizzazione degli uffici, nel cui quadro i rapporti di lavoro si costituiscono e si svolgono; spetta, invece, al giudice ordinario pronunciarsi sull.illegittimità e/o inefficacia di atti assunti dalle stesse Pubbliche Amministrazioni con la capacità e i poteri del datore di lavoro privato ai sensi dell.art. 5 dello stesso decreto, di fronte ai quali sono configurabili solo diritti soggettivi.(Cons. di Stato sez. V, 26 maggio 2020, n. 3343). Depone in tal senso anche l’ulteriore giurisprudenza citata da parte ricorrente, a sostegno della sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario ogni qualvolta l.Autorità amministrativa non eserciti poteri discrezionali, ma adotti provvedimenti in cui non è insita alcuna particolare valutazione, o fondati su discrezionalità schiettamente tecnica.. In particolare TAR Veneto n. 6337 del 27 aprile 2022, ove i Giudici Amministrativi hanno rilevato che . La sospensione non è disposta dagli ordini, così come non è disposta dall’Amministrazione sanitaria, ma è una conseguenza dell’inadempimento meramente fotografato da quest’ultima mediante l’atto di accertamento, che gli Ordini si limitano a comunicare al professionista, cioè è un mero obbligo informativo, previa presa d’atto e senza alcuna valutazione di merito, riportando l’annotazione relativa all.albo (.). Peraltro, la Corte di Cassazione, sia pure in fattispecie diverse da quelle in esame, ha avuto modo di sottolineare come non possa riconoscersi la giurisdizione del Giudice amministrativo qualora l’Amministrazione non sia chiamata dal legislatore a esercitare poteri discrezionali, ma a verificare la sussistenza dei presupposti e dei requisiti normativamente previsti nello svolgimento di un.attività vincolata, di carattere meramente ricognitivo, della cui natura partecipa anche il giudizio tecnico (Cass. sez. lav. 3 marzo 2021, n. 5825). Addirittura è stato del tutto escluso un ruolo delle amministrazioni sanitarie ai fini dell.accertamento dell.inadempimento, che, peraltro, viene effettuato dagli Ordini sulla scorta di un mero rilievo documentale, per mezzo di un atto definito esplicitamente avente natura dichiarativa e non disciplinare..

Soccorrono infine, a sostegno dell.affermazione testè effettuata, anche recentissime ed autorevoli pronunce di legittimità, riguardanti il diritto alla salute, che hanno testualmente affermato che nessun potere pubblico può incidere sul diritto soggettivo alla salute.. fino al punto di degradarlo ad interesse legittimo. (Cass. SS. UU. ord. 15 febbraio 2022, n. 4873, Pres. Curzio, Est. Conti Roberto Giovanni) e che è senz.altro devoluta al Giudice Ordinario, e non al Giudice Amministrativo, ogni controversia in cui il privato lamenti l.avvenuta lesione da parte della P.A., con comportamenti materiali, o mediante omissione di idonei provvedimenti, del nucleo essenziale del diritto soggettivo, ed inviolabile, alla salute (Cass. SS. UU. 27 luglio 2022, n. 23436, Pres. Curzio, est. Giusti).

  II –

Venendo dunque al merito del ricorso, ed esaminando le questioni agitate nella presente sede cautelare, caratterizzata da cognizione necessariamente sommaria, questo Giudice ritiene di soprassedere dall.affrontare i punti A) e B) del ricorso, che avrebbero l.effetto di anticipare ed esaurire (quanto al primo punto) il giudizio di merito o richiederebbero (punto B) una istruzione incompatibile con la presente fase, per occuparsi direttamente, in ragione del principio della ragione liquida, dei punti C) e seguenti.

Valga rimarcare, a tal fine, che il nostro diritto interno . come interpretato ormai costantemente dal Giudice delle leggi e dalla Corte di Cassazione . riconosce la primazia del diritto comunitario, affermando che il fondamento della sua diretta applicazione, con prevalenza sulle norme statuali, deve rinvenirsi essenzialmente nell.art. 11 della Costituzione, laddove stabilisce che l.Italia consente alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni, talché il contrasto tra norme statali e disciplina comunitaria non dà luogo ad invalidità o illegittimità delle prime, ma comporta la loro .disapplicazione. (Cass. Sez. III, 2 marzo 2005, n. 4466, Pres. Giuliano, Est. Segreto), con la precisazione che, prima di provvedere in tal senso, occorre operare un preliminare tentativo, ossia quello di verificare che non sia possibile fornire una interpretazione conforme al diritto comunitario della norma interna; si legga per es. Corte Cost., Ordinanza n. 454/2006 (red. Tesauro), secondo la quale: .[…] in base alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, fondata sull.art. 11 della Costituzione – il giudice nazionale deve dare piena ed immediata attuazione alle norme comunitarie provviste di efficacia diretta e non applicare in tutto o anche solo in parte le norme interne con esse ritenute inconciliabili, ove occorra previo rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia ai sensi dell’art. 234 del Trattato CE; e, inoltre, lo stesso giudice può investire questa Corte della questione di compatibilità comunitaria nel caso di norme dirette ad impedire o pregiudicare la perdurante osservanza del Trattato, in relazione al sistema o al nucleo essenziale dei suoi principi, nell’impossibilità di una interpretazione conforme, nonché qualora la non applicazione della disposizione interna determini un contrasto, sindacabile esclusivamente dalla Corte costituzionale, con i principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale ovvero con i diritti inalienabili della persona (sentenze n. 168 del 1991, n. 232 del 1989, n. 170 del 1984, n. 183 del 1973, n. 98 del 1965, ordinanze n. 536 del 1995 e n. 132 del 1990)., o ancora, la Sentenza n. 284/2007 (red. Tesauro) secondo la quale: .Il giudice rimettente […] non prospetta una questione di compatibilità tra norme interne e norme comunitarie prive di effetto diretto, ipotesi nella quale, come in precedenza affermato da questa Corte, la fonte statuale serberebbe intatto il suo valore e soggiacerebbe al controllo di costituzionalità (sentenza n. 170 del 1984, nonché sentenza n. 317 del 1996 e ordinanza n. 267 del 1999), ma si duole che la normativa in esame confligga con norme comunitarie pacificamente provviste di effetto diretto. Ora, nel sistema dei rapporti tra ordinamento interno e ordinamento comunitario, quale risulta dalla giurisprudenza di questa Corte, consolidatasi, in forza dell.art. 11 della Costituzione, soprattutto a partire dalla sentenza n. 170 del 1984, le norme comunitarie provviste di efficacia diretta precludono al giudice comune l’applicazione di contrastanti disposizioni del diritto interno, quando egli non abbia dubbi […] in ordine all.esistenza del conflitto. La non applicazione deve essere evitata solo quando venga in rilievo il limite, sindacabile unicamente da questa Corte, del rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale e dei diritti inalienabili della persona (da ultimo, ordinanza n.454 del 2006). […] Le statuizioni della Corte di Giustizia delle Comunità europee hanno, al pari delle norme comunitarie direttamente applicabili cui ineriscono, operatività immediata negli ordinamenti interni (sentenze n. 389 del 1989 e n. 113 del 1985). Nel caso in cui, in ordine alla portata di dette statuizioni, i giudici nazionali chiamati ad interpretare il diritto comunitario, al fine di verificare la compatibilità delle norme interne, conservino dei dubbi rilevanti, va utilizzato il rinvio pregiudiziale prefigurato dall.art. 234 del Trattato CE quale fondamentale garanzia di uniformità di applicazione del diritto comunitario nell.insieme degli Stati membri. Vale appena ribadire che la questione di compatibilità comunitaria costituisce un prius logico e giuridico rispetto alla questione di costituzionalità, poiché investe la stessa applicabilità della norma censurata e pertanto la rilevanza di detta ultima questione. In conclusione, la questione dev.essere dichiarata inammissibile, in quanto non compete a questa Corte, ma al giudice comune accertare – eventualmente avvalendosi dell.ausilio del rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia – se le disposizioni del diritto interno, rilevanti nella specie, confliggano con le evocate norme del diritto comunitario provviste di effetto diretto e trarne le conseguenze qui precisate.. (Considerato in diritto, 3.) ed altresì la sentenza n. 349/2007 (red. Tesauro), esemplare in merito alla rappresentazione della teoria dei cd. .controlimiti., alla stregua della quale: .L.art. 117, primo comma, Cost. non consente di ritenere la comunitarizzazione delle norme CEDU ma impone al giudice di attivare il sindacato di costituzionalità nelle ipotesi di contrasto insanabile in via interpretativa tra norme interne e norme convenzionali. L.art. 11 Cost., il quale stabilisce, tra l’altro, che l.Italia «consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni», è invece la disposizione che ha permesso di riconoscere alle norme comunitarie efficacia obbligatoria nel nostro ordinamento (sentenze n. 284 del 2007; n. 170 del 1984). […] In riferimento alla CEDU, questa Corte ha, inoltre, ritenuto che l.art. 11 Cost. «neppure può venire in considerazione non essendo individuabile, con riferimento alle specifiche norme convenzionali in esame, alcuna limitazione della sovranità nazionale» (sentenza n. 188 del 1980), conclusione che si intende in questa sede ribadire. Va inoltre sottolineato che i diritti fondamentali non possono considerarsi una .materia. in relazione alla quale sia allo stato ipotizzabile, oltre che un.attribuzione di competenza limitata all.interpretazione della Convenzione, anche una cessione di sovranità. Né la rilevanza del parametro dell.art. 11 può farsi valere in maniera indiretta, per effetto della qualificazione, da parte della Corte di giustizia della Comunità europea, dei diritti fondamentali oggetto di disposizioni della CEDU come principi generali del diritto comunitario. È vero, infatti, che una consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia, anche a seguito di prese di posizione delle Corti costituzionali di alcuni Paesi membri, ha fin dagli anni settanta affermato che i diritti fondamentali, in particolare quali risultano dalla CEDU, fanno parte dei principi generali di cui essa garantisce l.osservanza. È anche vero che tale giurisprudenza è stata recepita nell’art. 6 del Trattato sull’Unione Europea e, estensivamente, nella Carta dei diritti fondamentali proclamata a Nizza da altre tre istituzioni comunitarie, atto formalmente ancora privo di valore giuridico ma di riconosciuto rilievo interpretativo (sentenza n. 393 del 2006). In primo luogo, tuttavia, il Consiglio d’Europa, cui afferiscono il sistema di tutela dei diritti dell.uomo disciplinato dalla CEDU e l’attività interpretativa di quest.ultima da parte della Corte dei diritti dell.uomo di Strasburgo, è una realtà giuridica, funzionale e istituzionale, distinta dalla Comunità europea creata con i Trattati di Roma del 1957 e dall.Unione europea oggetto del Trattato di Maastricht del 1992. In secondo luogo, la giurisprudenza è sì nel senso che i diritti fondamentali fanno parte integrante dei principi generali del diritto comunitario di cui il giudice comunitario assicura il rispetto, ispirandosi alle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri ed in particolare alla Convenzione di Roma (da ultimo, su rinvio pregiudiziale della Corte Costituzionale belga, sentenza 26 giugno 2007, causa C- 305/05, Ordini avvocati c. Consiglio, punto 29). Tuttavia, tali principi rilevano esclusivamente rispetto a fattispecie alle quali tale diritto sia applicabile: in primis gli atti comunitari, poi gli atti nazionali di attuazione di normative comunitarie, infine le deroghe nazionali a norme comunitarieasseritamente giustificate dal rispetto dei diritti fondamentali (sentenza 18 giugno 1991, C-260/89, ERT). La Corte di giustizia ha infatti precisato che non ha tale competenza nei confronti di normative che non entrano nel campo di applicazione del diritto comunitario (sentenza 4 ottobre 1991, C-159/90, Society for the Protection of Unborn Children Ireland; sentenza 29 maggio 1998, C-299/95, Kremzow): ipotesi che si verifica precisamente nel caso di specie. In terzo luogo, anche a prescindere dalla circostanza che al momento l.Unione europea non è parte della CEDU, resta comunque il dato dell.appartenenza da tempo di tutti gli Stati membri dell’Unione al Consiglio d.Europa ed al sistema di tutela dei diritti fondamentali che vi afferisce, con la conseguenza che il rapporto tra la CEDU e gli ordinamenti giuridici degli Stati membri, non essendovi in questa materia una competenza comune attribuita alle (né esercitata dalle) istituzioni comunitarie, è un rapporto variamente ma saldamente disciplinato da ciascun ordinamento nazionale. Né, infine, le conclusioni della Presidenza del Consiglio europeo di Bruxelles del 21 e 22 giugno 2007 e le modifiche dei trattati ivi prefigurate e demandate alla conferenza intergovernativa sono allo stato suscettibili di alterare il quadro giuridico appena richiamato.

Altrettanto inesatto è sostenere che la incompatibilità della norma interna con la norma della CEDU possa trovare rimedio nella semplice non applicazione da parte del giudice comune. Escluso che ciò possa derivare dalla generale .comunitarizzazione. delle norme della CEDU, per le ragioni già precisate, resta da chiedersi se sia possibile attribuire a tali norme, ed in particolare all.art. 1 del Protocollo addizionale, l.effetto diretto, nel senso e con le implicazioni proprie delle norme comunitarie provviste di tale effetto, in particolare la possibilità per il giudice nazionale di applicarle direttamente in luogo delle norme interne con esse confliggenti. E la risposta è che, allo stato, nessun elemento relativo alla struttura e agli obiettivi della CEDU ovvero ai caratteri di determinate norme consente di ritenere che la posizione giuridica dei singoli possa esserne direttamente e immediatamente tributaria, indipendentemente dal tradizionale diaframma normativo dei rispettivi Stati di appartenenza, fino al punto da consentire al giudice la non applicazione della norma interna confliggente. Le stesse sentenze della Corte di Strasburgo, anche quando è il singolo ad attivare il controllo giurisdizionale nei confronti del proprio Stato di appartenenza, si rivolgono allo Stato membro legislatore e da questo pretendono un determinato comportamento. Ciò è tanto più evidente quando, come nella specie, si tratti di un contrasto strutturale. tra la conferente normativa nazionale e le norme CEDU così come interpretate dal giudice di Strasburgo e si richieda allo Stato membro di trarne le necessarie conseguenze.. Prima della sostituzione dell.art. 117, primo comma, Cost. .da parte dell.art. 2 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), […] la violazione di obblighi internazionali derivanti da norme di natura convenzionale non contemplate dall.art. 10 e dall.art. 11 Cost. da parte di leggi interne comportava l.incostituzionalità delle medesime solo con riferimento alla violazione diretta di norme costituzionali (sentenza n. 223 del 1996). E ciò si verificava a dispetto di uno degli elementi caratterizzanti dell.ordinamento giuridico fondato sulla Costituzione, costituito dalla forte apertura al rispetto del diritto internazionale e più in generale delle fonti esterne, ivi comprese quelle richiamate dalle norme di diritto internazionale privato; e nonostante l.espressa rilevanza della violazione delle norme internazionali oggetto di altri e specifici parametri costituzionali. Inoltre, tale violazione di obblighi internazionali non riusciva ad essere scongiurata adeguatamente dal solo strumento interpretativo, mentre, come sopra precisato, per le norme della CEDU neppure è ammissibile il ricorso alla non applicazione. utilizzabile per il diritto comunitario. Non v.è dubbio, pertanto, alla luce del quadro complessivo delle norme costituzionali e degli orientamenti di questa Corte, che il nuovo testo dell.art. 117, primo comma, Cost., ha colmato una lacuna e che, in armonia con le Costituzioni di altri Paesi europei, si collega, a prescindere dalla sua collocazione sistematica nella Carta costituzionale, al quadro dei principi che espressamente già garantivano a livello primario l’osservanza di determinati obblighi internazionali assunti dallo Stato. Ciò non significa, beninteso, che con l.art. 117, primo comma, Cost., si possa attribuire rango costituzionale alle norme contenute in accordi internazionali, oggetto di una legge ordinaria di adattamento, com.è il caso delle norme della CEDU. Il parametro costituzionale in esame comporta, infatti, l’obbligo del legislatore ordinario di rispettare dette norme, con la conseguenza che la norma nazionale incompatibile con la norma della CEDU e dunque con gli .obblighi internazionali. di cui all.art. 117, primo comma, viola per ciò stesso tale parametro costituzionale. Con l.art. 117, primo comma, si è realizzato, in definitiva, un rinvio mobile alla norma convenzionale di volta in volta conferente, la quale dà vita e contenuto a quegli obblighi internazionali genericamente evocati e, con essi, al parametro, tanto da essere comunemente qualificata .norma interposta.; e che è soggetta a sua volta […] ad una verifica di compatibilità con le norme della Costituzione. Ne consegue che al giudice comune spetta interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti nei quali ciò sia permesso dai testi delle norme. Qualora ciò non sia possibile, ovvero dubiti della compatibilità della norma interna con la disposizione convenzionale .interposta., egli deve investire questa Corte della relativa questione di legittimità costituzionale rispetto al parametro dell.art. 117, primo comma.. (Considerato in diritto, 6.1., 6.2.).

In senso conforme si sono pronunciate svariate sentenze di legittimità (ex multis, Cass. 26 settembre 2014, n. 20435, oltre alla già citata Cass. 2 marzo 2005, n. 4466). In definitiva, e riassumendo, ogni qualvolta il giudice nazionale rilevi un possibile contrasto tra una norma interna ed una fonte, sovraordinata, di diritto comunitario, quale è senza dubbio il Regolamento UE, egli deve verificare in prima battuta . ancora prima di giungere alla decisione di disapplicare senz.altro la norma, o di sollevare la questione pregiudiziale dinanzi al Giudice Comunitario, laddove vi sia un problema interpretativo della norma .interposta. . la possibilità di interpretare la normativa interna in conformità a quella comunitaria, a patto che ciò non impinga in limitazioni derivanti dalla nostra Carta Costituzionale, provocando un insanabile contrasto con i principi fondamentali del nostro ordinamento.

Tanto premesso, deve osservarsi:

  l.art. 44 del D.L: n. 44/2021 sembra effettivamente contrastare con le disposizioni contenute nel Regolamento Comunitario 953/2021 (doc. n. D03 allegato al ricorso), norma questa direttamente applicabile, il quale stabilisce .È necessario evitare la discriminazione diretta o indiretta di persone che non sono vaccinate, per esempio per motivi medici, .., o perché non hanno ancora avuto l’opportunità di essere vaccinate o hanno scelto di non essere vaccinate.. Il predetto art. 44, infatti, al comma 4, prevede che .Decorsi i termini di cui al comma 3, qualora l’Ordine professionale accerti il mancato adempimento dell’obbligo vaccinale, anche con riguardo alla dose di richiamo, ne dà comunicazione alla Federazione nazionale competente, all’interessato, all’azienda sanitaria locale competente, limitatamente alla professione di farmacista, e, per il personale che abbia un rapporto di lavoro dipendente, anche al datore di lavoro, ove noto. L’inosservanza degli obblighi di comunicazione di cui al primo periodo da parte degli Ordini professionali verso le Federazioni nazionali rileva ai fini e per gli effetti dell’articolo 4 del decreto legislativo del Capo Provvisorio dello Stato 13 settembre 1946, n. 233, ratificato dalla legge 17 aprile 1956, n. 561. L’atto di accertamento dell’inadempimento dell’obbligo vaccinale è adottato da parte dell’Ordine professionale territorialmente competente, all’esito delle verifiche di cui al comma 3, ha natura dichiarativa e non disciplinare, determina l’immediata sospensione dall’esercizio delle professioni sanitarie ed è annotato nel relativo Albo professionale.;

  la norma interna, dunque, parrebbe disporre un trattamento discriminatorio a sfavore di coloro, esercenti la professione medica, che . indipendentemente da qualsiasi considerazione circa la motivazione di ciò . non assolvano l.obbligo vaccinale. Tale conclusione, del resto, appare altresì avvalorata dall’interpretazione rigida che, del disposto, ha fornito . in data 17 febbraio 2022 . il Capo del Gabinetto Ministeriale, ove ha precisato che neppure la guarigione dall’infezione è idonea, .in base alla normativa vigente., a legittimare la revoca della sospensione, così implicitamente avvalorando la tesi della imprescindibilità della sospensione a fronte del mero dato empirico dell’inottemperanza all’obbligo vaccinale, senza che possa venire in rilievo alcuna distinzione, in ragione della particolare condizione soggettiva di chi non intenda sottoporsi alla vaccinazione;

  orbene, in accordo con le autorevoli fonti sopra indicate, prima di porsi il problema, radicale, di disapplicazione della norma occorre verificare se, di essa, sia possibile una interpretazione conforme al diritto comunitario, senza con ciò impingere in valori fondamentali preservati dalla nostra Costituzione.

Ritiene questo Giudice che ciò sia ammissibile, ed anzi, doveroso. Infatti la prescrizione dell’obbligo vaccinale a pena di sospensione, per gli esercenti la professione medica, in ottemperanza a disposto . quello dell.art. 4 citato – indubbiamente ispirato ad esigenze, costituzionalmente garantite, di salute collettiva, dev’esser senz’altro contemperato, ed interpretato, oltre che alla luce dei citati precetti sovranazionali, in ragione di ogni altra posizione costituzionalmente garantita coinvolta dall.automatica ed irragionevole applicazione del precetto, quali in primo luogo il diritto alla dignità personale garantito dall.art. 2 della Costituzione, il diritto alla parità di trattamento assicurato dall.art. 3 della Costituzione, il diritto alla salute garantito dall.art. 32 della Costituzione, il diritto al lavoro di cui all.art. 36 della Costituzione.

Tanto premesso, si rileva . esaustivamente . in questa sommaria fase cautelare:

  applicare, o comunque non revocare, come è avvenuto nel caso di specie, la sospensione dell’esercizio dalla professione medica della ricorrente, nonostante la certificata guarigione dall’infezione COVID, significa operare una irragionevole parificazione (e dunque, una disparità di trattamento operata riservando omologhi trattamenti a situazioni invero tra loro differenti) tra i soggetti guariti dal COVID-19 e i soggetti che non l.hanno mai avuto e non si sono vaccinati. L’Ordine resistente, invero, ha di fatto ritenuto irrilevante la circostanza che la dott.ssa XXX, neanche due mesi prima della confermata sospensione, fosse guarita dal Covid-19, durato dal 7 al 17 gennaio 2022, senza tener conto delle varie disposizioni, anche di diritto interno, volte ad equiparare la posizione dei soggetti vaccinati e di quelli guariti dal COVID-19. La stessa legge Lorenzin in materia di obblighi vaccinali stabilisce che .L.avvenuta immunizzazione a seguito di malattia naturale, comprovata dalla notifica effettuata dal medico curante (.), ovvero dagli esiti dell.analisi sierologica, esonera dall.obbligo della relativa vaccinazione. (art. 1 comma 2 D.L. 73/2017);

  la decisione dell.Ordine appare, inoltre, fondata su una interpretazione ed applicazione dell.art. 4 comma 4 contrastante, oltre che con il precetto dell.art. 32 Cost., sotto il profilo della tutela del diritto alla salute individuale, con altra parte dello stesso disposto normativo applicato, nella parte in cui, al comma 2, prevede che l.obbligo vaccinale possa essere omesso o differito per comprovate ragioni di salute. Invero, nel caso che occupa, la ricorrente aveva fatto pervenire documentazione, stilata dal proprio medico curante Prof.

XXX in data 7 dicembre 2021, in cui veniva certificato, in ragione delle patologie cui la dott.ssa XXX è affetta (.Tiroidite di Hashimoto, pregressi episodi di angioedema conseguenti a reazioni avverse a farmaci ed inoltre patologia retinica in cura presso ambiente oculistico.) e della ridotta probabilità di sviluppare una severa malattia da Covid-19, un elevato rischio di complicanze, tale da superare i possibili benefici e da rendere il vaccino sconsigliabile nel caso di specie (doc. 7bis). L.OMCeO dunque, in ragione dei diritti fondamentali in gioco, ed indipendentemente dalla provenienza reputata non qualificata – della certificazione, avrebbe potuto ed anzi, dovuto operare un approfondimento circa la condizione di salute della odierna ricorrente, per verificare se effettivamente le indicate condizioni di .accertato pericolo per la salute. di cui al comma 2 ricorressero e sconsigliassero, effettivamente, la vaccinazione, anziché limitarsi ad eccepire l’invalidità del certificato prodotto da parte ricorrente per la semplice provenienza .da un collega. anziché dal medico di base o dal medico vaccinatore. In altri termini, è ben possibile che del disposto venga operata una interpretazione, sotto tale profilo, comunitariamente e costituzionalmente compatibile;

  inoltre, sempre in virtù delle esigenze di contemperamento e di interpretazione orientata di cui si è detto, nonché in applicazione di quanto prevede lo stesso comma settimo della disposizione applicata, l.Ordine, prima di disporre e mantenere la sospensione della dott.ssa XXX tout court, avrebbe potuto e dovuto valutare svariate possibili leviori soluzioni, quali l’assentire l’espletamento dell’attività con prescrizioni apposite o precauzioni, ovvero vagliare la possibilità di destinare . quanto meno temporaneamente . la ricorrente a mansioni diverse, non implicanti il contatto con il pubblico, ovvero, in ragione particolare situazione economica della ricorrente, vagliare la possibilità di garantirle la percezione di emolumenti indennitari.

In definitiva, ed in ragione di una disamina necessariamente sommaria della fattispecie, e salvi i più approfonditi accertamenti che sarà possibile compiere nella fase di merito, la decisione di sospensione della ricorrente appare fondata su interpretazione non condivisibile del disposto dell.art. 4, comma 4, della legge citata, norma di cui, per le ragioni evidenziate, è possibile una lettura comunitariamente e costituzionalmente orientata. Peraltro, la decisione di riammettere la ricorrente all.esercizio della propria attività lavorativa è, nella situazione esposta in ricorso, quella che, nelle more del procedimento di merito, riveste profili lesivi di minore impatto; ed in particolare a fronte del certo pregiudizio per il diritto della ricorrente al rispetto di proprie posizioni garantite dal diritto comunitario e dalla Costituzione, si profila un possibile ed ipotetico pregiudizio per la salute collettiva che, in specie tenendo conto della particolare situazione della ricorrente, già guarita dal COVID, non è allo stato tangibile ed imminente. Il ricorso va quindi accolto nei termini proposti dalla ricorrente, e, dati i connotati soggettivi della vicenda, nonché in ragione dei contrasti interpretativi ancora in atto, si reputa opportuna la compensazione delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Visti gli artt. 669 bis e ss., e 700 c.p.c., in accoglimento del ricorso, dispone l.immediata sospensione dell.efficacia dei provvedimenti di sospensione/proroga della sospensione dall.Albo della Dott.sa XXX comunicati dall.Ordine dei Medici di Bologna il 4 Marzo 2022 e il 14 Giugno 2022, ed ammette l.istante, con le eventuali modalità e cautele che vorranno individuarsi da parte del resistente, a riprendere l’esercizio della propria professione di medico sportivo, con recupero del relativo trattamento economico; dispone altresì l’immediata cancellazione del provvedimento di sospensione anche dall.Albo online, con conseguente obbligo di provvedere alla relativa comunicazione all.Azienda Usl di Bologna;spese della procedura compensate.

Bologna 3 novembre 2022

Il Giudice

dott. Alessandra Arceri

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