“Il punto dell’accademia e dell’università è ancora più nero di quello dei medici, perché spesso il medico non ha il tempo fisico per potersi informare, magari non ha neanche una conoscenza dell’inglese sufficiente per leggere gli articoli scientifici. È stato proprio un momento, dalla Seconda Guerra Mondiale a oggi, in cui l’università avrebbe dovuto e potuto fare la differenza, sono stati proprio questi anni. Perché, a differenza dei medici, il professore universitario ha il tempo, la cultura e la formazione. E quindi quello che è veramente crollato, secondo me, all’esame della verità è stato proprio il sistema universitario. Perché se i professori universitari che si sono opposti a questa storia, non mi ricordo se nel nazismo furono sei o qualcosa del genere, con la storia del Covid siamo a meno di sei”, denuncia Giovanni Frajese a Rastignano (Bo) nell’incontro dialogo a due con la giornalista Raffaella Regoli. “Quindi vuol dire che non è cambiato niente, la natura umana rimane sempre quella.
Proprio perché venendo da una storia diversa e avendo vissuto tempi completamente differenti rispetto a quelli attuali, viveva ancora con l’illusione e l’idea che comunque l’accademia e l’università rappresentassero un posto pieno di raccomandati ma allo stesso tempo dove era possibile che finissero gli studenti più meritevoli o quelli che avevano voglia di approfondire determinate cose. Invece, esattamente come ha detto lei, è diventata una sorta di omologatore di un prodotto finito che deve essere standardizzato nella sua bassissima qualità.
Il punto non è tanto quello di eccellere; anzi, oggi se c’è un’eccellenza dà fastidio a tutti gli altri perché, in realtà, fondamentalmente hanno fatto solo che sminuire l’oro altrui. Il messaggio di oggi è che dobbiamo essere tutti noi nella famosa Aurea Mediocritas all’interno della quale ci confondiamo e non abbiamo un volto. Peccato che il volto ce l’abbiamo, ognuno di noi.”
Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore.
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