Primi 230 laureati dalla scuola post universitaria di IppocrateOrg, l’associazione di medici che ha curato le persone durante il Covid

“Questo mese, 230 medici si diplomeranno alla scuola post universitaria di IppocrateOrg dopo due anni di corso. Il diploma verrà consegnato personalmente a ogni studente da Robert Malone il 21 giugno sera,” spiega Mauro Rango, il fondatore di IppocrateOrg. “Si tratta di un’occasione importante, un coronamento e anche un premio per questi sanitari che hanno fatto una scelta ben precisa. All’epoca della pandemia, hanno scelto di curare i pazienti, di pronunciarsi contro i vaccini per i bambini. Sono stati sospesi, hanno pagato sulla loro pelle queste scelte; alcuni hanno perso il lavoro, altri se ne sono andati. Insomma, hanno fatto una scelta di campo ben precisa. Abbiamo provato a vedere cosa noi avremmo potuto dare come associazione senza soldi, finanziata dal basso, quindi senza investitori dall’alto, e abbiamo fondato una scuola post-universitaria per laureati in figure di cura. A giugno ci saranno i primi 230 laureati.”

La Scuola di Ippocrate “sta tentando la difficile operazione di un cambio di paradigma nella formazione della figura di cura”, si legge nella presentazione del master.

“Il cambio di paradigma richiede percorsi pionieristici, richiede la costruzione di nuove strade.

Spesso, noi della Scuola di Ippocrate parliamo di medicina integrata, ma se ben guardiamo il pensiero rimane orientato ad una modalità binaria, concentrato sul già conosciuto.

Le patologie umane sono complesse ma non esistono ancora una filosofia e una tecnica che integrino visioni e approcci.

Il nostro mondo culturale, quello c.d. occidentale, prevede un’unica visione di essere umano, basata sul concetto di “individuo”, e su una divisione strutturale tra mente/corpo. Tale visione non è mai stata veramente messa in discussione e ha reso possibile la disposizione di protocolli di cura pensati come “validi per tutti”.

Il nostro operare come terapeuti, inevitabilmente, poggia sulla visione del mondo culturale a cui apparteniamo; così come cambiano le società, cambiano le malattie. I terapeuti devono saper rispondere a questi cambiamenti e reinventare le proprie tecniche e i propri paradigmi, partendo da una lettura antropologica della medicina. Il rischio da evitare è quello che i terapeuti non siano più adatti al mondo in mutazione. Questo è quanto la storia della medicina continua ad insegnarci.

Se ben guardiamo al nostro operato, anche noi figure di cura di IppocrateOrg, agiamo sulla base di protocolli e tecniche parcellizzate; sono protocolli alternativi, più rispettosi dell’equilibrio ecosistemico umano, ma pur sempre protocolli: raramente interagiscono concretamente con altri approcci.

In sostanza, ciascuno opera secondo la propria prospettiva medica o psicologica, sia essa tradizionale o innovativa, e non la integra con altre prospettive. Il mondo sta cambiando, ma la prassi terapeutica rischia di rimanere immutata.

Siamo nel mondo della complessità, l’organismo umano, la sua fisiologia e la sua patologia operano secondo dinamiche complesse. A dinamiche complesse necessitano risposte terapeutiche complesse.

La grande sfida del Secondo Anno della Scuola di Ippocrate è quella di costruire una nuova strada, di integrare gli approcci terapeutici più all’avanguardia, soprattutto là dove la sfida si fa più elevata: malattie cronico degenerative, malattie autoimmuni, patologie oncologiche e patologie psichiche a rischio di cronicizzazione.

Ad esempio, una persona con patologia psichica a rischio di cronicizzazione richiederebbe interventi multi-approccio, multidisciplinari ed integrati: psicoterapia individuale attenta a non patologizzare gli stati non ordinari di coscienza; terapia sistemico-familiare; interventi di tipo psicocorporeo; interventi innovativi di medicina integrata; terapia supportiva di gruppo, e altro.

Facciamo un altro esempio: una patologia oncologica richiede interventi multipli e complementari. Disponiamo di medicine di frontiera che iniziano ad avere dei risultati. Nessuno ha ancora integrato queste medicine. Ci riferiamo agli sviluppi della fotodinamica in Germania, dell’ozonoterapia a Cuba, dell’immunoterapia in Spagna, e di tante altre. Da sole, isolate, danno qualche risultato. Probabilmente, se procedessimo con la loro integrazione in un contesto di stile di vita adeguato alla patologia, i risultati diverrebbero più incoraggianti.

Per fare tutto questo necessitano non solo figure professionali di coordinamento ad oggi non ancora esistenti, ma, soprattutto, necessita un cambio di prospettiva, un operare tramite un vero e proprio nuovo modo di organizzare gli interventi terapeutici.

Al processo della parcellizzazione delle terapie, va sostituito un processo di intervento clinico integrato che ad oggi non esiste veramente. Non esiste una “tecnica”, una modalità di far terapia, che si basi strutturalmente sull’integrazione dei saperi.

Prima ancora di una comunità terapeutica nuova, necessita costruire una “Comunità Terapeutica Educante”, che individui le regole a cui ispirarsi nella costruzione di una strada e di un nuovo paradigma di cura che implichi la cooperazione tra diverse figure di cura.

Per andare alle radici della patologia e della cura bisogna prima andare alle radici della vita, bisogna essere consapevoli del terreno di conoscenze estremamente relativo e parziale in cui ci troviamo ad operare.

Ultima questione riguarda la misurazione dell’operato del terapeuta. Non è sufficiente essere terapeuti etici, coscienziosi, che pongono al centro la persona, che sono in ascolto, che utilizzano rimedi più naturali possibile: è necessario misurare i risultati ottenuti. Sembra logico e scontato quanto affermato ora, ma non lo è.

Tanti terapeuti “alternativi” riferiscono di risultati importanti nel trattamento di patologie gravi, ma in 40 anni di servizio non hanno mai prodotto un report che avvalori le loro affermazioni secondo i canoni scientifici.

Non possiamo porci come una alternativa se non offriamo risultati verificabili anche secondo il metodo scientifico.

Per aprirci ad una nuova prospettiva, laddove non esiste un percorso tracciato, si deve aprire un nuovo modus operandi, anche nella Comunità degli Allievi che deve trasformarsi e divenire essa stessa Comunità Terapeutica Educante.

Il percorso del Secondo Anno pertanto assumerà una nuova modalità di costruzione.

Non si può cercare il nuovo con strumenti e metodi vecchi.

La Scuola necessita di individuare un nuovo metodo che, temporaneamente, chiameremo: Metodo dei Processi Espansi. Tale metodo dovrà spostare l’attenzione scientifica direzionata oggi esclusivamente sul metodo induttivo verso un metodo deduttivo per poter meglio concretizzare risultati nel perseguimento del paradigma della complessità. Scendere dal generale al particolare richiede innanzitutto l’allineamento con se stessi e con il proprio intuito, l’ampliamento del campo del  percepito, la cooperazione quale prassi costante”.

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore.

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