Covid e vigile attesa: uno studio denuncia le politiche statali e gli interessi delle case farmaceutiche

Il disastro Covid in Italia potrebbe essere stato causato da politiche statali sbagliate sul Covid, Tachipirina e vigile attesa, unito agli interessi delle case farmaceutiche verso i nuovi vaccini e al disinteresse verso vecchi farmaci non più redditizi. Lo denuncia un  nuovo studio di due medici italiani, Serafino Fazio, Professore di Medicina Interna all’Università Federico II di Napoli, e Paolo Bellavite, Professore di Patologia Generale all’Università di Verona, pubblicato su BioMed.

Il lavoro dei due medici analizza gli studi esistenti fino al febbraio 2023 e conferma che l’utilizzo precoce di una semplice terapia a base di farmaci antinfiammatori non steroidei avrebbe potuto ridurre fino a 10 volte il sovraccarico ospedaliero dei primi due anni di pandemia e, molto probabilmente, anche migliaia di decessi.

Ecco le conclusioni a cui sono giunti.

“Sebbene il razionale per l’utilizzo di farmaci antinfiammatori non steroidei nel COVID-19 fosse chiaro fin dall’inizio della pandemia, in Italia e nella maggior parte del resto del mondo occidentale non sono state fornite indicazioni per il loro uso immediato per arrestare o , almeno, limitare i danni causati dalla malattia. Al contrario, le prime linee guida, emanate dal Ministero della Salute e dall’AIFA, suggerivano l’uso del paracetamolo, che non ha alcun razionale fisiopatologico per l’uso in COVID-19 se non quello di ridurre l’entità di alcuni sintomi come febbre e dolore, e attendere le prime 72 h in vigile attesa nella speranza che la malattia si autolimiti. Ciò non ha tenuto conto del fatto che una malattia infettiva come questa, che può produrre gravi infiammazioni in alcuni organi vitali e trombosi nei giorni successivi, deve essere affrontata con farmaci che non siano solo sintomatici ma che abbiano anche un meccanismo d’azione che li rende capaci di interferire con i meccanismi fisiopatologici che il virus utilizza per produrre l’aggravamento della malattia e portare al ricovero e alla morte. Un intervento semplice e rapido con i FANS avrebbe probabilmente portato a una notevole riduzione del numero di ricoveri e di decessi. Purtroppo, però, questo non è stato dimostrato con studi appropriati, randomizzati e controllati come vorrebbe oggi EBM. Infatti, a causa di notevoli difficoltà organizzative, sono stati condotti studi osservazionali prevalentemente retrospettivi, che hanno evidenziato come un tempestivo intervento domiciliare con FANS nel trattamento dei pazienti affetti da COVID-19 abbia determinato una più rapida risoluzione dei sintomi, ed una significativa riduzione del numero di ricoveri e decessi.
Ma certamente c’era scarso interesse da parte delle grandi case farmaceutiche a sponsorizzare studi controllati randomizzati con questi vecchi farmaci, mentre c’era un notevole interesse per alcuni farmaci antivirali considerevolmente costosi. Anche i governi, compreso quello italiano, hanno mostrato scarso interesse ad investire in studi su questi vecchi farmaci. Forse temevano che se si fosse scoperto che qualche vecchio farmaco antinfiammatorio fosse efficace nella cura della malattia, la popolazione non sarebbe sufficientemente stimolata ad approfittare della vaccinazione per proteggersi. Ciò avrebbe minato tutto l’approccio politico, soprattutto da parte dei Paesi occidentali che avevano investito molti miliardi nella vaccinazione come principale e, forse, unico mezzo farmacologico per debellare la pandemia”.

Solo di recente, a più di 3 anni dall’inizio della pandemia, la Federazione Italiana Medici di Medicina Generale (IFMMG), che fino ad ora aveva spinto solo nella direzione dei vaccini, in collaborazione con l’Unità di Malattie Infettive del Policlinico Tor Vergata di Roma , redigere un diagramma di flusso, per i Medici di Medicina Generale, per il trattamento domiciliare precoce dei pazienti con COVID-19. Questo documento afferma che il trattamento domiciliare precoce dell’infezione da SARS-CoV-2 è ora possibile grazie alla disponibilità di specifici farmaci antivirali da utilizzare nei pazienti a rischio e che i farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) hanno un funzione molto importante nella lotta al virus fin dalla fase iniziale dell’infezione. Pertanto, l’uso dei FANS non è solo razionale ma anche efficace nei casi, ancora nella maggioranza, intrattabili con gli antivirali. Questo documento suggerisce anche di creare un migliore sistema di controllo domiciliare per i pazienti con COVID-19, inviando in ospedale solo i pazienti a rischio e quelli che peggiorano, al fine di cercare di evitare il sovraffollamento degli ospedali. Questi concetti apparentemente semplici sono stati applicati in Italia dall’inizio della pandemia dai medici che fanno parte del “Gruppo di terapia precoce a domicilio per COVID-19” (www.terapiadomiciliarecovid19.org (accesso 19 aprile 2020)). Questo gruppo è stato fondato dall’avvocato Erich Grimaldi, per fornire un aiuto precoce ai malati di COVID-19 a casa in un momento segnato dalle difficoltà organizzative delle istituzioni sanitarie italiane e del governo. Tuttavia, questo gruppo è stato ampiamente boicottato sia dal Ministero della Salute italiano che dalle istituzioni mediche, che hanno suggerito principalmente l’uso del paracetamolo come sintomatico e un approccio attendista nei primi tre giorni dopo l’inizio dei sintomi. Una maggiore collaborazione da parte del governo e un maggior dialogo tra le parti avrebbero sicuramente prodotto risultati migliori. Applicare fin dall’inizio questi concetti, infatti, avrebbe potuto ridurre l’altissima letalità della malattia durante i primi due anni di pandemia e prevenire il sovraccarico ospedaliero”.

Sembrerebbe ovvio, alla luce del fatto che il virus può, in alcuni casi, aggravare l’infiammazione patologica incontrollata, fino alla tempesta di citochine e alla trombosi, ipotizzare l’uso di farmaci antinfiammatori volti a ridurre l’aggressività della malattia, come è già stato fatto per alcune altre malattie come l’influenza. Tuttavia, purtroppo, questa tesi è stata sposata da pochi, anche perché, proprio all’inizio della pandemia, è stato emesso un monito a non usare l’ibuprofene durante il COVID-19 perché questo potrebbe portare ad un peggioramento della malattia . Inoltre, le prime linee guida emanate dal Ministero della Salute italiano e dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), indicavano solo l’uso del paracetamolo come sintomatico e per osservare attentamente l’andamento della malattia nelle prime 72 h dall’esordio dei sintomi”.

Qui lo studio completo: https://www.mdpi.com/2673-8430/3/1/15

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore.

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