“Non c’è emergenza che imponga approvazioni affrettate”, Commissione medico scientifica indipendente

 Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale 2023-25: non c’è emergenza che imponga approvazioni affrettate. 

Prendere il tempo di discuterlo in modo adeguato, senza sottoscrivere possibili ipoteche 

Premessa 

Il Ministro della Salute del nuovo Governo italiano ha dichiarato in una pubblica intervista (Libero, 5-12-‘22) “Mai più obbligo vaccinale”, e il Governo ha disposto il rientro anticipato del personale della Sanità sospeso. 

Le motivazioni della recente Sentenza della Consulta da un lato dichiarano “non irragionevole” l’obbligo vaccinale anti-COVID-19, dall’altro (punti 6 e 8) ribadiscono per ben 12 volte il concetto che la legge si è basata “allo stato delle conoscenze scientifiche del momento” e “per sua natura transitoria” “alla luce delle condizioni epidemiologiche e delle conoscenze scientifiche in atto… impone che, mutate le condizioni, la scelta possa (e debba) essere rivalutata”. 

La CMSi lamenta semmai che il requisito a) di legittimità costituzionale, “che il trattamento [disposto per legge per la prevenzione dell’infezione da SARS-SoV-2] sia diretto… anche a preservare lo stato di salute degli altri”, fosse già chiaramente in dubbio dalla pubblicazione ISS sul BMJ, febbraio 2021 (accettata il 19 gennaio). Lo studio mostrava che in Italia, con la variante Delta, a 8-9 mesi dalla 2a dose l’insieme dei soggetti dai 60 anni in su si infettava più dei non vaccinati di pari età, e i soggetti ad alto rischio andavano ancor peggio. Un analogo studio sulla popolazione svedese (Lancet, febbraio 2021) mostrava lo stesso fenomeno a 9 mesi dalla 2a dose. Da allora si sono moltiplicate le prove di inversione nei mesi (accelerata con Omicron) della protezione dall’infezione, fino agli studi in Qatar che mostrano effetti sull’infezione significativamente negativi già 7 mesi dopo il booster, e in Francia, dove l’effetto diventa negativo dopo 4 mesi dalla 4a dose. La CMSi rinnova la richiesta di un confronto scientifico-istituzionale, che potrebbe arricchire il dibattito scientifico e le basi su cui assumere decisioni sanitarie che riguardano tutti. 

Il PNPV 2023-2025 

In data 24 gennaio 2023 il Dipartimento per gli Affari Regionali e le Autonomie ha inviato al Ministero della Salute e dell’Economia e a vari Assessorati copia dell’intesa tra Governo, Regioni e Province autonome del Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale (PNPV) 2023-2025 e relativo Calendario Nazionale Vaccinale. Si evidenziano alcune criticità. 

Il documento introduttivo riporta dichiarazioni di intenti condivisibili in generale, ma senza concreta utilità nel dare supporto scientifico a decisioni su quali vaccini raccomandare (o obbligare), a chi e quando. Mancano del tutto l’analisi dei risultati finora conseguiti in termini di efficacia e sicurezza, e dati analitici sull’efficacia delle misure proposte. Si dovrebbe accettare che i vaccini (18, oltre a quelli antiCOVID) sono utili “a prescindere” dai dati epidemiologici per ciascun vaccino, che non sono forniti. 

Anche in base al dettato della legge 119/2017 (L. “Lorenzin”), ciò non ha consistenza scientifica. Lascia perplessi anche la citazione dell’articolo 32 della Costituzione solo nella 1a parte, sorvolando il grave problema, che sta a cuore alle famiglie italiane, dell’obbligo di inoculazione, pure trattato nella 2a e 3a frase dello stesso articolo della Costituzione, che la Consulta ha appena ribadito nella Sentenza 14/2023: “un trattamento sanitario obbligatorio ex lege è ammissibile alle seguenti condizioni: a) se è diretto non solo a migliorare o preservare la salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri (…)”. 

Note critiche 1) Si considera la “pratica vaccinale” utile alla comunità tramite un’alta copertura (≥95% per quasi tutti i vaccini pediatrici, gli altri comunque ≥90%; per anziani ≥75% per Pneumococco e Influenza, in questo caso dai 60 anni; ≥50% per Herpes Zoster). Ciò assicurerebbe la “protezione comunitaria”, già detta “immunità di gruppo” o “di gregge”, senza precisare di quali vaccini si stia parlando e in base a quali dati epidemiologici. Il documento non dice che alcuni vaccini possono dare protezione individuale (anche se il rapporto rischi/benefici attesi andrebbe valutato, appunto, in modo individuale), ma non “protezione comunitaria”: ciò vale con i vaccini per tetano, difterite, polio IPV, epatite B, pertosse, haemophilus influenzae tipo B, meningite B, influenza e in parte anche per l’antiparotite, che decade rapidamente. 

Tali vaccini non rispondono neppure all’ambizioso obiettivo dichiarato di aver “eradicato” le malattie, perché non danno effetto gregge, e perché la scomparsa della difterite e quella quasi totale ad es. del tetano sono dovute ad altri fattori, in primis il cambiamento di condizioni di vita e misure igieniche. La polio è stata prevenuta con efficacia dal vaccino Sabin OPV, non dall’IPV attuale, che ha efficacia dubbia sull’infezione: nei Paesi occidentali non è stata mai dimostrata, proprio per la scomparsa della polio già negli anni ’60 del secolo XX. 

Il PNPV è stato predisposto dai dirigenti in servizio, che non hanno rilevato o segnalato che l’obbligo vaccinale per prevenire l’infezione da SARS-CoV-2 e le sanzioni connesse erano diventati anacronistici in Italia da ottobre per il personale sino a 39 anni, e persino da maggio per i 40-59enni. E che non ha alzato la voce all’annuncio dell’ISS di interrompere dal 25-1-2023 la pubblicazione settimanale (che si chiede comunque di ripristinare) delle Tab. 5 e 6 dei Bollettini da cui la CMSi ha costruito i grafici dei suoi Comunicati 4 e 5, inviati a tutti i Parlamentari e qui riacclusi. 

Prima di impegnarsi per tre anni con un piano vaccinale presentato il 30 dicembre 2022 da dirigenti di cui sopra, riteniamo che vadano valutati in modo adeguato costi e benefici di ciascun vaccino e strategia vaccinale, cosa che il documento citato non fa. Addirittura propone nuove procedure di vaccinazione con iniezione di molti vaccini (con più iniezioni) nella stessa seduta, di cui dovrebbero essere disponibili ampie prove di efficacia e sicurezza. 

2) La legge 119/2017 (Disposizioni urgenti in materia di prevenzione vaccinale) all’articolo 1-ter prescrive: “Sulla base della verifica dei dati epidemiologici, delle eventuali reazioni avverse segnalate … e delle coperture vaccinali raggiunte, nonché degli eventuali eventi avversi segnalati …, effettuata dalla Commissione per il monitoraggio dell’attuazione del DPCM di definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, istituita con DM 19 gennaio 2017, il Ministro della salute, con decreto da adottare decorsi tre anni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto e successivamente con cadenza triennale, sentiti il CSS, l’AIFA, l’ISS e la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, regioni… e previo parere delle competenti Commissioni parlamentari, può disporre la cessazione dell’obbligatorietà per una o più delle vaccinazioni di cui al comma 1-bis. In caso di mancata presentazione alle Camere degli schemi di decreto, il Ministro della salute trasmette alle Camere una relazione recante le motivazioni della mancata presentazione nonché i dati epidemiologici e quelli sulle coperture vaccinali.” Anche la Corte Costituzionale, Sentenza n. 5/2018, in tema di Sanità pubblica, DL 73/2017, ricorda che “la legge di conversione ha introdotto (all’art. 1, comma 1-ter, del d.l. n. 73/2017) il potere del Ministro della salute di disporre la cessazione dell’obbligatorietà per alcune delle vaccinazioni contemplate, in base alla verifica dei dati epidemiologici, delle eventuali reazioni avverse e delle coperture raggiunte.” E inoltre che “Peraltro, non si può fare a meno di rilevare che tale strumento di flessibilizzazione si applica solo a quattro dei dieci vaccini imposti obbligatoriamente dalla legge. Analoghe variazioni nelle condizioni epidemiologiche, nei dati relativi alle reazioni avverse e alle coperture vaccinali potrebbero suggerire al legislatore di prevedere un analogo meccanismo di allentamento del grado di coazione esercitabile anche in riferimento alle sei vaccinazioni indicate al comma 1, dell’art. 1 (anti-poliomielitica, anti-difterica, anti-tetanica, anti-epatite B, antipertosse, anti Haemophilus influenzae tipo b). 

La revisione prescritta per legge non è stata fatta, a distanza di oltre 5 anni e mezzo dal varo della legge. In assenza di tale adempimento, come si può rilanciare l’inoculazione ripetuta di 18 vaccini tra quelli obbligatori o raccomandati, anche in molteplici dosi, dai bambini agli anziani? L’obbligo vaccinale introdotto da quella legge (a seguito di un minimo aumento di casi di morbillo, oltretutto interessante in prevalenza adulti) non pare coerente con 

il ragionamento clinico e il rapporto medico-paziente, e andrebbe rivalutato con un dibattito scientifico senza censure, e senza la pressione di un’urgenza che non c’è. 

Nel documento dello Stato-Regioni si leggono alcune affermazioni generiche sull’aumento di qualche punto delle coperture a seguito della pubblicazione della legge “Lorenzin”, ma non c’è un’analisi dell’andamento epidemiologico delle malattie considerate. Si parla di un aumento di coperture (in Veneto già altissime senza obblighi da 10 anni), ma non si dà valore alla reale efficacia “sul campo” delle misure adottate. Vi è solo un cenno al calo delle coperture nel corso della pandemia, ma senza documentare se e quali conseguenze epidemiologiche abbia avuto. 

3) In tema di farmacovigilanza, si legge che “Per la sorveglianza post-marketing dei farmaci e dei vaccini, l’Italia è dotata di un sistema di raccolta delle segnalazioni degli eventi avversi, la Rete Nazionale di Farmacovigilanza (RNF), che fa capo ad AIFA ed è costituita da una rete di Centri Regionali e Responsabili Locali di Farmacovigilanza per la registrazione degli stessi”. Questa e altre affermazioni generiche non si accompagnano a dati credibili sulle reazioni avverse registrate da tale Rete. Anche la lettura dei Rapporti AIFA conferma che la Farmacovigilanza in Italia è essenzialmente passiva. Un esempio clamoroso della differenza tra farmacovigilanza attiva e passiva in Italia, nel campo delle vaccinazioni Morbillo-Parotite-Rosolia-Varicella (MPRV) è stato pubblicato su una rivista indicizzata e con peer-review. L’Osservatorio Epidemiologico della Regione Puglia aveva attuato una sorveglianza attiva degli effetti avversi (AEFI) del vaccino MPRV, rilevando 462 effetti avversi ogni 1000 dosi, l’11% dei quali valutato grave. Applicando l’algoritmo OMS di valutazione della causalità, 38 AEFI gravi/1000 bambini sono stati classificati come “associazioni causali coerenti” con l’immunizzazione MMRV. Iperpiressia grave, sintomi neurologici e malattie gastrointestinali si sono verificati rispettivamente in 38, 20 e 15 casi/1000 arruolati. Una proiezione di tali AEFI in una coorte di nascita italiana darebbe decine di migliaia di AEFI gravi. Questi dati sono molto superiori all’incidenza di AEFI gravi segnalata dall’AIFA per gli anni 2017 e 2018, basata essenzialmente sulla farmacovigilanza passiva. In un precedente studio epidemiologico in Puglia con sorveglianza passiva di 8 anni il tasso di segnalazione di AEFI gravi era centinaia di volte inferiore al dato con la vigilanza attiva; per paradosso la differenza per le AEFI severe era ancor maggiore, arrivando quasi a 1000 volte. Benché si stenti a crederlo, ciò si conferma anche negli attuali Rapporti AIFA sulla Sorveglianza dei vaccini anti-Covid-19, che riportano sospette reazioni avverse molte centinaia di volte inferiori alla sorveglianza attiva dei CDC (v-safe) e dei trial registrativi dei vaccini Pfizer e Moderna, di nuovo con differenze vicine alle 1000 volte per le reazioni severe. 

Per le miocarditi il 13° Rapporto AIFA riporta un’incidenza di 2 per milione, mentre i due esempi al mondo di sorveglianza attiva (con PCR, troponina ed ECG effettuati prima e dopo la 2a dose in Tailandia in adolescenti e la troponina dopo 3 a dose in Svizzera in 770 operatori sanitari) hanno documentato mio-/pericarditi subcliniche, tutte con apparente risoluzione, rispettivamente nel 2,33% e nel 2,8% dei vaccinati. 

È la riprova che la farmacovigilanza passiva è del tutto inadeguata a documentare la reale incidenza di AEFI, anche gravi. In assenza di programmi di sorveglianza attiva su campioni rappresentativi di popolazione, manca una seria analisi della sicurezza dei programmi di immunizzazione di massa. 

14-2-2023 

Per la CMSi 

Dott. Alberto Donzelli, Prof. Marco Cosentino, Prof. Vanni Frajese, Dott.sa Patrizia Gentilini, 

Prof. Eduardo Missoni, Dott. Panagis Polykretis, Dott. Sandro Sanvenero, Dott. Eugenio Serravalle. 

E Prof. Paolo Bellavite 

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore.

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