Processi penali: così è stato messo il bavaglio ai giornalisti dalla legge Cartabria. La protesta

La presunzione di non colpevolezza introdotta dal decreto legislativo 188 del 2021 dell’ex ministra Marta Cartabia mette di fatto un bavaglio ai giornalisti, per questo motivo i giornalisti hanno organizzato più di una protesta in Italia, a un anno dall’introduzione del decreto legislativo.

“Vietato parlare con i giornalisti” è lo slogan della protesta dell’8 novembre a Roma davanti al tribunale di piazzale Clodio, promossa da Rete No Bavaglio – Liberi di essere informati e da altre associazioni. Una manifestazione spontanea si è radunata davanti alla procura anche a Terni. Il problema dai cronisti di nera o di giudiziaria è molto sentito.

Il rischio è con questa legge i giornalisti scrivano meno sui reati commessi in Italia e il Paese passi per un luogo più sicuro di quanto lo sia realmente. I professionisti dell’informazione non potendo parlare di alcune notizie, inoltre,  hanno, giustamente, paura di perdere credibilità tra i propri lettori.

“Vietato parlare con i giornalisti – hanno sottolineato i promotori  della manifestazione romana -. Più che concentrarsi sulla prevenzione e repressione dei reati, a Roma, ormai procura e questura sembrano, piuttosto, impegnate a imbavagliare la stampa”.

La legge Cartabria tutela gli imputati, vuole una informazione non lesiva dei diritti di indagati e imputati, ma così di fatto si mette una censura sui processi in corso e si lede il diritto di cronaca. I vari funzionari delle procure si trincerano spesso dietro a un “no comment” per paura di essere redarguiti dai propri superiori.

Le procure sono diventate un muro di gomma e in alcuni casi, denunciano a Terni, risulta difficile anche l’accesso al tribunale.

E’ “assurdo che a decidere cosa sia di interesse pubblico, se e cosa debba essere detto o non detto ai giornalisti sia esclusivamente una persona, un procuratore. Se non altro per la mole di procedimenti e fatti di cronaca che avvengono a ogni ora del giorno e della notte: sarebbe umanamente impossibile. Da anni ai giornalisti di Roma, poi, è stato sbarrato addirittura l’ingresso nel palazzo di via di San Vitale, sede della Questura. È stata chiusa e mai più riaperta la storica sala stampa. Sembrava di avere toccato il punto più basso nei rapporti, invece, no”.

La richiesta al nuovo governo è quella “di rivedere il meccanismo che ha portato a questo deterioramento dei rapporti che rischia di privare tutti i cittadini (non solo a Roma, ma in tutta Italia) della conoscenza effettiva di ciò che succede nelle loro città. Chiediamo il ripristino immediato di un adeguato scambio di informazioni che risponda almeno al buon senso piuttosto che alla declinazione fallata e fuorviante di una norma europea il cui spirito (che condividiamo) è stato ampiamente travisato nell’adozione legislativa italiana

“Una condizione inaccettabile: chi opera in difesa dello Stato e dei cittadini deve anche essere in grado di potere interloquire con i professionisti dell’informazione i quali, ricordiamo, hanno dei doveri già sanciti dai codici deontologici”.

“È fondamentale permettere la verifica di fatti e notizie nell’immediatezza, oltretutto in un momento così delicato per la vita del Paese, colpito da una crisi economica gravissima che rischia di generare grandi tensioni sociali”

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