Dopo aver sospeso gli account dei social media a livello globale su diverse piattaforme per sostenere l’ivermectina, il NIH ha ora aggiunto l’ivermectina come trattamento per COVID.
L’indicazione non arriva da uno scienziato dichiarato pazzo, o da un singolo premio Nobel, anche lui da non considerare perché ormai anziano, ma dagli NIH, la prima agenzia del governo degli Stati Uniti per quanto riguarda la ricerca biomedica. Gli NIH sono infatti responsabili di circa il 28% – circa 26.4 miliardi di dollari – dei fondi totali utilizzati annualmente negli Stati Uniti per la ricerca biomedica (la parte restante proviene quasi interamente dai privati).
Ci hanno detto che non potevamo usare l’ivermectina perché era un farmaco veterinario. Non andava bene per l’uomo. La frase che di hanno ripetuta più spesso era: “Tu non sei un cavallo. Tu non sei una mucca”, “è un vermifugo per cavalli”, così hanno tolto questo farmaco poco costoso dai trattamenti per il Covid.
L’EMA a marzo 2022 raccomandava di non utilizzare ivermectina per la prevenzione o il trattamento di COVID-19 al di fuori degli studi clinici. Alcuni medici prima che la vietassero ci avevano spiegato che il problema era principalmente economico. “Costa poco e con due euro si cura un paziente”.
Adesso i potenti National Institutes of Health (Istituti Nazionali di Sanità, abbreviati in NIH), un’agenzia del Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani degli Stati Uniti, la approvano. Dopo che i big pharma hanno fatto affari d’oro con i vaccini.
L’ivermectina è il principio attivo in medicine già approvate per l’uomo e gli animali contro le infezioni da parassiti. I farmaci in questione sono usati, per esempio, per combattere la filaria. Si applicano sulla pelle per curare malattie come la scabbia e la rosacea, un’infiammazione della pelle del viso.
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