Peste suina in un allevamento del Lazio

La peste suina è stata trovata in un allevamento del Lazio. la notizia è stata data dall’Istituto Zooprofilattico di due casi di Peste Suina Africana in un piccolo allevamento nella zona rossa, istituita di recente nel Lazio. Un episodio grave che mette a rischio la filiera suinicola regionale e nazionale.

La Peste suina africana (PSA) è una malattia virale causata da un virus della famiglia Asfaviridae. Colpisce suini e cinghiali, risultando altamente contagiosa e spesso letale; non si trasmette agli esseri umani. L’infezione può avvenire per contatto diretto con animali infetti, attraverso la puntura di vettori (zecche), per ingestione di carni o prodotti a base di carne di animali infetti (per es. scarti di cucina). Come nella peste suina classica, il virus è estremamente resistente rimanendo attivo nelle carcasse per lunghi periodi. La circolazione di animali infetti, i prodotti a base di carne di maiale contaminata e lo smaltimento illegale di carcasse sono le modalità più importanti per la diffusione della malattia. Anche gli automezzi o altre attrezzature, abbigliamento contaminati possono rappresentare un veicolo d’infezione. I sintomi della peste suina africana sono sovrapponibili a quelli della peste suina classica e comprendono febbre, perdita di appetito, debolezza, aborti spontanei, emorragie interne.
Gli animali che superano la malattia possono restare portatori del virus per circa un anno, rappresentando un ruolo fondamentale per la persistenza del virus nelle aree endemiche e per la sua diffusione.

Confagricoltura, esprimendo forte vicinanza agli imprenditori colpiti, afferma che questo episodio è il frutto della disattenzione con la quale l’emergenza PSA è stata affrontata fino ad oggi. L’ingresso del virus nell’allevamento vicino a Roma poteva essere evitato con misure adeguate, incisive e tempestive.

Adesso, sottolinea Confagricoltura, è arrivato davvero il momento per un cambio di passo per prevenire i danni economici che la sola notizia della diffusione del virus tra gli allevamenti è capace di produrre.

È fondamentale, innanzitutto, il rilancio immediato di un deciso piano di contenimento delle comunità di cinghiali allo stato brado, primo veicolo della malattia. Parallelamente, afferma Confagricoltura, è altrettanto urgente riconoscere indennizzi adeguati agli allevatori colpiti, da versare rapidamente e in maniera equa. Inoltre, è necessario dare seguito agli incentivi destinati agli investimenti in materia di biosicurezza.

Dal ritrovamento del primo cinghiale colpito dalla PSA, lo scorso gennaio, l’export del settore suinicolo italiano sta subendo danni economici quantificabili in 20 milioni di euro al mese. Il comparto nazionale conta quasi 9 milioni di capi, allevati in oltre 30mila allevamenti.

Con un export di 1,5 miliardi di euro nel 2021, il volume di affari totale (produzione degli allevamenti e fatturato dell’industria di trasformazione) sfiora gli 11 miliardi. Complessivamente, l’intera filiera genera un fatturato che è pari al 5% del totale della produzione agricola nazionale e sul fatturato dell’intera industria agroalimentare italiana.

Al momento non esiste un vaccino per la Peste suina africana. Nei Paesi indenni la prevenzione dall’infezione si effettua attraverso il controllo dei prodotti importati e la sorveglianza sulle attività di smaltimento dei rifiuti di origine alimentare, inoltre, qualunque episodio di mortalità nel cinghiale rappresenta un caso sospetto e va segnalato. L’OMS ha inserito la PSA nella lista delle malattie denunciabili: qualunque caso sospetto deve essere denunciato all’autorità competente. In caso di allevamenti infetti si attueranno cosi’ tutte le misure previste dal Regolamento di polizia veterinaria.

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