Obbligo vaccinale: sollevata dal tribunale di Catania questione di legittimità di costituzionale

Iniziano i primi rinvii alla corte costituzionale per l’obbligo vaccinale imposto dal Governo con Dpcm. Il tribunale di Catania ha sollevato la legittimità costituzionale per violazione degli artt. 2, 3, 32 sulla mancata erogazione dell’assegno alimentare al personale della sanità sospeso. Anief si costituirà in giudizio per il personale scolastico.

Ricostruzione dei fatti nella sentenza

Le parti ricorrenti in epigrafe indicate sono tutte dipendenti a tempo indeterminato dell’azienda ospedaliera pubblica
di Catania, con profilo professionale di collaboratore sanitario – infermiere.

A seguito della loro sospensione dal servizio, per mancato adempimento dell’obbligo vaccinale ex art. 4 D.L. 1 aprile 2021, n. 44, conv. in l. 28 maggio 2021 n. 76, con separati ricorsi (successivamente riuniti), hanno agito in via d’urgenza per il riconoscimento dell’assegno alimentare, come previsto dall’art. 82 del D.P.R. n. 3/1957 e dal CCNL di comparto, allegando di versare in stato di indigenza, non potendo far fronte ai bisogni primari della vita, non avendo altri mezzi di sostentamento (anche per l’impossibilità di esercitare la professione altrove, in quanto sospese dai rispettivi ordini professionali), essendo peraltro gravate da debiti per mutui ipotecari o altre forme di finanziamento (così, .Evidenziano che i provvedimenti di sospensione, adottati tra l’ottobre ed il novembre del 2021 ed originariamente valevoli fino al 31 dicembre 2021, sono stati prorogati fino al 15 giugno del 2022 e che l’azienda ospedaliera ha cessato di corrispondere ogni emolumento, nonostante le fosse stato richiestol’assegno alimentare con nota Pec inviata nel mese di dicembre del 2021.

Sostengono che la mancata previsione di un assegno alimentare per i lavoratori sospesi ai sensi dell’art. 4 D.L. 44/2021 risulti “discriminatoria”, posto che, diversamente, per i dipendenti sottoposti a procedimento disciplinare o penale, e destinatari del procedimento di sospensione cautelare, sia l’art. 82 D.P.R. 3/1957, sia l’art. 68 del CCNL del comparto Sanità pubblica, prevedono il riconoscimento di un assegno in misura non superiore alla metà dello stipendio, oltre gli assegni per i carichi di famiglia.

Secondo i ricorrenti, pertanto, sussisterebbe anche una evidente disparità di trattamento tra i dipendenti sottoposti a sospensione cautelare ed i dipendenti sospesi per mancato assolvimento dell’obbligo vaccinale, in specie ove si consideri che, per questi ultimi, il legislatore si è premurato di specificare che tale inadempimento non assume rilevanza disciplinare.

Sicché condotte disciplinarmente rilevanti, ove determinanti sospensione (cautelare o disciplinare), darebbero luogo al riconoscimento dell’assegno alimentare, mentre, al contrario, condotte lecite sotto il profilo disciplinare non sarebbero assistite da analoga tutela.

Ciò provocherebbe, secondo le parti ricorrenti, la violazione dell’art. 2 Cost., nonché dell’art. 36 Cost., poiché l’istituto dell’assegno alimentare, avente natura assistenziale e non retributiva, sarebbe stato previsto proprio per garantire al lavoratore sospeso un livello minimo di sostentamento.

Si è costituita l’azienda ospedaliera, la quale, alla luce della normativa in discussione, ha chiesto il rigetto dei ricorsi.

All’udienza del 23 febbraio 2022, i procedimenti sono stati trattati secondo le modalità cartolari previste dall’art. 221, co. 4, l. 77/2020, previo deposito di note scritte da parte dei procuratori delle parti, ed assunti in riserva.
A scioglimento della riserva assunta, disposta la loro riunione, si ritiene che le domande non possano essere decise senza lo scrutinio di costituzionalità dell’art. 4, comma 5, D.L. 1 aprile 2021, n. 44, convertito con modificazioni dalla Legge 28 maggio 2021, n. 76 e ss. modif., nella parte in cui, nel prevedere che “per il periodo di sospensione non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominato”, esclude, in favore del pubblico dipendente esercente una professione sanitaria o di interesse sanitario, nel periodo di sospensione, l’erogazione dell’assegno alimentare (comunque denominato) previsto dalla legge ovvero dalla contrattazione collettiva di categoria in caso di sospensione cautelare o disciplinare.

I dubbi costituzionali

Possibile violazione degli artt. 2, 3, 32. co. 2, Cost.
Un primo dubbio che riguarda la disposizione impugnata è quello relativo alla compatibilità della stessa con i principi desumibili dagli 2, 3, 32 co .2, Cost., tenuto conto della natura pacificamente assistenziale che riveste, nel nostro ordinamento, l’assegno alimentare (cfr. C. Stato sez. III – 15/06/2015, n. 2939; T.A.R. Lombardia sez. I – Milano, 16/05/2002, n. 2070), generalmente riconosciuto in caso di sospensione dal rapporto di lavoro per motivi disciplinari o cautelari.

Sul punto, giova osservare che l’art. 2 Cost., nel prevedere una particolare tutela dell’individuo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità (tra cui rientrano i luoghi di lavoro), non sembra permettere l’adozione di misure che, per l’intransigenza che le connoti, possano arrivare fino al punto di ledere la dignità della persona, circostanza che può verificarsi quando a questa si precluda ogni forma di sostentamento per far fronte ai bisogni primari della vita.
Ciò è stato affermato, anche di recente, dalla giurisprudenza costituzionale, financo nei riguardi di coloro che hanno gravemente “violato il patto di solidarietà sociale che è alla base della convivenza civile”, cioè i condannati per i reati di cui agli articoli 270-bis, 280, 289-bis, 416-bis, 416-ter e 422 del codice penale, nonché per i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416-bis codice penale ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo (Corte costituzionale, 20 luglio 2021, n. 137).

In tale occasione, la Corte ha ricordato che la possibilità di modulare la disciplina delle misure assistenziali “non può pregiudicare quelle prestazioni che si configurano come misure di sostegno indispensabili per una vita dignitosa, così come anche per le provvidenze destinate al soddisfacimento di bisogni primari e volte alla garanzia per la stessa sopravvivenza, la cui attribuzione comporta il coinvolgimento di una serie di principi, tutti di rilievo costituzionale (tra cui l’art. 2 Cost.)”, ed ha quindi dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, co. 61, l. 92/2012, nella parte in cui prevede la revoca delle prestazioni, comunque denominate in base alla legislazione vigente, quali l’indennità di disoccupazione, l’assegno sociale, la pensione sociale e la pensione per gli invalidi civili, nei confronti di coloro che, condannati per i reati sopra elencati, scontino la pena in regime alternativo alla detenzione in carcere.

Sebbene quella esaminata dalla Corte riguardi fattispecie diversa da quella oggi in scrutinio, i principi dalla stessa evidenziati sembrano (a fortiori) applicabili anche al caso di specie, laddove il mancato assolvimento dell’obbligo vaccinale non è considerato dallo stesso legislatore come atto penalmente o disciplinarmente rilevante (art. 4, co. 4, D.L. 44/2021) e, cionondimeno, l’operatore sanitario si vede, non solo impossibilitato a svolgere la propria prestazione lavorativa a seguito della sospensione prevista dall’art. 4 D.L. 44/2021, ma anche deprivato persino di quegli istituti, come l’assegno alimentare, che – come si vedrà più ampiamente infra, § 4.2. – gli verrebbero invece garantiti laddove fosse sospeso poiché coinvolto in un procedimento penale e disciplinare, con misure anche restrittive della libertà personale, e dunque per procedimenti riguardanti il suo coinvolgimento in reati anche di oggettiva gravità.

Giova, peraltro, considerare che il lavoratore, sospeso ex art. 4 D.L. 44/2021, non può accedere a quegli istituti che tutelano i lavoratori in caso di perdita dell’occupazione, quale, ad es., l’indennità di disoccupazione, perché non acquisisce lo status di lavoratore disoccupato (conservando il posto di lavoro, ancorché svuotato dal provvedimento di sospensione), essendo tale provvidenza in ogni modo preclusa ai lavoratori pubblici a tempo indeterminato, né può fruire – in quanto in età lavorativa – di quelle provvidenze che presuppongono una determinata anzianità anagrafica (ad es., l’assegno sociale).
La sospensione dal lavoro e dall’albo professionale e[ art. 4, co.4, D.L. 44/2021, inoltre, gli impediscono di svolgere presso qualsiasi sede, e non solo dove è radicato il proprio rapporto di lavoro colpito dal provvedimento di sospensione, la propria professione.
L’esercente la professione sanitaria, quindi, perde ogni possibilità di far fronte alle esigenze basilari della sua vita, non potendo fare affidamento su alcuna forma di sostegno economico.
Il tutto per un periodo temporale particolarmente rilevante, inizialmente fissato fino al 15 dicembre del 2021 e poi differito, ad oggi, fino al 15 giugno 2022.

Or, sebbene non si ignori che l’impianto del D.L. 44/2021 sia ispirato alla finalità di “di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza” (art. 4, co. 1, D.L. 44/2021), nell’ambito di una situazione emergenziale e del tutto straordinaria, le conseguenze che esso implica nella sfera del dipendente non vaccinato – e che si sono irrigidite a seguito delle modifiche apportate all’originaria formulazione del decreto1 – appaiono tuttavia eccessivamente sproporzionate e sbilanciate, nell’ottica della necessaria considerazione degli altri valori costituzionali coinvolti, tra cui, tra i primi, la dignità della persona, bene protetto da plurime previsioni della Carta: artt. 2, 3, 32, co. 2, 36, 41 Cost..

Non appare pleonastico ricordare che il diritto al lavoro costituisca una delle principali prerogative dell’individuo, su cui si radica l’ordinamento italiano, che trova protezione nell’ambito dei “principi fondamentali” della Carta costituzionale (artt. 1, 4) e che viene tutelato, non solo in quanto strumento attraverso cui ciascuno può sviluppare la propria personalità (art. 2), potendo così concorrere al progresso materiale e spirituale della società (art. 4), ma innanzitutto perché costituisce il mezzo per assicurare alla persona e al rispettivo nucleo familiare, attraverso la giusta retribuzione, il diritto fondamentale di vivere un’esistenza libera e dignitosa (art. 36 Cost.).

Nel momento in cui la legge, nel precludere all’operatore sanitario non vaccinato la possibilità di espletare la prestazione lavorativa (anziché applicare altre soluzioni, ad es.: la sottoposizione dell’operatore ad un rigido sistema di controllo tramite test di rilevazione del virus; l’assegnazione a mansioni diverse, ove possibili, etc.), non consente neppure che lo stesso possa fruire di un sostentamento minimo per far fronte alle proprie esigenze basilari, essa, così facendo, non può che esporsi al dubbio di rivelarsi eccessivamente sbilanciata e sproporzionata, ad eccessivo detrimento del valore della dignità della persona, con possibile violazione, oltre che dell’art. 2, anche dell’art. 3 Cost.

A ciò pare possibile soggiungere che, così operando, la legge stessa, pur con i migliori intenti, finisce di fatto per realizzare una sorta di “forzata induzione” all’adempimento dell’obbligo, ponendo la parte lavoratrice di fronte alla radicale prospettiva di dover scegliere se subire quelle condizioni di indigenza o di smodata compressione delle abitudini di vita consolidate, che le deriverebbero dalla mancata vaccinazione, ovvero sottoporsi al detto trattamento.

Ciò suscita ulteriori dubbi di costituzionalità rispetto all’art. 32, co. 2, Cost., nella misura in cui esso dispone che, anche nei casi di trattamento obbligatori disposti per legge, quest’ultima “non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
Le stesse norme interposte, tra cui la l. 23/12/1978 – N. 833, istitutiva del servizio sanitario nazionale, nel ribadire che gli accertamenti e trattamenti sanitari “sono di norma volontari” (art. 33 co. 1), specifica che nei casi in cui la legge prevede che possano essere disposti dall’autorità sanitaria “questi devono avvenire nel rispetto della dignità della persona e dei diritti civili e politici…” (art. 33 co. 2 l. 833 cit.).

Sebbene la legge possa prevedere l’obbligatorietà di determinati trattamenti sanitari, sono rarissimi, ed ancorati a precisi presupposti, i casi in cui l’ordinamento consente la possibilità di eseguirli contro la volontà della persona (ad es., è il caso del T.S.O.), valendo da sempre il principio che gli accertamenti ed i trattamenti obbligatori debbano essere “accompagnati da iniziative rivolte ad assicurare il consenso e la partecipazione da parte di chi vi è obbligato” e che “L’unità sanitaria locale opera per ridurre il ricorso ai suddetti trattamenti sanitari obbligatori, sviluppando le iniziative di prevenzione e di educazione sanitaria ed i rapporti organici tra servizi e comunità” (art. 33, co. 5, l. 833/1978).

E ciò a conferma della consapevolezza del legislatore che l’obbligo al trattamento sanitario costituisce pur sempre un’eccezione rispetto al principio, di cui è espressione l’art. 32 Cost., della libera determinazione dell’individuo in materia sanitaria (Cassazione civile sez. III, 05/07/2017, n.16503) e che qualsiasi pratica sanitaria o farmacologica, sia pur correttamente praticata, non può essere del tutto esente da rischi di effetti avversi, anche gravi, per quanto rari questi possano essere.
Ciò trova riscontro anche nell’art. 3 del D.L. 44/2021, relativo alla “Responsabilità penale da somministrazione del vaccino anti SARS-CoV-2”, il quale prevede che “Per i fatti di cui agli articoli 589 e 590 del codice penale verificatisi a causa della somministrazione di un vaccino per la prevenzione delle infezioni da SARS-CoV -2, effettuata nel corso della campagna vaccinale straordinaria in attuazione del piano di cui all’articolo 1, comma 457, della legge 30 dicembre 2020, n. 178, la punibilità è esclusa quando l’uso del vaccino è conforme alle indicazioni contenute nel provvedimento di autorizzazione all’immissione in commercio emesso dalle competenti autorità e alle circolari pubblicate nel sito internet istituzionale del Ministero della salute relative alle attività divaccinazione”.
Lo stesso rapporto annuale sulla sicurezza dei vaccini anti-covid 19 (27- 12/2000 – 26/12/2021) dell’A.I.F.A., pubblicato sul sito ufficiale dell’Agenzia (https:/ / www.aifa.gov.it/documents/ 20142/ 1315190/Rapporto_annuale_su_ sicurezza_vaccini%20anti-COVID-19.pdf), nel confermare la sicurezza dei vaccini, analizza le percentuali delle segnalazioni di sospetti effetti avversi (gravi e non gravi), anche in rapporto alle diverse fasce di età, e dei casi in cui è stato rilevato il nesso di causalità.

Suscita quindi dubbi di possibile violazione dell’art. 32, co. 2, Cost., un sistema, quale quello sancito dalla norma impugnata, che, negando in maniera radicale ogni sostegno economico all’operatore sanitario sospeso dal rapporto di lavoro per mancato adempimento dell’obbligo vaccinale ex art. 4 D.L. 44/2021 – per fatti peraltro, come detto, non censurabili a livello disciplinare e che si collocano nell’ambito di una situazione del tutto straordinaria ed emergenziale – lo ponga di fronte alla prospettiva di non poter assicurare a sé ed alla propria famiglia neppure i mezzi di sostentamento minimi ed indispensabili, così come di non poter far fronte, neppure in minima parte, ai propri impegni economici, con gravi conseguenze del vivere quotidiano (si pensi, ad es., all’impossibilità di far fronte all’eventuale mutuo ipotecario perl’acquisto della casa di abitazione, con tutto quello che ne comporta), posto che tale assetto sembra oltrepassare il limite imposto dal parametro costituzionale in esame.

Possibile ulteriore violazione dell’art. 3 Cost.

Come già anticipato, l’impossibilità del lavoratore sospeso ex art. 4 D.L. 44/2021 di accedere a forme di assistenza minime, come quella dell’assegno alimentare (comunque denominato), sembra integrare un’ulteriore violazione dell’art. 3 Cost., per violazione del principio di eguaglianza e per irragionevolezza, posto che impedisce anche l’applicazione di quelle misure di sostegno previste persino in caso di sospensione cautelare del lavoratore, laddove quest’ultimo abbia commesso (o sia sospettato di aver integrato) la commissione di determinati fatti costituenti reato, idonei a determinare anche l’irrogazione di sanzioni disciplinari.

Nel tempo, l’ordinamento ha sempre previsto tali forme di sostentamento, riconoscendo in favore del lavoratore pubblico, nel periodo di sospensione, un assegno alimentare o altri istituti sostanzialmente analoghi.

Si considerino, a titolo esemplificativo:
– l’art. 82 del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, recante il testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, secondo cui “All’impiegato sospeso è concesso un assegno alimentare in misura non superiore alla metà dello stipendio, oltre gli assegni per carichi di famiglia”;
– l’art. 500 del Decreto legislativo – 16/04/1994, n.297, recante il testo unico del personale scolastico, contenente analoga disposizione anche in materia di sospensione disciplinare;
– gli artt. 10, 21, co. 4 e 22 co. 4 del d.lgs. Decreto legislativo del 23/02/2006 – N. 109, recante la disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, i quali contengono la previsione dell’erogazione dell’assegno alimentare sia nelle ipotesi di sospensione disciplinare (art. 10 d.lgs. 109 cit.), sia nelle ipotesi di sospensione cautelare, obbligatoria o facoltativa (artt. 21, co. 4 e 22 co. 4 d.lgs. 109 cit.).
La stessa contrattazione collettiva del pubblico impiego privatizzato ex art. 2, co. 2, D.lgs. 30 marzo 2001 n. 165, competente a regolare “la tipologia delle infrazioni e delle relative sanzioni”, e[ art. 55, co.2 D.lgs. 165/2001, prevede l’assegno alimentare nei casi di sospensione cautelare del dipendente, ancheladdove quest’ultima si protragga per un notevole arco temporale, in quanto disposta in attesa degli esiti di un procedimento penale, e dunque anche per fatti ritenuti di oggettiva gravità e disvalore.
Si consideri, per quanto riguarda il comparto sanità, a cui afferisce il rapporto delle parti ricorrenti, l’art. 67 CCNL2, il quale prevede la conservazione del diritto alla retribuzione nell’ipotesi di sospensione cautelare disposta (per un massimo di giorni trenta) in corso di procedimento disciplinare.

Si valuti, ancor di più, l’art. 68, co. 7, del suddetto CCNL, il quale prevede in caso di sospensione cautelare obbligatoria o facoltativa, per la sussistenza di un procedimento penale a carico del dipendente, che ne ha comportato anche la restrizione della libertà, l’erogazione in favore dello stesso di “un’indennità pari al 50% dello stipendio tabellare, nonché gli assegni del nucleo familiare e la retribuzione individuale di anzianità, ove spettanti”.
Si consideri che tale indennità, del tutto sovrapponibile all’istituto dell’assegno alimentare previsto dall’art. 82 D.P.R. 3/1957, viene riconosciuta in tutti i casi di sospensione cautelare individuati dall’art. 68 del CCNL, e dunque laddove il dipendente sia “sia colpito da misura restrittiva della liberta‘ personale” (art. 68, co. 1) ovvero anche nel caso in cui “venga sottoposto a procedimento penale che non comporti la restrizione della liberta‘ personale o questa sia comunque cessata, qualora l’Azienda o 5nte disponga, ai sensi dell’art. 55-ter del D.Lgs. n. 165 del 2001, la sospensione del procedimento disciplinare fino a termine di quello penale”.
Trattasi di indennità che viene riconosciuta anche per periodi molto ampi di sospensione, come risulta dalla lettura dell’art. 68, co. 6, CCNL, secondo cui “Negli altri casi [diversi da quelli in cui l’ente applica la sanzione del licenziamento senza preavviso previsto dall’art. 66, co 9, n. 2 del CCNL,laddove la sospensione opera fino alla conclusione del procedimento disciplinare], la sospensione dal servizio eventualmente disposta a causa di procedimento penale conserva efficacia, se non revocata, per un periodo non superiore a cinque anni. Decorso tale termine, essa e‘ revocata ed il dipendente è riammesso in servizio, salvo i casi neiquali, in presenza di reati che comportano l’applicazione dell’art.66, comma 9, n.2 (Codice disciplinare), l’Azienda o 5nte ritenga che la permanenza in servizio del dipendente provochi un pregiudizio alla credibilità della stessa a causa del discredito che da tale permanenza potrebbe derivarle da parte dei cittadini e/o comunque, per ragioni di opportunità ed operatività dell’Azienda o Ente stesso. In tal caso, può essere disposta, per i suddetti motivi, la sospensione dal servizio, che sarà sottoposta a revisione con cadenza biennale. Ove il procedimento disciplinare sia stato eventualmente sospeso fino all’esito del procedimento penale, ai sensi dell’art.69 (Rapporto tra procedimento disciplinare e procedimento penale), tale sospensione può essere prorogata, ferma restando in ogni caso l’applicabilità dell’art.66, comma 9, n. 2(Codice disciplinare)”.

Anche nei rapporti di lavoro privati, i contratti collettivi prevedono il

diritto del lavoratore all’assegno alimentare nei periodi di sospensione cautelare (cfr. art. 42, penultimo comma, CCNL AIOP – personale non medico).

Alla luce di quanto previsto, genera dubbi di possibile violazione dell’art. 3, Cost., una previsione, quale quella impugnata, che, a fronte di una condotta (il mancato adempimento dell’obbligo vaccinale) non integrante illecito né sul versante disciplinare, né sul versante penale, e che riguarda una fattispecie introdotta in una fase del tutto emergenziale, in un contesto del tutto eccezionale, neghi agli operatori sanitari non vaccinati persino la corresponsione di quelle indennità – come l’assegno alimentare – generalmente riconosciute dall’ordinamento per far fronte ai bisogni alimentari basilari del lavoratore sospeso, anche laddove quest’ultimo sia coinvolto in procedimenti penali e disciplinari per fatti di oggettiva gravità, posto che ciò sembra generare una irragionevole disparità di trattamento, peraltro a scapito di quelle condotte che proprio per previsione legislativa sono esenti da alcun tipo di rilievo.

Ordina

visti gli artt. 134 Cost. e 23 l. 11.3.53 n.87;
visti gli artt. 2, 3, 32, c. 2, Cost.,
ritenuto, in relazione alle suddette disposizioni, non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale relativa all’art. 4, comma 5, D.L. 1 aprile 2021, n. 44 (in Gazz. Uff., 1 aprile 2021, n. 79), convertito con modificazioni dalla Legge 28 maggio 2021, n. 76, nella parte in cui, nelprevedere che “per il periodo di sospensione non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominato”, esclude, in favore del pubblico dipendente esercente una professione sanitaria o di interesse sanitario, nel periodo di sospensione ex art. 4 D.L. 44/2021, l’erogazione dell’assegnoalimentare (comunque denominato) previsto dalla legge ovvero dalla contrattazione collettiva di categoria in caso di sospensione cautelare o disciplinare;
ritenuta la questione rilevante, per le argomentazioni indicate in parte motiva; SOSPENDE il giudizio e dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
ORDINA che, a cura della Cancelleria, la presente ordinanza venga notificata alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica.
Così deciso, in Catania, 14 marzo 2022.

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