Marcia delle libertà “Non sono andato a Roma, perché non si chiede la grazia per dei diritti fondamentali”

“A Firenze al momento di proseguire la strada verso un bivio, che portava a Roma o altrove, – spiega Paolo Sceusa, professore di Diritto, ex magistrato e Presidente di sezione emerito della Suprema Corte di Cassazione – ho pensato che la quantità di persone che mi ha accompagnato, non meritava di essere portata a Roma e trasformata in un gruppo, un popolo che andava a cercare la grazia sotto il palazzo dei potenti. A questi governati, nei quali non mi riconosco come persone e come personaggi, io conosco e mi riconosco nelle istituzioni, non nelle persone che le rappresentano adesso. Ho pensato che fosse indegno e non meritato per tutte queste persone che mi hanno accompagnato per 50 giorni di cammino e che si sono avvicendate tra di loro. Sono cambiate sempre, come è giusto che sia. Le persone si sono unite nel tratto di strada probabilmente più vicino a casa loro. Non è sempre possibile abbandonare tutto. Hanno deciso di metterci i piedi, perché attraverso i piedi si passa dal cuore e si arriva a conoscere se stesso, si lotta per queste libertà, che altri buttano nel cesso, perché non sanno quanto valgono, perché non le hanno conquistate loro, con il sangue, con il fegato, con le braccia, con le mani, con i piedi. Ci sono costate anni e anni di patimenti, non solo in Italia, ma in tutto il mondo”.

Siamo partiti da Venezia il 6 gennaio scorso, con l’idea di procedere per tante città dell’Italia e poi del centro, a anche zizagando, se volete, non per cercare la via più breve per arrivare da qualche parte, tipo Roma. Io all’invio pensavo di poter e e volere arrivare alla Capitale. Strada facendo la marcia, questo traguardo Romano è andato svanendo, rispetto al significato che pervade chi cammina e che cammina assiemo ad altri”.

 

 

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