“Siamo arrivati a quella che considero una grandissima vittoria, perché ottenere il diritto all’autodeterminazione in materia sanitaria non è cosa da poco, soprattutto in questi ultimi anni. Probabilmente non siamo stati i primi, ma ha fatto molta eco il fatto che ciò sia avvenuto in un grande ospedale italiano, come il Policlinico di Milano. Questo apre uno spiraglio importante”, spiega l’avv. Manola Bozzella.
“Per quanto riguarda il sangue, in effetti non è stato nostro obiettivo occuparci esclusivamente di questa materia, ma semplicemente tutelare un ennesimo diritto inviolabile di un cittadino che si è rivolto a noi, diventando nostro associato lo scorso anno, e che ci ha chiesto espressamente aiuto e tutela per poter affrontare un intervento. Ripeto, un intervento programmato, perché finora si può sperare di avere un risultato solo con un intervento programmato, dato che diventa fondamentale tutto il percorso interlocutorio con la struttura, soprattutto quando si tratta di una persona maggiorenne. È stato un percorso di otto mesi molto travagliato, sicuramente, perché non siamo riusciti ad accedere all’autotrasfusione come immaginavamo, anche perché la normativa sul punto è abbastanza stringente. Dopo esserci trovati di fronte a una serie di diffide, abbiamo pensato alla possibilità di ricorrere a una trasfusione dedicata, che è stata eseguita direttamente per il nostro assistito sotto la nostra supervisione. Dietro c’era una regia, quella di arbitro in PSG, e il nostro assistito ha compiuto i suoi passi. Sottolineo sempre la sua grandissima determinazione, fondamentale perché ognuno di noi deve prendere in mano, con autodeterminazione, la propria vita, le proprie scelte e la propria realtà da costruire.
A livello giuridico, la possibilità di accedere a una trasfusione dedicata è stata resa possibile grazie all’assenza di un espresso divieto. Ci siamo quindi inseriti in queste “maglie larghe” per poter accedere alla trasfusione. È ovvio che dietro c’è stato un grande lavoro, anche grazie alla relazione autorevole del dottor Mantovani, ma quando si tocca il punto della responsabilità, la controparte, anche se il tutto è avvenuto in una fase stragiudiziale, ha scelto di non portare la questione in tribunale. Non siamo andati in tribunale volutamente, perché sappiamo cosa succede, e, come dicevo prima, politicamente siamo ancora lontani dalla possibilità di ottenere soddisfazione, a meno che il vento non cambi radicalmente.
Al momento, a livello giuridico, non esiste una normativa specifica, e a livello politico siamo ancora ben lontani da un’apertura. Tuttavia, ciò non significa che dobbiamo smettere di lottare, anzi, dobbiamo continuare a mantenere alta l’attenzione.
Per fortuna, non si è arrivati realmente alla trasfusione, ma questo non sminuisce il risultato. Quando in un ospedale si firma un modulo di consenso informato per l’eventualità di una trasfusione, non è detto che questa venga effettivamente eseguita. Tuttavia, l’importante è avere un’organizzazione tale per cui, se la trasfusione avviene, il sangue che verrà trasfuso è solo quello di una trasfusione dedicata.
Questo risultato è stato raggiunto ed è importantissimo.
La verità è che tutto ciò è stato il frutto di una costruzione di otto mesi, laboriosa e paziente, soprattutto da parte dell’assistito, la cui determinazione è stata fondamentale. Siamo arrivati al risultato anche perché si è andati a toccare la responsabilità dell’ospedale, che, in assenza di una norma che vietasse esplicitamente, ha scelto di non incorrere in una responsabilità eventuale. Ritengo quindi che sia stato un atto di estremo coraggio e intelligenza da parte del Policlinico consentirlo”.
Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore.
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