Elezioni: “E’ una bufala totale che se l’affluenza è bassa si fa un referendum e si esce dall’Unione Europea”, avv. Fusillo

L’avvocato Alessandro Fusillo ha recentemente rilasciato delle dichiarazioni riguardo alla presunta possibilità per l’Italia di uscire dall’Unione Europea attraverso un referendum, un’ipotesi che ha definito come una “bufala totale”.

Secondo Fusillo, molti post sui social media menzionano erroneamente l’articolo 50 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) per sostenere la fattibilità di un referendum su questo tema, ” in Italia non è perché non è previsto il referendum su questioni di diritto internazionale”, ha spiegato. L’articolo 50, celebre per essere stato utilizzato dal Regno Unito durante il processo della Brexit, prevede che ogni Stato membro possa decidere di uscire dall’Unione secondo il proprio ordinamento costituzionale.

Fusillo ha spiegato che, se l’Italia volesse uscire dall’Unione Europea, il Parlamento dovrebbe approvare una legge che ne sancisca l’uscita. Successivamente, si aprirebbe una trattativa tra il Consiglio dell’Unione Europea e lo Stato membro che intende lasciare, esattamente come è accaduto con il Regno Unito.

L’avvocato ha sottolineato che la narrazione secondo cui una bassa affluenza alle urne possa innescare un referendum per l’uscita dall’Unione Europea è completamente infondata. “Magari fosse così,” ha commentato ironicamente Fusillo, “ma non c’è assolutamente alcuna base legale per questa ipotesi.”

Le sue dichiarazioni mirano a chiarire e correggere le false informazioni che circolano online, evidenziando l’importanza di una corretta comprensione delle procedure legali e costituzionali in merito all’adesione all’Unione Europea.

L’art. 50 del trattato di Lisbona recita

1. Ogni Stato membro può decidere, conformemente alle proprie norme costituzionali, di recedere dall’Unione.
2. Lo Stato membro che decide di recedere notifica tale intenzione al Consiglio europeo. Alla luce degli orientamenti formulati dal Consiglio europeo, l’Unione negozia e conclude con tale Stato un accordo volto a definire le modalità del recesso, tenendo conto del quadro delle future relazioni con l’Unione. L’accordo è negoziato conformemente all’articolo 218, paragrafo 3 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Esso è concluso a nome dell’Unione dal Consiglio, che delibera a maggioranza qualificata previa approvazione del Parlamento europeo.
3. I trattati cessano di essere applicabili allo Stato interessato a decorrere dalla data di entrata in vigore dell’accordo di recesso o, in mancanza di tale accordo, due anni dopo la notifica di cui al paragrafo 2, salvo che il Consiglio europeo, d’intesa con lo Stato membro interessato, decida all’unanimità di prorogare tale termine.
4. Ai fini dei paragrafi 2 e 3, il membro del Consiglio europeo e del Consiglio che rappresenta lo Stato membro che recede non partecipa né alle deliberazioni né alle decisioni del Consiglio europeo e del Consiglio che lo riguardano. Per maggioranza qualificata s’intende quella definita conformemente all’articolo 238, paragrafo 3, lettera b) del trattato sul funzionamento dell’Unione europea.
5. Se lo Stato che ha receduto dall’Unione chiede di aderirvi nuovamente, tale richiesta è oggetto della procedura di cui all’articolo 49.

Le considerazioni dell’avv. Fusillo sono confermate anche nella nota 57 del Senato italiano, che riportiamo integralmente qui sotto.

DOPO LA BREXIT:L’ART. 50 DEL TRATTATO DI LISBONA E I NEGOZIATI PER IL RECESSO DALL’UNIONE

Premessa

La consultazione referendaria sulla permanenza o meno del Regno Unito nell’Unione europea, tenutasi il 23 giugno 2016, si è conclusa con una maggioranza del 51,9% dei votanti favorevole alla Brexit. L’affluenza alle urne ha registrato una percentuale del 72,2% degli aventi diritto.

Promosso con lo European Union Referendum Act 2015 (si vedano anche le relative Explanatory notes), il referendum aveva carattere consultivo, ma il suo esito va considerato definitivo e non controvertibile. Come evidenziato nello Executive Summary del documento prodotto dal Governo britannico in vista della consultazione, The Process for Withdrawing from the European Union, “Il Governo avrà l’obbligo democratico di dare pieno effetto alla decisione dell’elettorato. Il Primo Ministro ha chiarito, di fronte alla Camera dei Comuni, che ‘se il popolo britannico voterà per lasciare l’Unione, vi sarà un unico seguito possibile: attivare l’articolo 50 del Trattato di Lisbona e dare il via al processo di uscita“.

Va segnalato che, non appena gli esiti del voto sono stati resi ufficiali, il premier Cameron ha annunciato le proprie dimissioni nel corso di una conferenza stampa, dichiarando che entro il mese di ottobre dovrà essere scelto un nuovo Primo Ministro, al quale spetterà il compito di condurre il negoziato sul Brexit.

Immediata è stata anche la reazione delle istituzioni dell’Unione. I Presidenti di Commissione, Parlamento europeo e Consiglio europeo, Juncker, Schulz e Tusk, hanno rilasciato una dichiarazione congiunta, nella quale, accolta con dispiacere ma anche con il massimo rispetto la volontà espressa dal popolo britannico “attraverso un processo libero e democratico”, invitano il Governo del Regno Unito “a dare effetto alla decisione del popolo britannico appena possibile, per quanto doloroso possa risultare il relativo procedimento. Ogni ritardo non farebbe che prolungare inutilmente uno stato di incertezza“. Si dicono altresì pronti a “lanciare rapidamente i negoziati con il Regno Unito sui termini e le condizioni del suo ritiro dall’Unione europea”, durante i quali il Regno Unito “rimarrà un membro dell’Unione, con tutti i diritti e gli obblighi che ne derivano”. Ricordano come la “Nuova intesa per il Regno Unito nell’Unione europea”, concordata al termine del Consiglio europeo del 18 e 19 febbraio 2016, “non avrà effetto e cessa immediatamente di esistere” (Sul Consiglio europeo di febbraio 2016 e sulla Nuova intesa per il Regno Unito nell’Unione europea, si vedano le Note su atti dell’Unione europea n. 39 e n. 43, del Servizio Studi del Senato), senza che sia prevista alcuna eventuale rinegoziazione. In conclusione, i tre Presidenti esprimono l’auspicio che il Regno Unito rimanga un partner stretto dell’Unione europea in futuro, e invitano “il Regno Unito a formulare le proprie proposte in tal senso. Qualunque accordo che dovesse essere concluso con il Regno Unito in quanto paese terzo dovrà riflettere gli interessi di ambo le parti ed essere equilibrato in termini di diritti e di obblighi”.

L’articolo 50 del Trattato e il recesso dall’Unione

La procedura da seguire per la Brexit trova il proprio fondamento nell’articolo 50 del Trattato sull’Unione europea, che conferisce espressamente ad ogni Stato membro la possibilità, conformemente alle proprie norme costituzionali, di recedere dall’Unione (clausola di recesso, par. 1).

Lo Stato che abbia deciso in tal senso ne deve dare notifica al Consiglio europeo, che formulerà orientamenti per la conclusione di un Accordo tra l’Unione europea e lo Stato in questione volto a definire le modalità del recesso,”tenendo conto del quadro delle future relazioni con l’Unione”. Tale Accordo viene negoziato in conformità all’articolo 218 del TFUE – che disciplina tutti gli accordi tra Unione e paesi terzi o organizzazioni internazionali -, ed è concluso dal Consiglio che delibera a maggioranza qualificata, previa approvazione del Parlamento europeo (par. 2). Va rilevato, in proposito, come non sia previsto alcun termine temporale per la notifica al Consiglio europeo della decisione di recesso, che spetta allo Stato membro interessato: in tal senso dovrebbe dunque essere letto l’invito dei tre Presidenti al Governo britannico ad attivare rapidamente la procedura di cui all’art. 50.

Si ricorda altresì che la procedura prevista dall’art. 218 affida al Consiglio il compito di autorizzare l’avvio dei negoziati, di definire le direttive di negoziato, di autorizzare la firma e di concludere gli accordi, designando, in funzione della materia dell’accordo, il negoziatore o il capo della squadra di negoziato dell’Unione. Il Consiglio può altresì impartire direttive al negoziatore e designare un comitato speciale che deve essere consultato nella conduzione dei negoziati.

A decorrere dalla data di entrata in vigore dell’Accordo di recesso, i trattati non saranno più applicabili allo Stato membro interessato. In mancanza di tale accordo, essi cesseranno di applicarsi due anni dopo la notifica al Consiglio europeo da parte dello Stato circa la sua intenzione di recedere. Il Consiglio europeo può peraltro decidere di prolungare tale termine, deliberando all’unanimità e d’intesa con lo Stato membro interessato (par. 3). L’art. 50 non fornisce indicazioni sulla durata né sul numero delle eventuali proroghe.

Lo Stato membro che intende recedere non partecipa né alle deliberazioni né alle decisioni del Consiglio europeo e del Consiglio che lo riguardano. Poiché non è fatto riferimento al Parlamento europeo, che è chiamato ad approvare l’Accordo di recesso (e che detiene pertanto un sostanziale potere di veto), sembra potersene dedurre che l’esclusione non si applichi ai parlamentari eletti nello Stato membro che intende recedere, ma solo ai suoi rappresentanti in sede di Consiglio e di Consiglio europeo.

Rimane prevista la possibilità, per lo Stato membro uscito dall’Unione, di aderirvi nuovamente, ma seguendo per intero la procedura prevista dall’art. 49. L’articolo 50 non fa invece alcun riferimento esplicito alla possibilità di ritirarsi dal meccanismo di recesso o di revocare la notifica al Consiglio europeo, né pertanto esclude a priori tali eventualità.

Il processo di riflessione condotto dal Parlamento britannico

Il 4 maggio 2016, in preparazione del referendum e delle eventuali conseguenza di una Brexit, la European UnionCommittee della Camera dei Lord ha licenziato un Rapporto intitolato The Process of Withdrawing from the European Union, nel quale, evitando di pronunciarsi sulla desiderabilità o meno di un recesso dall’Unione, ha tentato di raggiungere “una comprensione il più chiara possibile del processo attraverso il quale il Regno Unito recederebbe dall’Unione, nel caso in cui l’elettorato decida in tal senso”, basandosi tra l’altro sui pareri di due illustri giuristi: Sir David Edward, professore emerito all’Università di Edimburgo e già Giudice alla Corte di Giustizia, e Derrick Wyatt, docente alla Oxford University.

Le conclusioni raggiunte dalla Commissione sono così sintetizzabili:

  • L’art. 50 del TUE costituisce l’unica base giuridica e l’unica procedura per il recesso dall’Unione. In esso non vi è nulla che impedisca a uno Stato membro di tornare sulla propria decisione di recesso in corso di negoziato, anche se le conseguenze politiche di tale scelta sarebbero rilevanti, mentre il recesso diviene definitivo nel momento in cui il relativo Accordo entra in vigore;
  • Benché la responsabilità dei negoziati sarà probabilmente affidata alla Commissione europea, gli Stati membri manterranno un forte controllo su di essi; non meno forte sarà l’influsso del Parlamento europeo, avendo quest’ultimo potere di veto sull’adozione dell’Accordo di recesso;
  • È molto probabile che, in parallelo con l’Accordo di recesso, venga negoziato anche un accordo sulle relazioni future tra il Regno Unito e l’Unione europea. Dovrebbe infatti essere interesse comune di tutte le parti in causa assicurare un coordinamento efficace tra i due accordi, che peraltro, vista la loro natura innegabilmente “mista”, dovrebbero essere oggetto di ratifica da parte dei parlamenti nazionali;
  • Vista l’assenza di precedenti specifici, non è possibile prevedere con certezza quale sarà la durata dei negoziati per l’Accordo di Recesso e per un nuovo Accordo tra UE e Regno È comunque ragionevole prevedere che essi richiederanno diversi anni (in media, gli accordi commerciali tra l’UE e gli Stati membri richiedono, per essere finalizzati, un periodo tra i quattro e i nove anni), e che sarà pertanto necessario estendere il periodo di negoziato oltre il termine di due anni previsto dall’art. 50. Tale estensione, peraltro, dovendo essere oggetto di una decisione del Consiglio europeo presa all’unanimità, non può essere considerata a priori un passaggio scontato;
  • Benché il Regno Unito rimarrebbe a tutti gli effetti membro dell’Unione durante i negoziati di recesso, la sua credibilità sarebbe seriamente minata. Potrebbe essere necessaria una politica di disimpegno selettivo daalcune politiche europee, e particolarmente problematico, per il Governo, sarebbe esercitare la Presidenza semestrale del Consiglio dell’Unione europea, prevista per il secondo semestre del 2017, in considerazione del fatto che, ai sensi dello stesso art. 50 del TUE, non potrebbe presiedere le riunioni del Consiglio dedicate al negoziato di recesso.

L’articolo 50 del TUE rappresenta una delle novità più significative introdotte dal Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1° dicembre 2009: in precedenza, infatti, la possibilità per gli Stati di ritirarsi volontariamente (Tale disposizione era stata inserita nella Costituzione europea e, dopo la sua mancata ratifica, è confluita nel Trattato di Lisbona) non era contemplata dai trattati, e l’eventuale recesso di uno Stato membro poteva rientrare esclusivamente nell’ambito disciplinato dalla Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati del 1969, che nella parte V si occupa della sospensione dei trattati internazionali (La Convenzione disciplina due fattispecie: i trattati che contemplano la possibilità di recesso e quelli che non la prevedono. Nel secondo caso vengono previste una serie di clausole di recesso tra cui quella di un mutamento delle circostanze tale da trasformare radicalmente il peso degli obblighi che restano da eseguire in base al Trattato (clausola rebus sic stantibus) . Quello del Regno Unito è il primo caso di recesso dall’Unione. Nessuno Stato firmatario del Trattato istitutivo o di adesione ha infatti dichiarato la propria intenzione di uscire dall’UE. Si possono tuttavia segnalare alcuni casi di dipendenze territoriali o regioni ultraperiferiche che hanno lasciato l’UE. Tra essi la Groenlandia, che era divenuta parte della CEE con l’ingresso della Danimarca nel 1973 ma che, in esito ad un referendum indetto nel 1979 (l’unico prima del referendum britannico del 23 giugno scorso) ha abbandonato la Comunità nel 1985(Altri casi riguardano l’Algeria, che nel 1962, dichiarando la propria indipendenza dalla Francia, è uscita dal sistema comunitario e la comunità francese d’oltremare Saint-Barthélemy, che aveva chiesto di essere svincolata dalle norme europee in virtù della lontananza dal continente e che dal 1° gennaio 2012 gode dello status di territorio associato all’Unione europea). In quel caso per formalizzare l’uscita si è proceduto a una modifica dei Trattati con la quale se ne è soppressal’applicazione al territorio della Groenlandia (Trattato sulla Groenlandia).

Intervista dell’avv. Fusillo: Fonte

Qui trovate la nota del Senato Italiano.

Qui trovate il Tratto di Lisbona

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore.

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