Il digitale ha impatto ambientale significativo, non è immateriale… anche se cercano di limitarlo alle sole fonti di energia

“Il digitale, con i suoi bit e la sua immaterialità, per esistere ha bisogno di cavi, circuiti, calcolatori potentissimi, memorie, apparecchiature varie e dispositivi individuali, e che tutto questo deve essere costruito, trasportato, alimentato, dismesso e smaltito, è quasi un tabù”, denuncia Giovanna Sissa, nel suo libro “Le emissioni segrete: L’impatto ambientale dell’universo digitale (Farsi un’idea)”.

“L’imperativo è abbattere le barriere che ostacolano lo sviluppo digitale. Che sarà mai un insignificante impatto sull’ambiente – anche se esistesse – rispetto agli enormi vantaggi? Il solo ipotizzare che, data la fortissima tendenza di crescita, la piccola quota di negatività potrebbe diventare non più trascurabile sembra un tradimento della causa, un mettere in discussione la rivoluzione stessa e schierarsi dunque con i conservatori, nemici dell’innovazione.

Chiedere al settore digitale di adempiere ai propri obblighi di rendicontazione ambientale, come lo si chiede a tutti gli altri settori, suona sulle prime quasi come un’eresia. In effetti, come vedremo, gli schemi per i report ambientali sono concepiti per attività tradizionali e si applicano difficilmente all’universo digitale, specialmente al cloud computing.

Il settore digitale è tuttavia sempre pronto a recepire la nuova aria che tira e cambia repentinamente atteggiamento: cavalca la tigre e, in quanto maggior utilizzatore di energie rinnovabili, si descrive come molto green. In tal modo, però, invece di gestire la complessità della riduzione delle emissioni di carbonio la limita a un solo aspetto: l’uso di fonti rinnovabili per produrre elettricità. E così facendo, ancora una volta, il presunto potere taumaturgico di una tecnologia – quella delle rinnovabili – consente di continuare a non preoccuparsi e dunque a consumare sempre di più, all’infinito. Le grandi aziende, specie del cloud, hanno sempre voluto tranquillizzare i propri utenti, deresponsabilizzandoli, invece di fornire in modo trasparente tutte le informazioni necessarie perché essi possano conoscere l’impatto delle loro attività e trovare le proprie soluzioni meno impattanti. Ci connettiamo sempre di più, da qualsiasi luogo, in qualsiasi momento, per attività sempre più complesse e ad alto valore aggiunto. La miniaturizzazione dei dispositivi individuali e l’«invisibilità» di Internet e dei data center – le infrastrutture che fanno funzionare l’universo digitale – rendono difficile immaginare quanta energia sia necessaria per consentirne costruzione, uso e smaltimento. L’universo digitale lascia un’impronta di carbonio che non è trascurabile e influisce anch’essa sul riscaldamento globale”.

Il libro “Le emissioni segrete: L’impatto ambientale dell’universo digitale (Farsi un’idea)” di Giovanna Sissa lo trovate qui.

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore.

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