La difficoltà dei medici che se ne vanno: tempi stabiliti dall’alto per curare i pazienti, tetti alle prestazioni, alla diagnosi, ai farmaci. La denuncia al Senato

Nel tempo sono stati messi tempi stabiliti dall’alto per curare i pazienti, tetti alle prestazioni, alla diagnosi, ai farmaci. La denuncia al Senato sullo sfascio della sanità italiana spiegata in pochi passaggio fondamentali da Pierino Di Silverio, medico e Segretario Nazionale di ANAAO Assomed, in un recente discorso al Senato italiano per l’intergruppo parlamentare per i diritti fondamentali della persona, un luogo in cui i cittadini possono contribuire attivamente al dibattito politico.

“Chi è che non ricorda quando arrivava una volta, io lo ricordo e se lo ricordo io, il medico a casa. Io ricordo che mia madre apriva i balconi, ripuliva, c’era quasi l’attesa del messia. Quello si chiamava in gergo rapporto paternalistico.

C’era un connubio tra medico e paziente, cioè il paziente attendeva il medico, si affidava al medico, veniva preso in carico, a tal punto che perfino il legislatore, nel 1978, vista questa presa in carico, che dice?

Dice da oggi in poi, visto che il rapporto medico-paziente di tipo paternalista è così stretto, prendiamo il servizio sanitario pubblico e creiamo un servizio sanitario nazionale. Nel 1978 nasce.

Dal 78 al 1992, secondo, siamo arrivati al 92, questo servizio si evolve, matura, si struttura.

Nel 92 c’è la grande legge, grande legge per alcuni secondo me, che introduce l’aziendalizzazione, cioè è come se un piccolo imprenditore che fino a ieri aveva un’azienda familiare dice da ora in poi mi affaccio al mondo imprenditoriale dei grandi. Quindi il sistema si aziendalizza, gli ospedali si trasformano in aziende ospedaliere in cui comincia a nascere un conflitto, ovvero un’azienda deve produrre. Il conflitto qual è? È il limite che oggi noi viviamo e che probabilmente abbiamo superato, tra il profitto e la salute. Non va. In questa azienda c’è il medico, che nel frattempo non è più quello di mia madre, ma anche lui è maturato, è diventato dirigente. Si è calato in un’azienda e comincia a stare un po’ stretto, perché io fino a ieri andavo a fare la visita a casa, avevo la possibilità di curare senza un tempo di cura. Oggi mi impone un tempo di cura, oggi comincia ad impormi un tetto alle prestazioni, alla diagnosi, ai farmaci. In sostanza mi dici da un giorno all’altro devi curare quando lo dico io, come lo dico io e nei modi in cui lo dico io e anche nei luoghi. Comincia la crisi, eh? Nel momento in cui nasce questo conflitto sociale e professionale comincia la crisi del medico e del rapporto medico-paziente.

Gradualmente arriviamo al 1999, terzo grande momento legislativo, in cui, visto questo conflitto e questa crisi di identità del medico, il legislatore del 99 che dice Senti, tu devi decidere. Non puoi essere contestualmente il medico paternalista e il medico consumista. Devi scegliere di che morte vuoi morire, perché lì andavamo. E tu devi scegliere o lavori in ospedale o lavori fuori dall’ospedale. Il medico in quell’epoca sceglie di lavorare in ospedale, il senso etico, perché ricordate che noi medici abbiamo un giuramento che si chiama giuramento di Ippocrate, e se contravveniamo a quel giuramento, veniamo condannati da un tribunale che è a parte rispetto a quell’ordinario, si chiama tribunale ordinistico, prevede fino alla radiazione. Il medico sceglie di lavorare in ospedale secondo me convinto all’epoca che quello potesse dare al medico stesso una gratificazione professionale e anche in un certo senso, perché no, di carriera, perché ognuno di noi nel proprio lavoro, oltre alla parte missionale, ha la parte carrieristica, la parte di gratificazione, professionale, non economica, eh, professionale, il riconoscimento professionale. In quello stesso momento si rompe in maniera inconsapevole il fatto sociale, medico, paziente. Oggi i nostri problemi nascono dalla rottura di quel fatto sociale.

Poi arriva l’internet, la tv, insomma tutta quanta la comunicazione che io chiamo disinformazione mediatica, che comporta il fatto che oggi addirittura da alcuni medici arrivano i pazienti che non dicono più mi fa male la pancia, ma dicono vorrei che mi dessi il farmaco per il mal di pancia. Il dottor Google ha cominciato già a sostituirci da anni. E arriviamo alla crisi di oggi, sono ancora nei sette minuti.

Perché siamo in crisi oggi? Perché oggi si parla di fuga dei medici, del sistema sanitario, non fuggiamo da nessuna parte. Sapete da cosa fuggono oggi i medici? Dalle catene della salute. Il diritto alla tutela della salute non può essere tempisticamente preorganizzato, perché ogni paziente è soggettivo, perché ogni volta che vedo un paziente davanti a me, non posso dire che in mezz’ora riesco a risolvere il problema o riesco a farlo in un’ora. Ci riesco quando ho il quadro del paziente. …Se non mi permetti neanche di fare questo.

Sì, fuggo da un luogo in cui mi sento incatenato. 4.000 ogni anno sono i medici che in età ancora non pensionabili, tra i 45 e i 55 anni, oggi dicono mi dimetto dall’ospedale. Qualcuno, ho sentito dire che il posto fisso oggi vorrebbe chiamarlo posto figo. Va, permettetemi di dire, il posto in ospedale non è né fisso né figo oggi, è tutt’altro. E quando fugge dall’ospedale dove va? A fare il gettonista?

Vi dirò una cosa che magari va controcorrente. No, i gettonisti non sono così tanti come vogliono far immaginare.

Il problema è che va via dall’Italia. Il problema è che va a curare in altri luoghi.

Il problema è che va anche a curare in quella sanità accreditata o privata perché quello che manca oggi al medico, sapete cos’è? Non è il denaro, è il tempo di vita. Il tempo di vita, sì. Oggi un medico per la carenza di personale, a causa del Covid che è durato più di due anni e che continua ad esserci, a causa del burnout, sei medici su dieci sono in burnout, cioè sei medici su dieci oggi sono in uno stato di depressione. Sessanta ore di lavoro a settimana vuol dire che non ho tempo per stare con la mia famiglia. Dietro ogni medico, ricordiamolo questo, c’è un padre, un figlio, un fratello, un amico. Tutto questo oggi per noi non esiste più.

Chi non sarebbe in crisi di identità? Perché di questo di cui si parla, la crisi di identità, è quello che io dico per i medici, vale per gli infermieri, eh? Non è che è diverso, non siamo privilegiati in negativo e in positivo. Vale per tutti.

E concludo arrivando ai giorni nostri. Perché qualcuno dice oggi voi risvegliate e decidete che volete scioperare ledendo il diritto alla salute. No, no, no, no, no. Noi lo facciamo oggi probabilmente perché, vedete, quel limite sottile di cui parlavamo prima è un limite molto più profondo di quello che potete immaginare, cioè il limite che è stato varcato per noi è quello tra il senso etico che ci ha accompagnato durante il Covid, che ci ha accompagnato fino al Covid, e il senso di autopreservazione dell’individuo, che è stato profondamente leso. Ecco perché oggi i medici si sono decisi a dire adesso basta, non per privare il cittadino della tutela, ma per favorire il cittadino, perché diciamocilo tra di noi in conclusione, se il sistema diventasse privato, a me converrebbe, guadagnerei di più, lavorerei di meno e sicuramente avrei più tempo vita. Ma il senso etico, quel famoso giuramento che è lunghissimo, era in greco, pensate, dalla Grecia, o in Italia perché noi dobbiamo sempre italianizzare, l’abbiamo pure cambiato, però i principi sono rimasti.

Non farò mai nulla che possa nuocere alla salute del cittadino. Nuocere alla salute vuole anche dire foraggiare, restare in silenzio, restare immobili, non far niente per evitare la deriva di un sistema di cure che è in difficoltà.

Mancano 15.000 medici, 4.000 se ne vanno ogni anno in età non pensionabile, con delle norme nuove che non sto qui a raccontarvi perché sennò vi deprimerei ulteriormente, se ne potranno andare nel prossimo anno altri 5.000 medici. Alcune specializzazioni non sono più appetibili.

Voi sapete che per entrare nell’ospedale occorre la specializzazione. Solo in Italia succede questo, noi siamo giovani medici a 50 anni, questa è un’altra storia, la raccontate un altro giorno, detto ciò in una carenza strutturale.

Quando si vuole investire nel sistema di cure, se non si parte come un giano bifronte, ve la ricordate quella immagine mitologica di questo essere con due facce, una da una parte e una da un’altra? Allora noi siamo questo, il paziente, il medico. Ed è attorno a loro che dovrebbe ruotare tutto il sistema.

Io non vado avanti, non ho voluto sciorinare numeri, rivendicazioni corporativistiche, sindacali, semplicemente perché questo non è il contesto adatto, questo invece è un contesto che è molto più alto. Io ho semplicemente cercato, nella maniera più semplice, che mi riuscisse di raffigurarvi una sofferenza che è una nuova sofferenza, non è quella della patologia, ma è quella di essere in difficoltà perché abbiamo paura di non poter più curare la patologia. Grazie”.

Per chi volesse ascoltarlo qui trovate l’intervento di Pierino Di Silverio; https://www.instagram.com/reel/C08qTxaoDbl/?utm_source=ig_web_copy_link

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore.

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