Ha aperto il ristorante durante il lockdown. Assolto. DPCM Conte illegittimi

Altra sentenza davvero importante quella pubblicata il 09.06.23 da parte del Tribunale di Firenze (Dott.ssa Anselmo) che ha accolto il ricorso di Mohemed El Hawi, gestore di un esercizio di ristorazione a Firenze, che decideva di aprire al pubblico il proprio locale nonostante i divieti governativi del DPCM 03.11.2020 vendendo alle 22,25 “n. 1 pizza a persona separatamente identificata”.

Per tale grave violazione il ricorrente veniva sanzionato a pagare € 812,25 di multa nonché alla chiusura per giorni 30 dell’attività.

Il ricorso patrocinato dall’Avvocato fiorentino Lorenzo Nannelli veniva accolto dal Tribunale di Firenze con una motivazione che costituisce una “illuminante chiave interpretativa” del percorso giustificativo e dell’iter logico seguito dall’amministrazione nella valutazione della supposta illegittimità del provvedimento, ed il conseguente dovere del giudice civile di disapplicarlo in caso di accertamento.

Nel rinviare al commento integrale pubblicato su studiocataldi.it https://www.studiocataldi.it/articoli/45938-dpcm-conte-illegittimi-i-ristoranti-non-andavano-chiusi.asp, l’attestazione dell’avvenuto rispetto dei principi di proporzionalità e ragionevolezza deve essere misurata in concreto in base al livello di rischio che, nello specifico del caso trattato dal Tribunale di Firenze, troverebbe giustificazione nelle indicazioni fornite dal CTS alla seduta del 3.12.2020 dal quale non emergevano affatto specifiche indicazioni sulla gravità ed incidenza della diffusione del virus tali da rendere congrue, proporzionate ed adeguate le misure adottate.

Le gravi misure adottate, comportando la compressione di diritti costituzionalmente garantiti, necessitavano di un adeguato impianto giustificativo, soprattutto nel momento in cui le decisioni adottate dal DPCM del 3 dicembre 2020 determinavano una modifica delle disposizioni precedentemente adottate, che consentivano senza limitazioni di orario e di luogo lo svolgimento dell’attività di ristorazione, non differenziando ad esempio il ristorante dalle aree di servizio.

In tal caso, la precisa differenziazione, all’interno delle disposizioni richiamate, tra le attività consentite e non consentite, nonché l’identificazione della fascia oraria consentita per lo svolgimento dell’attività di ristorazione, si traduceva in una precisa scelta da parte dell’Amministrazione che avrebbe dovuto essere supportata da dati scientifici precisi, nonché da spiegazioni tecniche in relazione al maggior rischio di diffusione del contagio nelle attività e negli orari non consentiti.

Nessuna indicazione è stata fornita sul punto, se non tramite generici riferimenti “all’evolversi della situazione epidemiologica” ed “alla congruità delle misure adottate”.

In altri termini, la specificità delle misure adottate non si rivela congrua e logica rispetto alla genericità dei presupposti addotti, privi di specifiche indicazioni di rischio, sia dal punto di vista sanitario che tecnico.

Ne conseguiva l’illegittimità del DPCM, sia che lo si intenda assimilare alla tipologia dell’ordinanza contingibile ed urgente, sia che lo si voglia piuttosto assimilare alla tipologia dell’atto amministrativo necessitato, non risultando esplicitato, neanche tramite l’istituto della motivazione per relationem, i presupposti di fatto, nonché le ragioni tecnico-scientifiche poste a fondamento dell’adozione delle misure prescelte.

Misure sproporzionate ed inadeguate che devono essere disapplicate da parte del giudice ordinario nell’esercizio del potere derivante dall’art.5 della legge n.2248 del 1865 Allegato E).

Avv. Lorenzo Nannelli

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore.

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