Opzione donna. La beffa dopo il danno: sempre più difficile accedervi. La denuncia di USB

“Opzione donna non è mai stata un riconoscimento sociale del carico supplementare di lavoro gratuito al quale le donne sono costrette dal lavoro di cura, in un Paese che continua a smantellare il welfare pubblico. È esattamente il contrario: la necessità che le donne continuino ad assolvere quel ruolo di ammortizzatore sociale, così da proseguire impunemente a tagliare e privatizzare i servizi pubblici, scrive l’unione sindacale di base.

“Prima si è progressivamente alzata l’età pensionabile delle donne e poi, a distanza di anni, si è ricorsi ad Opzione donna, attraverso la quale si concede di anticipare la pensione in cambio di una quota consistente di salario che varia dal 25 al 35%. La beffa dopo il danno.

Opzione donna non è mai stata neanche una libera scelta delle donne. Perché cosa c’è di libero nel dover scegliere tra lavoro e cura dei figli o di persone anziane o in condizioni di fragilità, con la sola alternativa di farlo dedicando il proprio tempo o versando tutto lo stipendio in asili o assistenza privata?

Opzione donna ha sempre rappresentato un bieco ricatto per le donne, da parte di una politica, insipiente e arrogante, da sempre ostinatamente contraria al riconoscimento del valore economico e sociale del lavoro di cura che continua a gravare prevalentemente sulle donne.

Quel lavoro di cura così gravoso e svilito, quanto indispensabile, che i ricchi possono permettersi di appaltare ai privati mentre per tutti gli altri diventa un percorso ad ostacoli nel tentativo di conciliarlo col lavoro produttivo.

Una conciliazione, quella tra tempi di vita e di lavoro, che ad ogni pezzo di welfare che si taglia, ad ogni servizio pubblico che si privatizza, subisce un colpo mortale. Mentre insostenibile lo è già da un pezzo per coloro che un lavoro neanche ce l’hanno.

Nell’ultima versione di Opzione donna nella legge di stabilità, la prima di un governo presediuto da una donna, non solo restano le penalizzazioni economiche per chi va in pensione prima, ma si coglie un di più ideologico, principalmente utile a rimarcare lo stereotipo della donna vittima e la retorica della donna-madre.

Potranno, infatti, accedere ad Opzione donna solo coloro le quali sono state licenziate o sono dipendenti in aziende con tavolo di crisi aperto al MISE, con disabilità pari o oltre il 74% o che assistono, da almeno 6 mesi, persone disabili conviventi con handicap in situazione di gravità ex Legge 104.

Sale inoltre l’età di accesso, dai precedenti 58 e 59 anni (rispettivamente per lavoratrici dipendenti e autonome) ai 60 per tutte ma con un anticipo di un anno per ogni figlio, fino ad un massimo di due.

Oltre all’evidente riduzione della platea a pochissime migliaia di donne (circa 5000), quest’ultimo requisito è evidentemente discriminatorio, contestato nella legittimità da fior di costituzionalisti ma che, nonostante ciò, deve essere apparso talmente irrinunciabile da valere le future e certe impugnazioni”.

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