Lettera aperta la ministro dell’istruzione: il bullismo è stato anche “istituzionale”

“Non pochi rappresentanti delle istituzioni cosiddette “educative” si sono sentiti legittimati a esercitare la propria quota di potere con una disumanità al confine con il cinismo, manifestando così, anche loro, un qualche genere di frustrazione repressa”, Elisabetta Frezza, per: Associazione ContiamoCI! scrive una lettera aperta al ministro dell’istruzione.

“Tanti ragazzi – è vero – sfogano sui coetanei ritenuti più deboli e indifesi il disagio covato dentro di sé, ed è dovere degli adulti e delle istituzioni arginare questo flagello: aiutando gli uni, se necessario anche con adeguate misure disciplinari, a maturare e a recuperare un equilibrio compatibile con la vita sociale; proteggendo gli altri, vittime incolpevoli di malesseri altrui. Tuttavia, non possiamo limitarci a guardare gli effetti trascurando le cause, che sono molteplici. Tra queste, vale la pena considerare quale sia l’esempio che gli scolari hanno assorbito nell’ultimo triennio, un tempo proporzionalmente decisivo nella economia della loro ancor breve esistenza. Che modello è stato fornito loro, troppo spesso, da quanti avrebbero dovuto esserne maestri? Ebbene, sotto l’ombrello di una pletora di disposizioni – legislative e amministrative – farraginose, contraddittorie, troppe volte irragionevoli e del tutto sproporzionate; al riparo della impunità garantita dal ruolo istituzionale; sull’onda di un rigorismo ingiustificato, scollato dalla realtà dei fatti e al di fuori di qualsiasi controllo, non pochi rappresentanti delle istituzioni cosiddette “educative” si sono sentiti legittimati a esercitare la propria quota di potere con una disumanità al confine con il cinismo, manifestando così, anche loro, un qualche genere di frustrazione repressa.

Nel manuale sul bullismo, allora, bisognerebbe cominciare a scrivere anche questo capitolo. E parlare delle fattispecie, per nulla rare, di «bullismo» istituzionale. E dell’«ego ipertrofico» esibito da titolari di incarichi delicati, con funzioni educative e di garanzia verso i minori di età. E degli «effetti devastanti» che tanta inadeguatezza umana, prima ancora che professionale, ha provocato.

Quale strumento correttivo o redentivo suggerirebbe per costoro, signor ministro? Lavori socialmente utili, o altro? È doveroso, eccome, insegnare a chi ci succede la responsabilità delle proprie azioni, insieme alla misura, alla creanza, al buon senso, alla pietà: tutti tratti di una umanità pressoché dimenticata. Forse, però, occorre prima guardare al pulpito cui si affiderebbe la predica. Perché da quello stesso pulpito si va decantando un mondo dove comanda e vince il più forte, cioè il bullo.

Abbiamo una responsabilità molto più grande dei nostri ragazzi, noi della generazione precedente, specie chi veste panni istituzionali: in primo luogo, quella di dare l’esempio. Molti hanno dimostrato di averne rimossa ogni consapevolezza, e questo dovrebbe farci riflettere”. 

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