Nel 2021 la rinuncia alle cure è quasi raddoppiata: la soluzione è sburocratizzare la medicina territoriale

“La situazione politico economica italiana e la sua quantità di incognite non ci fa dormire sonni tranquilli”, spiega Angelo Testa,Presidente Nazionale SNAMI .

“Nel 2021, a causa della pandemia, la rinuncia alle cure è quasi raddoppiata rispetto al 2019, passando dal 6,3% all’11%. Allo stesso modo la spesa sanitaria delle famiglie nel 2021 è cresciuta del 9% rispetto al 2020 attestandosi a 118 € al mese.

Durante l’emergenza sono state molte le prestazioni saltate e ancora non del tutto recuperate: nel 2020 1.300.000 ricoveri e oltre 144 milioni di prestazioni ambulatoriali in meno; ridotti di oltre il 30% gli screening oncologici programmati, quasi 100.000 persone con sofferenza mentale assistite in meno dal sistema sanitario nazionale, ridotte di quasi 1/3 le viste di controllo e le prime visite per malati cronici volte a impostare i piani terapeutici.

Per garantire l’assistenza sanitaria e far fronte a tutte queste difficoltà, il sistema sanitario nazionale potrà contare e dovrà amministrare oltre 270 miliardi di euro nel periodo 2022-2023.

Ma non basteranno e ne serviranno molti di più.

Servono scelte nette sul personale sanitario, altrimenti il SSN sarà sempre meno accessibile, universale, equo e solidale.

Gli investimenti devono essere immediati e rilevanti già nella prossima legge di bilancio, se si vuole rispondere al problema delle carenze di organico e della fuga all’estero dei nostri medici, che sono sottopagati ed in condizioni lavorative critiche e se si vuole garantire un più alto livello di sicurezza delle cure con innovazione e sostenibilità del SSN.

Servono ora idee chiare sulle risorse da mettere sul piatto, sulle strategie per garantire il mantenimento del sistema sanitario nazionale e per innovare le politiche professionali agganciandole ai nuovi modelli organizzativi e all’epidemiologia.

Le malattie croniche in Europa sono responsabili dell’ 86% di tutti i decessi e di una spesa sanitaria annua pari a circa 700 miliardi di euro.

L’invecchiamento della popolazione e quindi anche dei medici ci deve preoccupare, soprattutto in relazione alle scelte politiche dei nostri amministratori.

Ma siamo sicuri che manchino i medici?

Oppure ne abbiamo ancora da specializzare e non lo stiamo facendo correttamente?

Oppure stiamo impiegando in modo inappropriato quelli che ci sono?

Lo Snami chiede da anni una formazione specialistica che dia alla medicina generale pari dignità di quella ospedaliera.

Il rischio è che chi ha investito nella specialità si troverà un giorno a poter accedere anche alla medicina generale e non sarà viceversa per chi ha creduto ed investito sulla medicina territoriale.

E questo è profondamente ingiusto.

Venga istituito il corso di specializzazione in medicina generale, vengano trovate le equipollenze e venga quindi data la possibilità di passaggio tra ospedale e territorio.

Rimane comunque il problema previdenziale ma con la buona volontà è risolvibile.

Vi è una parte della categoria che vede maggiori tutele nella dipendenza ed una parte che trova invece nell’autonomia organizzativa della convenzione il miglior modo di vivere la professione.

Va trovata una soluzione per dare pari tutele alla medicina convenzionata.

I nostri politici hanno scelto di indirizzare il territorio verso la strutturazione di case della comunità.

Poi, probabilmente, si sono resi conto che, centralizzando, avrebbero allontanato la sanità dal cittadino ed allora si sono inventati il sistema Hub and Spoke anche per il territorio.

Ma io mi chiedo: come si può pensare con il calo del numero dei medici di MMG di poter coprire l’assistenza negli hub e negli spoke?

Come si può pensare di far fare al MMG la diagnostica, la certificazione, l’ascolto, la cronicità, la domiciliarità appesantita dall’assistenza domiciliare integrata?

Cosa deve ancora fare il medico di medicina generale?

Si è voluto burocratizzare il nostro lavoro, sovraccaricarlo di incombenze inutili e rendere il medico impegnato in funzioni non appropriate per poi dire che non è in grado di fare il clinico.

E questo è profondamente sbagliato.

L’emergenza territoriale era nata come una branca della medicina generale che si sarebbe dovuta occupare della gestione delle emergenze e urgenze del territorio, trasferendo in ospedale quando ve ne fosse la necessità e trattando a domicilio nei casi dovuti.

Strada facendo si è trasformata in una branca del DEA senza averne pari dignità.

Va ripensata la funzione e l’impiego di questa importante branca della medicina rendendola più funzionale al sistema territorio-ospedale.

La medicina generale ha avuto un indegno attacco mediatico durante il covid quando invece ha mantenuto in piedi il sistema territoriale.

Abbiamo modificato il nostro modo di lavorare e non abbiamo lasciato mai nessun paziente da solo con le sue problematiche e patologie.

Noi non abbiamo liste di attesa da sfoltire perché i nostri pazienti li abbiamo visitati tutti e le nostre agende sono state sempre aggiornate.

Sicuramente in ospedale non è stato così.

Chi ha attaccato la categoria dovrebbe vergognarsi e chiedersi perché le attese per un esame sono così lunghe.

Si tratta di richieste inappropriate o di risposte inappropriate?

Una grande sfida ci attende!

Gli accordi integrativi regionali.

Molte regioni stanno procedendo in modo confuso cercando di applicare  l’ACN integrandolo con quanto previsto dal PNRR e dal DM77.

O si arriva velocemente ad un nuovo atto di indirizzo ed all’apertura di nuove trattative nazionali che permettano di amalgamare tutte le differenze tra i vari quadri legislativi oppure sarà una babele territoriale della sanità con la distruzione totale della medicina generale.

Il servizio sanitario costa più di 120 miliardi di euro l’anno. Cura tutti, anche chi non paga le tasse, che oltretutto i partiti vogliono ridurre abolendo l’IRAP, tassa regionale, che era stata istituita per finanziare la sanità.

La metà di chi paga le tasse versa in media 17 euro al mese per la sanità.

Una domanda ce la dobbiamo porre: era necessario fare un debito per la sanità?

Un debito il cui onere ricadrà sulle generazioni future?

Il debito è buono se serve per investire.

E’ cattivo se lo si spreca in spese inutili.

Era necessario spendere quei soldi per le case di comunità?

Se si, vogliamo farle funzionare?

Noi il progetto lo abbiamo.

Ma deve essere chiaro che non è a costo zero.

Si è pensato solo ad investimenti immobiliari senza preoccuparsi di chi poi in quelle strutture ci dovrà andare a lavorare.

Non si pensi di identificare le ore di studio con le ore di lavoro.

Siamo disponibili a fornire i nostri dati che tengono conto del back office, del lavoro a domicilio del paziente e nelle strutture assistenziali.

E siamo tranquilli perché le 40 ore settimanali le superiamo abbondantemente.

Lo stato deve investire di più sulla medicina generale, il medico di medicina generale non ha ferie, non ha tredicesima, non ha trattamento di fine rapporto.

Va ristrutturata l’attività per permettere ad ognuno di noi di godere del meritato riposo e della possibilità di essere sostituito quando ammalato.

Ogni tanto sentiamo qualche politico agitare la minaccia dell’assunzione.

Ci fa sorridere!

Per fare il lavoro di ognuno di noi dovrebbero assumere almeno un altro medico e mezzo.

Non abbiamo paura dei cambiamenti, ma non è necessario diventare dipendenti per raggiungere questi obiettivi.

Vanno riviste le regole di ingaggio e le modalità di scelta del paziente.

Se vogliamo che la medicina generale torni ad essere attrattiva deve essere specialistica, convenzionata con tutte le tutele necessarie, sburocratizzata, retribuita in modo adeguato ai compiti assegnati.

L’autonoma organizzazione non può essere vincolata a contributi per il personale, che non coprono neanche la spesa sostenuta, necessita di investimenti chiari, definiti e non modificabili nel breve periodo.

Il medico di medicina generale deve avere compiti precisi ed emolumenti non legati solo alla libera scelta dei pazienti.

Scelta spesso legata più alla certificazione di malattia ed alla prescrizione di farmaci.

I primi tre giorni di malattia se li deve autocertificare il paziente.

Il medico deve poter prescrivere quello che ritiene corretto in scienza e coscienza e non quello che viene “suggerito”, quando va bene, dallo specialista piuttosto che dal paziente ed i suoi vicini di casa.

Allora vedrete che non serviranno più note e registri.

Il cittadino deve scegliere dove e da chi farsi curare ma da questo non deve dipendere l’investimento della regione sul medico o sull’associazione.

Non è che il dipendente ospedaliero guadagni di meno se il paziente va in un altro ospedale.

La premialità deve essere legata all’attività svolta e non solo sul numero di utenti.

Lo stato deve chiarirsi e chiarirci una cosa: chi si occupa della cronicità?

Il medico non fa più il medico, il farmacista non fa più il farmacista, l’infermiere non fa più l’infermiere.

Sembra che ognuno voglia fare il lavoro di un altro.

Noi vogliamo fare il medico!

Allora dobbiamo tornare da dove eravamo partiti.

Il medico ha studiato medicina, il farmacista farmacia e l’infermiere infermieristica.

Quando tutti e tre faranno lo stesso corso di laurea faranno lo stesso lavoro.

Se tutti e tre collaborano ognuno con le proprie competenze il primo ad averne un beneficio sarà il SSN.

Al centro del sistema non deve stare la figura professionale, deve stare il paziente nella sua interezza.

Sul territorio non esiste l’ipertensione, il diabete, l’insufficienza renale.

Esiste il paziente con tutte le sue complessità legate non solo alla patologia ma anche allo stile di vita ed alla possibilità economica di affrontare la malattia.

Togliamo al medico la burocrazia e tutti i compiti non di sua pertinenza e assegnamogli la cura del paziente nell’interezza della sua esistenza fatta di  cronicità e di acuzie lievi.

L’ospedale risponda con pronto soccorsi adeguati e non da terzo mondo. Risponda con appropriatezza alle richieste di esami e consulenza, con dei tempi certi e non sforabili.

Il territorio sarà appropriato se messo nelle condizioni di esserlo.

Speriamo lo sia anche l’Ospedale.

Sempre più spesso vediamo aumentare la spesa sanitaria out of pocket, ovvero sostenuta direttamente dal privato cittadino, che paga per prestazioni sanitarie di tasca propria.

Non va bene o perlomeno va bene se è una libera scelta dello stesso.

O forse lo stato ha deciso di affidare la sanità alle mutue integrative?

Sempre più spesso riceviamo richieste di modifica delle prescrizioni diagnostiche per compiacere le modalità operative di qualche fondo assicurativo.

Non va bene.

Noi lavoriamo per lo stato non per l’assicurazione.

Care assicurazioni volete la nostra consulenza?

Chiamateci e saremo disponibili a ragionare con voi sulle modalità e sugli emolumenti della nostra collaborazione.

Si investe tanto sulla telemedicina e questo è un bene, ma è necessario che si investa sulle infrastrutture, sul personale, sulla formazione.

Senza tutto questo è come se comperassimo delle fuoriserie senza aver costruito prima le strade, formato i piloti ed i meccanici.

Telemonitoraggio, televisita e teleconsulto dovranno diventare parole comuni non solo ai medici ma anche ai pazienti e parte dell’assistenza dovrà transitare su quei canali.

Ma per ottenere questo va fatto uno sforzo, anche culturale, da parte di tutti gli attori del sistema.

Quest’anno abbiamo avuto una sessione poster particolarmente nutrita che ha dato notevoli spunti di riflessione di cui faremo tesoro.

I poster sono stati fatti da colleghe e colleghi giovani che sono e saranno la linfa vitale per il nostro sindacato.

Lo Snami si sta modificando, molti giovani si sono affacciati alla professione e quindi anche al sindacato.

Molti dei più anziani continuano ancora a lavorare per sopperire alle carenze oppure per svolgere la libera professione e quindi rimangono attivi anche all’interno della nostra associazione.

Sono sicuro che questo connubio renderà ancora più grande lo Snami.

Non ha futuro chi non ha memoria.

Ricordiamo chi siamo e da dove veniamo.

Ricordiamo quanto grande sia stato lo Snami e quanto lo sia ancora.

E per ricordare la nostra storia vi annuncio che editeremo una versione aggiornata del libro “Riscatto medico: un viaggio nella storia dello Snami” che avevamo pubblicato diversi anni fa”.

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