L’obbligo vaccinale è incostituzionale, Consiglio Giustizia Amministrativa regione Sicilia

Arriva una nuova sentenza contro l’obbligo vaccinale, questa volta grazie a un ricorso di uno psicologo, che si era vista negare giustizia dal Tar. Ha fatto opposizione e ha vinto. “Mai nella storia della nostra Corte Costituzionale, dal 1952 ad oggi, una normativa dello Stato è stata così contestata e impugnata per tante ragioni di illegittimità quale fonte di violazione dei diritti fondamentali dei cittadini”, commenta l’Avvocato e Presidente EUNOMIS.

“Il Collegio ritiene che la questione di legittimità costituzionale sia rilevante nel presente giudizio impugnatorio nei termini che saranno di seguito esposti, in quanto dalla decisione della Corte costituzionale dipende l’esito del secondo e del terzo motivo di ricorso, con i quali il ricorrente ha censurato l’imposizione dell’obbligo vaccinale per gli esercenti le professioni sanitarie e le conseguenze derivanti dall’inadempimento di detto obbligo.

9.1. Né l’interesse della parte appellante può essere soddisfatto mediante “sospensione impropria” del presente giudizio, nelle more della decisione della Corte costituzionale su analogo incidente sollevato da questo stesso CGARS in altro giudizio (ordinanza 22 marzo 2022 n. 351), in quanto tale sospensione impropria, stigmatizzata dalla stessa Corte costituzionale (Corte cost., 23 novembre 2021 n. 218) precluderebbe alla parte la possibilità di partecipare alla discussione dell’incidente davanti la Corte costituzionale, alla luce del vigente regolamento di procedura della Corte stessa.

10. Ai fini della rilevanza della questione di legittimità costituzionale, il Collegio anzitutto osserva che non può rilevare d’ufficio il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo sul provvedimento impugnato, come si argomenta dall’art. 9 e dall’art. 62 comma 4 c.p.a. e quindi non può esimersi dall’esaminare nel merito l’incidente cautelare.

10.1. Sempre ai fini della rilevanza della questione di legittimità costituzionale, deve prioritariamente procedersi all’esame del primo motivo di ricorso, sulla base della valutazione tipica della presente fase cautelare, e del profilo del periculum in mora, in modo da evidenziare come la pronuncia sia rilevante al fine di decidere il ricorso nella presente sede cautelare.

11. Non risulta fondata la censura incentrata sul vizio di violazione delle prerogative di partecipazione al procedimento amministrativo di cui alla legge n. 241 del 1990 e alla l.r. n. 10 del 1991 (ora sostituita dalla l.r. n. 7 del 2019)”.

Lo psicologo non ha prodotto esenzioni all’ordine, ma ha mandato la ricetta di una visita allergolocica. Sulla base di questa documentazione per la corte non esiste visto procedurale, a cui si è appellato l’ordine per sospenderlo.

“Nella presente controversia risulta quindi rilevante accertare se l’obbligo di vaccinazione nei termini indicati dall’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021 per gli esercenti le professioni sanitarie sia costituzionalmente legittimo e se sia costituzionalmente legittimo l’effetto sospensivo dall’attività professionale, circostanze su cui si appuntano i successivi motivi di ricorso.

Che cosa ha chiesto

Lo psicologo nel ricorso in appello si è lamentata l’erroneità dell’ordinanza per vizio di motivazione e sono stati riproposti i motivi di ricorso dedotti in primo grado e, in particolare:

– violazione delle prerogative di partecipazione al procedimento amministrativo di cui alla legge n. 241 del 1990 e alla l.r. n. 10 del 1991;
– violazione del principio di proporzionalità quanto all’effetto sospensivo dell’accertamento di inadempimento dell’obbligo vaccinale;
– questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 del d.l. 1 aprile 2021, n. 44, convertito con modificazioni nella legge 28 maggio 2021, n. 76, così come modificato dal decreto legge 26 novembre 2021, n. 172, convertito nella legge 21 gennaio 2022, n. 3, con riferimento sia all’imposizione dell’obbligo vaccinale (comma 1 dell’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021), sia con riferimento all’effetto sospensivo (comma 4 dell’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021).
E ciò in quanto, in base alla giurisprudenza della Corte costituzionale:
– il trattamento sanitario può essere imposto a patto che sia efficace non solo per sé stessi ma anche per gli altri e a patto che esso non sia pericoloso per l’individuo che subisce il trattamento, visto che, in questo caso, si violerebbe direttamente il secondo comma dell’art. 32 Cost. che afferma “la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”;
– la disposizione non rispetta le prerogative dei diritti della persona allorquando vieta di lavorare senza alcun indennizzo al soggetto non vaccinato;
– il comma 5 dell’art. 33 Cost. condiziona l’esercizio della professione al solo superamento dell’esame di Stato;
– la disciplina emergenziale comportando, quale conseguenza dell’inadempimento all’obbligo vaccinale, l’impossibilità di svolgere la professione di psicologo, appare in contrasto anche con l’art. 35 comma 1 Cost. che tutela il lavoro e i lavoratori, inclusi i liberi professionisti.
– l’impedimento al lavoro quale conseguenza della “scelta di non vaccinarsi con un farmaco oggetto di un’autorizzazione emergenziale condizionata introduce anche una discriminazione, basata sulle opinioni e su una condizione personale, non consentita dall’art. 3 Cost.”.

Cosa prevede la giurisprudenza in materia di Costituzione

“La giurisprudenza della Corte costituzionale in materia di vaccinazioni obbligatorie è salda nell’affermare che l’art. 32 Cost. postula il necessario contemperamento del diritto alla salute della singola persona (anche nel suo contenuto di libertà di cura) con il coesistente e reciproco diritto delle altre persone e con l’interesse della collettività.

In particolare, la Corte ha precisato che – ferma la necessità che l’obbligo vaccinale sia imposto con legge – la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’art. 32 Cost. alle seguenti condizioni:
(i) se il trattamento è diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri;

(ii) se si prevede che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che è obbligato, salvo che per quelle sole conseguenze “che appaiano normali e, pertanto, tollerabili”;
(iii) e se, nell’ipotesi di danno ulteriore, sia prevista comunque la corresponsione di una equa indennità in favore del danneggiato, e ciò a prescindere dalla parallela tutela risarcitoria (sentenze n. 258 del 1994 e n. 307 del 1990).
In particolare, come affermato dalla sentenza 22 giugno 1990, n. 307, la costituzionalità degli interventi normativi che dispongano l’obbligatorietà di determinati trattamenti sanitari (nel caso di specie si trattava del vaccino antipolio) risulta subordinata al rispetto dei seguenti requisiti:
“il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri, giacché è proprio tale ulteriore scopo, attinente alla salute come interesse della collettività, a giustificare la compressione di quella autodeterminazione dell’uomo che inerisce al diritto di ciascuno alla salute in quanto diritto fondamentale.
[…] un trattamento sanitario può essere imposto solo nella previsione che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato, salvo che per quelle sole conseguenze, che, per la loro temporaneità e scarsa entità, appaiano normali di ogni intervento sanitario, e pertanto tollerabili.
Con riferimento, invece, all’ipotesi di ulteriore danno alla salute del soggetto sottoposto al trattamento obbligatorio […] il rilievo costituzionale della salute come interesse della collettività non è da solo sufficiente a giustificare la misura sanitaria. Tale rilievo esige che in nome di esso, e quindi della solidarietà verso gli altri, ciascuno possa essere obbligato, restando così legittimamente limitata la sua autodeterminazione, a un dato trattamento sanitario, anche se questo importi un rischio specifico, ma non postula il sacrificio della salute di ciascuno per la tutela della salute degli altri”.
E qualora il rischio si avveri, in favore del soggetto passivo del trattamento deve essere “assicurato, a carico della collettività, e per essa dello Stato che dispone il trattamento obbligatorio, il rimedio di un equo ristoro del danno patito”.

Inoltre, le concrete forme di attuazione della legge impositiva di un trattamento sanitario o di esecuzione materiale del detto trattamento devono essere “accompagnate dalle cautele o condotte secondo le modalità che lo stato delle conoscenze scientifiche e l’arte prescrivono in relazione alla sua natura. E fra queste va ricompresa la comunicazione alla persona che vi è assoggettata, o alle persone che sono tenute a prendere decisioni per essa e/o ad assisterla, di adeguate notizie circa i rischi di lesione (.), nonché delle particolari precauzioni, che, sempre allo stato delle conoscenze scientifiche, siano rispettivamente verificabili e adottabili”.

Come affermato con la decisione 18 gennaio 2018 n. 5, il contemperamento di questi molteplici principi lascia spazio alla discrezionalità del legislatore nella scelta delle modalità attraverso le quali assicurare una prevenzione efficace dalle malattie infettive, potendo egli selezionare talora la tecnica della raccomandazione, talaltra quella dell’obbligo, nonché, nel secondo caso, calibrare variamente le misure, anche sanzionatorie, volte a garantire l’effettività dell’obbligo. Questa discrezionalità deve essere esercitata alla luce delle diverse condizioni sanitarie ed epidemiologiche, accertate dalle autorità preposte (sentenza n. 268 del 2017) “e delle acquisizioni, sempre in evoluzione, della ricerca medica, che debbono guidare il legislatore nell’esercizio delle sue scelte in materia (così, la giurisprudenza costante della Corte sin dalla fondamentale sentenza n. 282 del 2002)”. A tal riguardo, si precisa ancora nella decisione n. 5 del 2018, i vaccini, al pari di ogni altro farmaco, sono sottoposti al vigente sistema di farmacovigilanza che fa capo principalmente all’Autorità italiana per il farmaco (AIFA) e poiché, sebbene in casi rari, anche in ragione delle condizioni di ciascun individuo, la somministrazione può determinare conseguenze negative, l’ordinamento reputa essenziale garantire un indennizzo per tali singoli casi, senza che rilevi a quale titolo – obbligo o raccomandazione – la vaccinazione è stata somministrata (come affermato ancora di recente nella sentenza n. 268 del 2017, in relazione a quella anti- influenzale); dunque “sul piano del diritto all’indennizzo le vaccinazioni raccomandate e quelle obbligatorie non subiscono differenze: si veda, da ultimo la sentenza n. 268 del 2017”.

Già con sentenza 26 febbraio 1998 n. 27 la Corte aveva affermato che “Non vi è […] ragione di differenziare, […] il caso […] in cui il trattamento sanitario sia imposto per legge da quello […] in cui esso sia, in base a una legge, promosso dalla pubblica autorità in vista della sua diffusione capillare nella società; il caso in cui si annulla la libera determinazione individuale attraverso la comminazione di una sanzione, da quello in cui si fa appello alla collaborazione dei singoli a un programma di politica sanitaria.

Una differenziazione che negasse il diritto all’indennizzo in questo secondo caso si risolverebbe in una patente irrazionalità della legge. Essa riserverebbe infatti a coloro che sono stati indotti a tenere un comportamento di utilità generale per ragioni di solidarietà sociale un trattamento deteriore rispetto a quello che vale a favore di quanti hanno agito in forza della minaccia di una sanzione”.

Tale concetto è stato ribadito dalla decisione 23 giugno 2020 n.118, secondo la quale “in presenza di una effettiva campagna a favore di un determinato trattamento vaccinale, è naturale che si sviluppi negli individui un affidamento nei confronti di quanto consigliato dalle autorità sanitarie: e ciò di per sé rende la scelta individuale di aderire alla raccomandazione obiettivamente votata alla salvaguardia anche dell’interesse collettivo, al di là delle particolari motivazioni che muovono i singoli. Questa Corte ha conseguentemente riconosciuto che, in virtù degli artt. 2,3 e 32 Cost., è necessaria la traslazione in capo alla collettività, favorita dalle scelte individuali, degli effetti dannosi che da queste eventualmente conseguano. La ragione che fonda il diritto all’indennizzo del singolo non risiede quindi nel fatto che questi si sia sottoposto a un trattamento obbligatorio: riposa, piuttosto, sul necessario adempimento, che si impone alla collettività, di un dovere di solidarietà, laddove le conseguenze negative per l’integrità psico-fisica derivino da un trattamento sanitario (obbligatorio o raccomandato che sia) effettuato nell’interesse della collettività stessa, oltre che in quello individuale. Per questo, la mancata previsione del diritto all’indennizzo in caso di patologie irreversibili derivanti da determinate vaccinazioni raccomandate si risolve in una lesione degli artt. 2, 3 e 32 Cost.: perché sono le esigenze di solidarietà costituzionalmente previste, oltre che la tutela del diritto alla salute del singolo, a richiedere che sia la collettività ad accollarsi l’onere del pregiudizio da questi subìto, mentre sarebbe ingiusto consentire che l’individuo danneggiato sopporti il costo del beneficio anche collettivo (sentenze n. 268 del 2017 e n. 107 del 2012). (…) la previsione dell’indennizzo completa il “patto di solidarietà” tra individuo e collettività in tema di tutela della salute e rende più serio e affidabile ogni programma sanitario volto alla diffusione dei trattamenti vaccinali, al fine della più ampia copertura della popolazione”.

Il Consiglio d’Europa ha avuto occasione di occuparsi della tematica della vaccinazione Covid; con la Risoluzione 2361 (2021) ha, per quanto qui rileva, “esortato” gli Stati membri e l’Unione europea a:
19.1. Garantire elevati standard qualitativi delle ricerche condotte in modo etico, conformemente alle pertinenti disposizioni della Convenzione sui diritti dell’uomo e della biomedicina (ETS n. 164, Convenzione Oviedo) e il suo protocollo aggiuntivo relativo alla ricerca biomedica (CETS n. 195); 19.2. Assicurarsi che gli organismi di regolamentazione incaricati della valutazione e dell’autorizzazione dei vaccini contro Covid-19 siano indipendenti e protetti dalle pressioni politiche;

19.3. Garantire che vengano rispettate le pertinenti minime norme di sicurezza, efficacia e qualità dei vaccini;
19.4. Implementare sistemi efficaci di monitoraggio dei vaccini e della loro sicurezza dopo la prima fase della vaccinazione di popolazione generale al fine di monitorare i loro effetti a lungo termine;

19.5. Attuare programmi di indennizzo indipendenti per garantire il risarcimento dei danni indebiti derivanti dalla vaccinazione;

19.6. Prestare particolare attenzione a possibili fenomeni di insider trading dei dirigenti farmaceutici o aziende farmaceutiche che cercano di arricchirsi indebitamente a spese pubbliche;
19.7. Diffondere informazioni trasparenti sulla sicurezza e sui possibili effetti collaterali del vaccino;

19.8. Comunicare in modo trasparente il contenuto dei contratti con i produttori di vaccini, renderli pubblicamente consultabili per il controllo parlamentare e lo scrutinio pubblico;
19.9. Assicurare il monitoraggio della sicurezza e degli effetti dei vaccini COVID-19 a lungo termine:

19.10. Garantire la cooperazione internazionale per tempestiva individuazione e chiarimenti di eventuali segnali di sicurezza sugli effetti avversi, successivi all’immunizzazione, mediante lo scambio di dati globali in tempo reale (AEFIs);

19.11. Avvicinare la farmacovigilanza ai sistemi sanitari;
19.12. Sostenere il campo emergente della ricerca ‘avversomica’, che studia le variazioni interindividuali nelle reazioni ai vaccini in base delle differenze nell’immunità naturale, nei microbiomi e nell’immunogenetica.

Così illustrato il quadro giurisprudenziale, ai fini della valutazione della non manifesta infondatezza della questione di costituzionalità, occorre verificare se l’obbligo vaccinale per il Covid 19 soddisfi le condizioni dettate dalla Corte in tema di compressione della libertà di autodeterminazione sanitaria dei cittadini in ambito vaccinale sopra indicate, ossia non nocività dell’inoculazione per il singolo paziente e beneficio per la salute pubblica, ed in particolare:
– che il trattamento “non incida negativamente sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato”, ferma restando la tollerabilità di effetti collaterali di modeste entità e durata;
– che sia assicurata “la comunicazione alla persona che vi è assoggettata, o alle persone che sono tenute a prendere decisioni per essa e/o ad assisterla, di adeguate notizie circa i rischi di lesione […], nonché delle particolari precauzioni, che, sempre allo stato delle conoscenze scientifiche, siano rispettivamente verificabili e adottabili”;

– che la discrezionalità del legislatore sia esercitata alla luce “delle acquisizioni, sempre in evoluzione, della ricerca medica” e quindi che la scelta vaccinale possa essere rivalutata e riconsiderata, nella prospettiva di valorizzazione della dinamica evolutiva propria delle conoscenze medico-scientifiche che debbono sorreggere le scelte normative in campo sanitario (sentenza n. 5 del 2018);

– che sia stata seguita la “raccomandazione” della Corte (decisione n. 258 del 1994) secondo la quale, ferma la obbligatorietà generalizzata delle vaccinazioni ritenute necessarie alla luce delle conoscenze mediche, il legislatore dovrebbe individuare e prescrivere in termini normativi, specifici e puntuali, sebbene entro limiti di compatibilità con le esigenze di generalizzata vaccinazione, “gli accertamenti preventivi idonei a prevedere ed a prevenire i possibili rischi di complicanze”.

La sentenza

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede

giurisdizionale:
– visto l’art. 23 l. 11 marzo 1953 n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale de:
a) l’art. 4 commi 1 e 2 del d.l. n. 44/2021 (convertito in l. n. 76/2021), nella parte in cui prevede, da un lato l’obbligo vaccinale per il personale sanitario e, dall’altro lato, per effetto dell’inadempimento all’obbligo vaccinale, la sospensione dall’esercizio delle professioni sanitarie, per contrasto con gli artt. 3, 4, 32, 33, 34, 97 della Costituzione, sotto il profilo che il numero di eventi avversi, la inadeguatezza della farmacovigilanza passiva e attiva, il mancato coinvolgimento dei medici di famiglia nel triage pre-vaccinale e comunque la mancanza nella fase di triage di approfonditi accertamenti e persino di test di positività/negatività al Covid non consentono di ritenere soddisfatta, allo stadio attuale di sviluppo dei vaccini antiCovid e delle evidenze scientifiche, la condizione, posta dalla Corte costituzionale, di legittimità di un vaccino obbligatorio solo se, tra l’altro, si prevede che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che è obbligato, salvo che per quelle sole conseguenze “che appaiano normali e, pertanto, tollerabili”;

b) l’art.1 della l. 217/2019, nella parte in cui non prevede l’espressa esclusione dalla sottoscrizione del consenso informato delle ipotesi di trattamenti sanitari obbligatori, e dell’art. 4, del d.l. n. 44/2021, nella parte in cui non esclude l’onere di sottoscrizione del consenso informato nel caso di vaccinazione obbligatoria, per contrasto con gli artt. 3 e 21 della Costituzione;

c) l’art. 4 comma 4, laddove prevede che l’inadempimento all’obbligo vaccinale comporta la sospensione dall’esercizio delle professioni sanitarie, per contrasto con i principi di ragionevolezza e di proporzionalità, di cui all’art. 3 della Costituzione, anche in riferimento alla violazione degli art. 1, 2, 4, 32 comma 1, 33, 35 comma 1 e 36 comma 1 della Costituzione;

– sospende il presente giudizio ai sensi dell’art. 79 comma 1 c.p.a.;
– dispone, a cura della Segreteria del C.G.A.R.S., l’immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
– riserva la decisione in ordine alla domanda cautelare all’esito dell’incidente di costituzionalità e rinvia ogni ulteriore statuizione in rito, nel merito e sulle spese all’esito del giudizio incidentale promosso con la presente ordinanza.
Ordina che la presente ordinanza sia notificata, a cura della Segreteria del C.G.A.R.S., a tutte le parti in causa, e che sia comunicata al Presidente del Consiglio dei ministri, al Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente della Camera dei deputati.

 Ritenuto che sussistano i presupposti di cui di cui all’art. 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e all’art. 9, paragrafi 1 e 4, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 e all’art. 2-septies del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal d.lgs. 10 agosto 2018, n. 101, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all’oscuramento delle generalità dell’appellante

Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 7 settembre 2022 con l’intervento dei magistrati:

Rosanna De Nictolis, Presidente
Carlo Modica de Mohac, Consigliere
Sara Raffaella Molinaro, Consigliere, Estensore Giovanni Ardizzone, Consigliere
Antonino Caleca, Consigliere

Nel corso del giudizio si è costituito l’Ordine degli psicologi della Regione Sicilia, controdeducendo rispetto alle argomentazioni contenute nel ricorso in appello.

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