Il tribunale di Aosta si rivolge alla corte costituzionale per il confinamento a casa dei malati Covid

La questione è nata per un processo per una persona, che si era allontanata di casa mentre era positiva, il giudice Tornatore del tribunale di Aosta ha sollevato la questione di legittimità costituzionale. L’imputato è accusato di avere trasgredito l’ordine emesso dalla competente autorità sanitaria (nella specie il Sindaco del Comune …) di permanere nella propria abitazione o nel proprio domicilio, dopo essere risultato positivo al virus COVID-l9.

La violazione contestatagli è ad un articolo del decreto legge n. 19 del 25 marzo 2020 (che ha introdotto varie misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica). ” In linea generale, va premesso che la maggior parte delle misure di contenimento previste dal citato del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, attuate mediante i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, sono destinate ad incidere sulle libertà fondamentali dell’individuo costituzionalmente garantite, quali la liberta’ personale (art. 13 della Costituzione), la libertà di circolazione (art. 16 della Costituzione), la liberta’ di riunione (art. 17 della Costituzione), la liberta’ di associazione (art. 18 della Costituzione), la liberta’ religiosa (art. 19 della Costituzione) e la liberta’ di iniziativa economica (art. 41 della Costituzione). Trattasi di diritti costituzionalmente garantiti che ammettono generalmente limitazioni in base alla legge, motivate ad esempio da ragioni di sanita’ o sicurezza (art. 16 della Costituzione) o incolumita’ pubblica (art. 17 della Costituzione) o tutela del buon costume (art. 19 della Costituzione) o di tutela della dignita’ umana (art. 41 della Costituzione). La restrizione della libertà personale incontra però il duplice limite della riserva di legge e della riserva di giurisdizione. Il Tribunale ritiene che le norme qui impugnate siano lesive della riserva di giurisdizione, sancita dall’art. 13, commi 2 e 3 della Costituzione.

Si tratta del principio, sancito dalla Costituzione all’articolo 13, che “implica l’adozione di misure restrittive solo con atto motivato dell’autorità giudiziaria”. ” E’ rilevante la questione della legittimità costituzionale degli articoli 1, comma 2, lettera e), e 4, comma 4, del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, convertito dalla legge 22 maggio 2020, n. 35, nel giudizio penale in corso, in quanto, ove le disposizioni citate non venissero dichiarate incostituzionali, il Tribunale, all’esito del dibattimento, potrebbe essere tenuto a condannare l’imputato, proprio sulla base della trasgressione di un atto amministrativo adottato in forza di una norma di rango primario della cui legittimità costituzionale il medesimo Tribunale dubita”.

Per giungere ad una siffatta conclusione, occorre considerare in primo luogo che la misura di contenimento consistente, per le persone risultate positive al virus COVID-19, nel divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione o dimora, e’ in grado di incidere e di limitare fortemente la liberta’ personale tutelata dall’art. 13 della Costituzione. Cio’ si desume esaminando non solo il contenuto della misura amministrativa in esame, ma anche la giurisprudenza costituzionale formatasi in materia di liberta’ personale, qualora questa sia stata limitata da provvedimenti amministrativi a contenuto individuale (c.d. comandi o ordini).

Sul piano contenutistico, si rileva che l’ordine di permanenza domiciliare e’ definito come «assoluto» per espressa disposizione di rango normativo primario e non ammette dunque eccezioni, ed impone al soggetto che ne e’ il destinatario di restare all’interno della propria abitazione senza poter uscire neppure per provvedere alle fondamentali esigenze di vita. Tale misura, per la sua assolutezza, a differenza di quanto e’ previsto per altre misure di contenimento, come quelle disposte ai sensi dell’art. 1, comma 2, lettera a) del decreto-legge in esame, induce a ritenere che si tratti di misura limitativa della liberta’ personale, come tale soggetta alle tutele previste dall’art. 13 della Costituzione ed in particolare alla riserva di giurisdizione.

Pazienti risultati positivi al Covid

Nella disciplina di rango primario relativa al caso della permanenza domiciliare disposta nei confronti del paziente risultato positivo al virus COVID-19, qui impugnata, non e’ invece prevista alcuna forma di controllo giurisdizionale ne’ con atto motivato dell’autorita’ giudiziaria, ne’ mediante la fase del successivo giudizio di convalida quale forma di verifica ex post dell’operato dell’amministrazione.

Nel caso in esame, il paziente risultato positivo al virus COVID-19 e’ dunque confinato nell’abitazione sulla base di un semplice ordine amministrativo non sottoposto a convalida giudiziaria ne’ ad altra forma di controllo giurisdizionale. In questo senso, gli articoli 1, comma 2, lettera e) e 4, comma 4, del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, convertito dalla legge 22 maggio 2020, n. 35, nella parte in cui attribuiscono alla pubblica autorita’ un potere svincolato da ogni forma di controllo giurisdizionale, non appaiono rispettosi dei principi inviolabili posti dall’art. 13 della Costituzione. Alla luce di tali considerazioni, non e’ dunque manifestamente infondata, in riferimento all’art. 13 della Costituzione, la questione di legittimita’ costituzionale degli articoli 1, comma 2, lettera e) e 4, comma 4, del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, convertito dalla legge 22 maggio 2020, n. 35, nella parte in cui, e’ stabilito «divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione o dimora per le persone sottoposte alla misura della quarantena, applicata dal sindaco quale autorita’ sanitaria locale, perche’ risultate positive al virus», senza che tale provvedimento amministrativo sia preceduto o seguito da alcuna forma di controllo giurisdizionale, neppure nelle forme del giudizio di convalida ex post dell’operato dell’autorita’ amministrativa e cio’ in violazione della riserva di giurisdizione.

Il giudice ha esaminato i casi in cui è possibile trattenere una persona

In proposito, va ricordato che l’ordinamento riconosce (e la Costituzione consente) che l’atto motivato dell’autorita’ giudiziaria limitativo della liberta’ personale possa estrinsecarsi anche in un controllo successivo (nella forma della convalida) di provvedimenti amministrativi che comprimono direttamente la liberta’ personale. E’ quanto accade nel caso di adozione di misure pre-cautelari da parte dell’autorita’ di pubblica sicurezza, nei casi tassativi previsti dalla legge (articoli 380, 381, 384, commi 1 e 2 del codice di procedura penale), quando all’iniziativa dell’autorita’ predetta deve seguire la convalida nel termine massimo costituzionalmente tollerato di novantasei ore dall’inizio della privazione della liberta’ personale. Una analoga disciplina e’ prevista per l’ipotesi di trattenimento presso un centro di permanenza per i rimpatri, dello straniero destinatario di un provvedimento di espulsione che non possa essere tempestivamente eseguito. In questo caso, l’art. 14 del decreto legislativo n. 286/1998 stabilisce che il provvedimento con il quale il questore ha disposto il trattenimento dello straniero in attesa di rimpatrio sia trasmesso senza ritardo, e comunque entro le quarantotto ore dall’adozione del provvedimento medesimo, al giudice di pace territorialmente competente per la convalida. Cio’ avviene naturalmente sul presupposto che detta misura incide sulla liberta’ personale dello straniero trattenuto nel centro.

Tale ultima norma e’ stata scrutinata dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 105/2001 ed ha ritenuto che «il trattenimento dello straniero presso i centri di permanenza temporanea e assistenza e’ misura incidente sulla liberta’ personale, che non puo’ essere adottata al di fuori delle garanzie dell’art. 13 della Costituzione (…). Se si ha riguardo al suo contenuto, il trattenimento e’ quantomeno da ricondurre alle “altre restrizioni della liberta’ personale”, di cui pure si fa menzione nell’art. 13 della Costituzione. Lo si evince dal comma 7 dell’art. 14, secondo il quale il questore, avvalendosi della forza pubblica, adotta efficaci misure di vigilanza affinche’ lo straniero non si allontani indebitamente dal centro e provvede a ripristinare senza ritardo la misura ove questa venga violata.

Si determina dunque nel caso del trattenimento, anche quando questo non sia disgiunto da una finalita’ di assistenza, quella mortificazione della dignita’ dell’uomo che si verifica in ogni evenienza di assoggettamento fisico all’altrui potere e che e’ indice sicuro dell’attinenza della misura alla sfera della liberta’ personale. Ne’ potrebbe dirsi che le garanzie dell’art. 13 della Costituzione subiscano attenuazioni rispetto agli stranieri, in vista della tutela di altri beni costituzionalmente rilevanti. Per quanto gli interessi pubblici incidenti sulla materia della immigrazione siano molteplici e per quanto possano essere percepiti come gravi i problemi di sicurezza e di ordine pubblico connessi a flussi migratori incontrollati, non puo’ risultarne minimamente scalfito il carattere universale della liberta’ personale».

La giurisprudenza costituzionale ha poi esaminato altri casi di ordini adottati da pubbliche autorita’ amministrative nell’esercizio di poteri autoritativi, reputandoli pacificamente suscettibili di incidere, comprimendola, sulla liberta’ personale tutelata dall’art. 13 della Costituzione e come tali soggetti a controllo, anche successivo, riservato all’autorita’ giudiziaria.

In particolare, la giurisprudenza costituzionale ha ritenuto suscettibile di limitare la liberta’ personale il provvedimento amministrativo di accompagnamento coattivo alla frontiera dello straniero extracomunitario (cfr. Corte costituzionale n. 222/2004) ed ha in quella sede dichiarato l’illegittimita’ costituzionale dell’art. 13, comma 5-bis, decreto legislativo n. 286/1998, nella parte in cui non prevedeva che il giudizio di convalida dovesse svolgersi in contraddittorio prima dell’esecuzione del provvedimento di accompagnamento alla frontiera, con le garanzie della difesa, muovendo dalla premessa che anche l’accompagnamento alla frontiera rilevasse quale autonomo fattore di compressione della liberta’ personale. La Corte costituzionale ha ritenuto parimenti incidenti sulla liberta’ personale altre ipotesi di provvedimenti adottati dall’autorita’ amministrativa, valutando il rispetto della normativa di rango primario con i principi stabiliti dall’art. 13 della Costituzione. Tra tali casi vanno annoverati il provvedimento adottato dal questore di respingimento differito con accompagnamento alla frontiera, di cui all’art. 10, comma 2, del decreto legislativo n. 286 del 1998 (cfr. Corte costituzionale n. 275/2017; v. anche Corte costituzionale n. 62/1994), il provvedimento amministrativo adottato dal questore di comparizione presso gli uffici di polizia durante lo svolgimento di manifestazioni sportive di cui all’art. 6, comma 2, della legge 13 dicembre 1989, n. 401 (cfr. Corte costituzionale n. 512/2002), nonche’, in tempi meno recenti, il c.d. foglio di via obbligatorio per i sorvegliati speciali di cui all’art. 2 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (cfr. Corte costituzionale n. 45/1960; Corte costituzionale n. 68/1960) e l’ordine di rimpatrio di cui all’art. 157 TULPS, approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (cfr. Corte costituzionale n. 2/1956).

In tutti i casi sopra menzionati, il giudice delle leggi ha sempre ritenuto che ogni misura limitativa della liberta’ personale disposta dall’autorita’ amministrativa richiedesse di essere disciplinata in conformita’ dei principi stabiliti dall’art. 13, commi 2 e 3, della Costituzione, vale a dire in conformita’ della c.d. riserva di giurisdizione, che implica l’adozione di misure restrittive solo con atto motivato dell’autorita’ giudiziaria (art. 13, comma 2, della Costituzione) ovvero, in casi eccezionali di necessita’ ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, la convalida da parte dell’autorita’ giudiziaria dei provvedimenti provvisori adottati dalla pubblica autorita’, provvedimenti suscettibili di decadere qualora la medesima autorita’ giudiziaria non li convalidi entro gli stringenti termini ad horas indicati dall’art. 13, comma 3, della Costituzione.

Una analoga disciplina – dettata proprio in materia sanitaria e senz’altro rispettosa della riserva di giurisdizione di cui all’art. 13 della Costituzione – e’ dettata per il caso di trattamento sanitario obbligatorio (TSO) degli infermi di mente di cui agli articoli 1 e segg. della legge n. 180/1978 e 33 e segg. della legge n. 833/1978. Secondo tale disciplina, il TSO e’ disposto dal sindaco in qualita’ di autorita’ sanitaria locale ed il provvedimento con il quale quest’ultimo dispone il trattamento obbligatorio in condizioni di degenza ospedaliera deve essere notificato entro quarantotto ore dal ricovero, tramite messo comunale, al giudice tutelare nella cui circoscrizione rientra il comune; quest’ultimo, a sua volta, entro le successive quarantotto ore, assunte le informazioni e disposti gli eventuali accertamenti, provvede con decreto motivato a convalidare o non convalidare il provvedimento e ne da’ comunicazione al sindaco; ed in caso di mancata convalida, il sindaco dispone la cessazione del trattamento sanitario obbligatorio in condizioni di degenza ospedaliera; ove il trattamento coattivo si protragga oltre il settimo giorno, e’ necessario un ulteriore provvedimento della medesima autorita’ che dev’essere convalidato dall’autorita’ giudiziaria. Non vi e’ dubbio alcuno che, anche nel caso del TSO, il controllo giurisdizionale sotto forma di convalida si giustifica in considerazione della privazione della liberta’ personale che e’ insita nel ricovero ospedaliero obbligatorio, in ossequio ai principi posti dall’art. 13, commi 2 e 3, della Costituzione.

 

 

Altri articoli interessanti

Social Media Auto Publish Powered By : XYZScripts.com