“Disabili e anziani privati della loro libertà personali nelle strutture di ricovero” La denuncia

La Lega per i diritti delle persone con disabilità ha segnalato “la situazione di sostanziale privazione della libertà personale a cui sono sottoposte le persone con disabilità che vivono nei servizi residenziali”. E chiede al Garante di monitorare la situazione

L’appello che LEDHA-Lega per i diritti delle persone con disabilità ha lanciato il 10 gennaio scorso per chiedere agli enti gestori dei servizi residenziali di garantire sia le uscite programmate degli “ospiti” sia le visite dei familiari non ha purtroppo sortito effetti. Per questo motivo l’associazione si è rivolta al Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale per “segnalare la situazione di sostanziale privazione della libertà personale a cui sono sottoposte le persone con disabilità che vivono nei servizi residenziali” in Lombardia.

“LEDHA difende i diritti delle persone con disabilità attraverso l’attività del Centro Antidiscriminazione Franco Bomprezzi -spiega l’avvocato Laura Abet-. Anche la denuncia di un singolo cittadino ci permette di agire e, in questo modo, tutelare i diritti di tutti. In questo caso, tuttavia, non abbiamo potuto fare altro che chiedere l’intervento del Garante, affinché monitori con particolare attenzione questa situazione”.

A inizio 2022, LEDHA aveva pubblicato un appello chiedendo ai gestori delle “Unità di offerta” un’applicazione puntuale di quanto previsto dalla circolare del 29 dicembre 2021 della Direzione generale Welfare di Regione Lombardia, che sottolinea l’importanza di mantenere canali di relazione e di vita sociale per la salvaguardia del benessere e della salute delle persone con disabilità.

L’appello era nato a seguito di una serie di segnalazioni giunte all’associazione negli ultimi mesi del 2021, in concomitanza con la diffusione della variante Omicron del Covid-19, quando l’aumento dei contagi tra la popolazione generale ha portato molte strutture residenziali a sospendere sia le visite dall’esterno (comprese quelle dei familiari stretti) sia le uscite degli “ospiti”. Una scelta “difensiva” che ha fatto ritornare queste strutture in una situazione molto simile al lockdown vissuto dalle persone con disabilità tra il 2020 e il 2021, che si è protratto ben oltre quello a cui è stata sottoposta la popolazione generale.

Questa nuova situazione di totale chiusura delle strutture residenziali è stata avviata in coincidenza con le festività natalizie e prosegue ancora oggi. “Si tratta, come è evidente, dell’ennesima situazione di discriminazione -ha scritto il presidente di LEDHA, Alessandro Manfredi, nella lettera inviata al Garante-. Le persone con disabilità che vivono nei servizi residenziali hanno, nella quasi totalità, completato il ciclo vaccinale. Nonostante questo, al contrario del resto della popolazione, sono di fatto segregate nei servizi che dovrebbero invece garantire loro il sostegno per vivere nella società e impedire che siano isolate o vittime di discriminazione”.

Queste chiusure sono dettate della volontà di preservare gli ambienti delle strutture residenziali dai rischi di contagio da Covid-19. Il tutto, però, mentre al resto della popolazione (ad esempio i bambini e ragazzi con disabilità che frequentano la scuola) non vengono imposte limitazioni neanche lontanamente paragonabili a quelle riservate alle persone fragili che vivono nei servizi residenziali.  Colpisce, infine, il fatto che le limitazioni alla vita sociale e di relazione siano imposte, spesso, in modo generalizzato, indipendentemente dall’effettivo profilo di rischio personale: le stesse regole e restrizioni possono essere imposte a persone anziane con disabilità con evidenti situazioni di fragilità fisica e persone giovani o adulte con disabilità senza particolari problemi di salute.

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