Giovani italiani all’estero: tra i laureati ne rientrano meno di 3 su 100

La differenza tra i rimpatri e gli espatri è rimasta costantemente negativa e determina una perdita complessiva per l’intero periodo di 259 mila giovani di cui 93 mila giovani con al più la licenza media, di 91 mila diplomati e di 76 mila laureati. Lo testimonia l’Istat nel suo ultimo rapporto.

Differenze di genere nei tassi emergono solo per i laureati, con una maggiore propensione a rientrare per i maschi: 3 laureati e 2 laureate su cento.

Complessivamente dal 2008 al 2020, le perdite nette sono prevalentemente a favore dei paesi dell’Unione europea. Un caso a sé è costituito dal Regno Unito, che è la meta preferita dai nostri giovani, indipendentemente dal loro livello di istruzione: lo squilibrio tra espatri e rimpatri è aumentato negli ultimi due anni, probabilmente a causa di un “effetto Brexit”. La perdita netta di giovani italiani diretti verso il Regno Unito dal 2008 al 2020 è pari a 63 mila unità, di cui quasi il 30 per cento laureati. Un’altra destinazione importante è la Germania, con un bilancio negativo sia per le risorse più qualificate (saldo pari a -11 mila), sia soprattutto per quelle con livello di istruzione medio-basso (-31 mila).

Un freno è arrivato, come è ovvio dalla pandemia. L’inversione però non coinvolge i giovani con bassa istruzione.

A un deflusso così consistente non si è mai contrapposto un flusso di rimpatri, con il risultato che il saldo migratorio è stato sempre negativo e costantemente peggiore per i titoli di studio bassi. Dal 2018 si registra una lieve riduzione delle perdite di giovani in possesso del diploma senza differenze tra maschi e femmine; il deflusso netto dei giovani laureati, invece, prosegue e sembra ridursi solo nel 2020, come effetto delle misure di contrasto della crisi sanitaria (si veda il paragrafo 2.4). In tutto il periodo il tasso netto di migratorietà maschile dei laureati è più negativo di quello delle laureate.

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