Difficoltà nell’accesso ai farmaci succede anche in Italia. Paura per i pazienti reumatici

È forte la preoccupazione dei pazienti reumatici per le indicazioni d’uso dei farmaci biosimilari espresse recentemente dalla Regione Lazio e dall’Azienda Usl Toscana Nord-Ovest. A questo si aggiunge la crescente difficoltà dei pazienti reumatici di ottenere, specialmente in alcune Regioni come Lazio, Campania, Toscana e Piemonte, il farmaco prescritto dal medico reumatologo in quanto non approvvigionato dalle farmacie ospedaliere poiché non aggiudicatario di gara. La denuncia è contenuta in una lettera inviata, tra gli altri, al Presidente e all’Assessore alla Sanità della Regione Toscana, rispettivamente Eugenio Giani e Simone Bezzini, all’Assessore alla Sanità della Regione Lazio, Alessio D’Amato, e firmata da Silvia Tonolo, Presidente di ANMAR (Associazione Nazionale Malati Reumatici) e dalle rappresentanti delle Associazioni territoriali di Toscana e Lazio, ATMaR e ALMAR, rispettivamente Paola Grossi e Sara Severoni. I pazienti, in particolare, chiedono che sia tutelata l’autonomia decisionale del medico che liberamente sceglie in scienza, coscienza e responsabilità quale farmaco sia terapeuticamente appropriato per la cura del proprio paziente; che siano garantiti la prescrivibilità e l’approvvigionamento dei farmaci non aggiudicatari di gara (oltre il terzo classificato) e di quelli non ammessi oltre che, naturalmente, la loro rimborsabilità da parte del Servizio Sanitario Nazionale. Inoltre non vi deve essere nessuna sostituibilità automatica su sollecitazione del farmacista-dispensatore che non sia stata approvata dal medico prescrittore e stabilita su evidenze scientificamente accettabili.

“I malati sono costretti ad affrontare non solo la sofferenza per la gestione della patologia, spesso in aggiunta ad altre comorbidità, ma anche la fatica per gli spostamenti in altre Regioni per la ricerca del farmaco indicato dal medico quale miglior trattamento di cura per quel paziente in quel momento della sua malattia – spiega Silvia Tonolo -. Ci chiediamo come sia possibile accettare che ai malati vengano garantite cure diverse in base alla Regione in cui si trovano e, talvolta, all’interno dello stesso territorio, a seconda dell’azienda sanitaria di riferimento. Questa disomogeneità crescente tradisce i principi fondamentali sottesi alla Legge 833/1978, istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale, che ha previsto un modello di assistenza sanitaria fondato sui principi di uguaglianza di trattamento e di uniformità delle prestazioni su tutto il territorio”. “Auspichiamo – continua Silvia Tonolo – che i rappresentanti della politica sanitaria, i decisori di spesa e le aziende sanitarie territoriali tengano conto di quanto recentemente affermato dai giudici amministrativi in relazione alla prescrivibilità ed all’approvvigionamento dei farmaci biologici non ammessi alla gara o esclusi dall’aggiudicazione”. Il punto di riferimento è la sentenza del Consiglio di Stato n. 8370 del 28 dicembre 2020 che ha fornito un’interpretazione costituzionalmente orientata del comma 11 quater dell’articolo 15 della Legge 135 del 2012. “I supremi giudici amministrativi hanno fermato i ripetuti tentativi di interpretare in modo restrittivo questa disposizione – spiega l’avv. Patrizia Comite, docente di diritto sociosanitario e membro del comitato scientifico dell’Osservatorio CAPIRE -. Un’interpretazione che ha consentito ai decisori di spesa di varie Regioni di emettere circolari o raccomandazioni in base alle quali i clinici avrebbero obbligatoriamente dovuto prescrivere per il trattamento delle patologie reumatologiche uno dei tre farmaci biosimilari vincitori di gara, dato che le farmacie ospedaliere non sarebbero state approvvigionate con nessun altro farmaco. Noi, a più riprese, abbiamo contrastato questa interpretazione restrittiva ribadendo il principio per il quale se un clinico ritiene terapeuticamente appropriato prescrivere un originator al posto di un biosimilare o un altro biosimilare non aggiudicatario di gara ha il diritto di farlo, fornendo un’adeguata motivazione, e il costo deve essere coperto dal Servizio sanitario nazionale. La decisione in parola ribadisce dunque l’autonomia decisionale del medico”.

“ANMAR – sottolinea Silvia Tonolo – si adopererà per diffondere i contenuti di questa e di altre pronunce a tutela di quei pazienti che, anche recentemente, hanno denunciato – in Regione Toscana – il rifiuto da parte del farmacista all’approvvigionamento del farmaco indicato dal prescrittore invitando il richiedente a consultare il medico specialista per il cambio di terapia. Nell’ipotesi in cui questa ulteriore denuncia non sortisse l’immediato effetto di impedire la lesione del diritto all’assistenza sanitaria, logico corollario del diritto alla cura ed alla salute, si darà incarico ai giuristi che collaborano con l’Associazione per la valutazione di un intervento in via giudiziaria a tutela di queste persone allo scopo di garantire loro, in via d’urgenza, la prestazione sanitaria indicata dal medico. Il trattamento farmacologico prescritto dallo specialista che conosce la nostra storia clinica diventa per noi fondamentale ed ogni mancata o tardiva somministrazione danneggia irrimediabilmente la nostra salute. È necessario che farmacisti ed economisti che si occupano di politica sanitaria tengano conto anche di questi aspetti e non abbiano a cuore unicamente gli obiettivi di risparmio”. “ANMAR – continua Tonolo – si farà parte diligente affinché i principi ribaditi in questi contesti giudiziari siano conosciuti da clinici e pazienti. Finché non ci sarà una diffusione adeguata dei contenuti di questa sentenza e delle sue ripercussioni, i medici resteranno convinti che la prescrizione di farmaci più costosi fuori dai tre aggiudicatari o addirittura di quelli non ammessi alla gara debba essere a carico del paziente o che questa scelta li elegga ad autori di una lesione dell’interesse pubblico con conseguente ingiusta accusa di danno erariale”.

Preoccupano molto anche gli indicatori d’uso dei farmaci biosimilari proposti nel modello elaborato dalla Asl Toscana Sud-Est che, secondo quanto riporta la nota informativa pubblicata il 27 luglio 2021 su un quotidiano, ha come obiettivo la genericazione dei farmaci biologici attraverso la raccomandazione d’uso dei loro biosimilari a minor costo mediante switch o, addirittura, multi switch in relazione all’aggiudicazione di gara.

“Il progetto – spiega Mauro Galeazzi, responsabile scientifico dell’Osservatorio CAPIRE – è carente anche dal punto di vista scientifico per almeno due motivi sostanziali che fanno del progetto proposto e pubblicizzato – ci tengo a far notare, su un quotidiano e non su una rivista qualificata – un mero strumento di risparmio privo di validità scientifica; il primo perché tenta, in modo del tutto arbitrario, di applicare ai farmaci biotecnologici i principi utilizzati per i farmaci di sintesi al fine di far passare il principio di equivalenza tra biotecnologici di varia natura e tra biotecnologici e loro biosimilari, equivalenza che è scientificamente dimostrabile, per questa categoria di farmaci, soltanto tramite il procedimento noto come ‘esercizio di comparabilità’ che è stato fino ad ora utilizzato soltanto tra originator e un suo biosimilare e mai applicato tra biosimilari; il secondo perché non si fa cenno all’indicatore più importante nella pratica clinica e cioè quello della corretta farmacovigilanza mediante l’attenta registrazione, da parte del medico prescrittore, degli eventi avversi che compaiono dopo switch e soprattutto dopo multiplo switch con particolare attenzione alla comparsa delle recidive di malattia. Il progetto ha invece elaborato gli indicatori in questione attraverso l’esame e la valutazione degli scostamenti effettuati dai medici prescrittori rispetto alle raccomandazioni d’uso elaborate, o meglio, decise dalla politica sanitaria, per la cura dell’artrite reumatoide. Sorprende quindi che, secondo quanto si legge, al tavolo di lavoro – multidisciplinare e multiregionale – avrebbero partecipato economisti, medici e farmacisti”.

“Nessuna traccia dei pazienti o dei loro rappresentanti – conclude Silvia Tonolo -. Ciò significa che i pazienti non sono stati coinvolti nella definizione dei protocolli di ricerca e neppure nell’identificazione delle necessità di cura insoddisfatte. Ignorata completamente la loro partecipazione sebbene si continui a proclamare come un mantra la centralità del paziente. Gli elementi preponderanti delle raccomandazioni elaborate da certi enti territoriali e regionali sono incentrati sul contenimento della spesa sanitaria e sugli obiettivi di risparmio al cui raggiungimento i prescrittori sono tenuti a collaborare. Ma la cura dei malati non è solo un costo”.

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